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L’aurora inapparente. Upanishad, Bruno e Böhme nella metafisica giovanile di Giorgio Colli di Ludovica Boi si apre con una prefazione a cura di Francesco Cattaneo e si presenta come un dettagliato studio delle influenze “mistiche” sulla filosofia del periodo giovanile di Giorgio Colli, dalla metà degli anni ’30 al 1946-1947. Physis kryptesthai philei (del 1948, riedito nel 1988 con il titolo La natura ama nascondersi) non è in effetti preso in considerazione e si fanno solo brevi accenni agli appunti filosofici del 1947 (pubblicati nel volume Trame nascoste. Studi su Giorgio Colli). Si può quindi dire che Boi cerchi innanzitutto di rendere ragione della concezione del mondo – da lei definita come “metafisica” – che si può ricavare dagli appunti pubblicati postumi da Enrico Colli in Apollineo e dionisiaco, dalla tesi di laurea di Colli (che fu scomposta in due volumi pubblicati separatamente sempre a cura di Enrico Colli, Filosofi sovrumani e Platone politico) e dalla raccolta intitolata Empedocle, curata da Federica Montevecchi. Tra questi testi, è indubbio che Apollineo e dionisiaco giochi un ruolo centrale: uno dei meriti maggiori del libro di Boi è proprio quello di aver reso accessibili alcune sezioni e teorie comprese in questa raccolta di scritti postumi. Non esagero dicendo che Boi fornisce una prima e imprescindibile ricerca sulle fonti non greche del pensiero del giovane Colli. Ogni studio futuro di questi testi dovrà tener conto dei risultati e delle problematiche messe in risalto nel libro di Boi.

L’autrice però non desidera limitare lo scopo dell’indagine a un obiettivo “esclusivamente storiografico o specialistico”, bensì mira “a illustrare la fecondità di un particolare modo di intendere la filosofia, memore di vissuti emozionali che giacciono alla radice di ogni sapere, compreso quello scientifico” (p. 21). Questo secondo aspetto della ricerca condotta da Boi è evidentemente di ampia portata e non sempre trova uno sviluppo adeguato nel volume, a causa del lavoro di ricostruzione storiografica che è necessario come presupposto per la teoresi che Boi si propone di sostenere. Quest’ultimo aspetto non inficia in nulla il valore del libro, poiché esso riesce appieno nel suo intento di mostrare gli influssi decisivi delle Upanishad, di Bruno e di Böhme sulla metafisica del giovane Colli. Ciò detto, ci si attende in futuro uno sviluppo più ampio e organico delle linee filosofiche che Boi traccia nella sua introduzione e, in generale, nelle sezioni conclusive dei vari capitoli.

Il libro di Boi si compone di due sezioni di lunghezza ineguale. La prima, più breve, è un percorso di presentazione e interpretazione delle fonti che il giovane Colli predilesse nella sua particolare lettura dei Presocratici. In questa parte del libro, Boi prende in considerazione tre autori: Karl Joël, Erwin Rohde e Paul Deussen. Il primo di questi è senza dubbio fondamentale sotto più punti di vista. Innanzitutto, Joël permette, grazie alla sua particolare lettura storico-filosofica in Der Ursprung der Naturphilosophie aus dem Geiste der Mystik, di giustificare in un certo modo il percorso che va dalle Upanishad a Böhme passando per Bruno, nel senso che tutti questi complessi di pensiero hanno in comune con i Presocratici e gli inizi della filosofia greca un certo rapporto con il mondo e il divino che qui si caratterizza con il termine “mistico”. Ma Joël è altresì fondamentale per l’aspetto più teoretico del libro, in quanto mette al centro del discorso il sentimento o la reazione sentimentale. Questo punto è sottolineato a più riprese da Boi, anche in riferimento a Colli, il quale in effetti in Apollineo e dionisiaco fa alcuni accenni alla sfera dei sentimenti. In particolare, il sentimento è avvicinato alla vissutezza e a un’intensa esperienza di vita che si configura come una sorta di divinizzazione o “immortalizzazione della coscienza” (p. 114). In un’ottica di teoresi colliana e in vista di possibili sviluppi del lavoro di Boi, mi chiedo se del sentimento sia possibile fornire una sorta di definizione o quantomeno se sia possibile determinarne i caratteri che lo distinguono da altre esperienze di vita. Inoltre, nella distinzione colliana tra immediatezza ed espressione, o tra interiorità ed espressione (per usare termini più consoni al periodo giovanile) il sentimento sarà pur sempre espressione o qualcosa altro

La seconda sezione, che occupa i due terzi del libro, si prefigge di trattare del misticismo filosofico in Giorgio Colli secondo le tre influenze già menzionate: le Upanishad, Giordano Bruno e Jakob Böhme. Il capitolo sulle Upanishad è lodevole per lo sforzo di Boi di ricerca delle fonti utilizzate da Colli e allo stesso tempo per lo studio indipendente di questi testi al fine di reperire corrispondenze o affinità con Colli che egli stesso non aveva messo in risalto nei suoi appunti. Per quanto riguarda l’interpretazione filosofica di queste pagine, l’influenza delle Upanishad sulla metafisica colliana è sicuramente dimostrata nel dettaglio, ma alcuni sviluppi – che potremmo definire inediti – meritano senza dubbio un’attenzione particolare. Mi riferisco, per esempio, alla nozione di empatia, che è utilizzata da Boi per creare un ponte tra la visione delle Upanishad e quella di Colli nell’interpretare la Grecia arcaica (p. 98). Non è chiaro a chi scrive quale sia il senso esatto da dare a “empatia” in questo discorso e, per quanto interessante, il collegamento tra le Upanishad e Colli rischia in questo caso di rimanere vago in assenza di specificazioni. Suppongo che l’empatia possa giocare un ruolo in ciò che Boi definisce come “intersoggettività patica” nella sua introduzione (p. 23), ma la nozione avrebbe meritato un più ampio sviluppo, in connessione soprattutto con il già citato “sentimento” e il cosiddetto “sentimento attivo” di cui si parla alle pp. 110-112.

Il capitolo sul pensiero di Giordano Bruno si concentra su gli Eroici furori, l’opera del Nolano che Colli utilizza maggiormente. Questa parte del libro è pregevole per un duplice motivo: gli accenni fugaci di Colli a Bruno vengono sviluppati nel dettaglio e questo permette al lettore di comprendere appieno la portata dell’influenza esercitata da Bruno su Colli; oltre a questo aspetto, Boi sottolinea anche i limiti della lettura colliana di Bruno e sostiene che la filosofia di quest’ultimo avrebbe potuto rappresentare un modello per il giovane Colli anche per la sua concezione della politicità (pp. 154-156). L’ultimo capitolo tratta, come si è detto, del pensiero di Jakob Böhme. Anche in questo caso l’analisi di Boi è ricca e dettagliata. Inoltre, a differenza delle Upanishad e di Bruno, in questo caso ci troveremo a fare i conti con degli influssi sulla parte più teoretica della filosofia del giovane Colli. In effetti, la tesi sostenuta da Boi è che l’impianto metafisico di Colli sia fortemente debitore nei confronti di Böhme. Innanzitutto per la nozione di Ungrund, che troverebbe una piena corrispondenza nella cosa in sé o interiorità colliana, in quanto tutte queste nozioni presentano il duplice carattere di mancanza e di desiderio di divenire altro da sé, di esprimersi per conoscersi (pp. 198-199). In secondo luogo, per la concezione del fondo della realtà come di un’unità plurale che possiede una paradossale “molteplicità intrinseca” (p. 201). Queste pagine sono tra le più ricche di spunti per una corretta comprensione filosofica della metafisica del giovane Colli e va dato merito a Boi di aver mostrato in modo convincente che l’influsso di Böhme su Colli non si limita al suo tratto puramente mistico, ma include anche dei presupposti teoretici pregni di conseguenze.

Ci si potrebbe domandare dell’assenza di Nietzsche in una tale analisi, soprattutto per quanto riguarda il pensiero dei Presocratici e per le nozioni di apollineo e dionisiaco. L’autrice non nega in nessun momento del sicuro influsso nicciano sulle posizioni del giovane Colli, ma fa notare giustamente che esiste già una letteratura di studi al riguardo. L’ultimo in ordine di apparizione è l’importante volume di Chiara Colli Staude, Friedrich Nietzsche, Giorgio Colli und die Griechen: Philologie und Philosophie zwischen Unzeitgemäßheit und Leben (Königshausen und Neumann, 2019).

In conclusione, il libro di Boi non potrà non far parte della biblioteca degli studiosi di Giorgio Colli, in quanto si tratta di un lavoro pionieristico su testi e fonti poco indagate. Mi auguro inoltre che la linea teoretica che si intravede nel lavoro di Boi possa trovare presto un adeguato sviluppo. Le ultime parole del suo libro sembrano in effetti evocare il programma per un prossimo studio: “l’ipotesi metafisica di Colli testimonia il suo debito nei confronti dei mistici, anche molto al di là degli anni giovanili”. Questo libro in realtà mostra solamente l’influsso dei mistici sul giovane Colli, ma non tratta delle opere mature, se non in modo sporadico. L’autrice sembra convinta che questo influsso si estenda anche al di là del periodo giovanile, ma una tale ricerca resta da compiere.

Luca Torrente

Bibliografia

Colli, G. Apollineo e dionisiaco, a cura di E. Colli, Adelphi, Milano 2010.

Colli, G. Empedocle, a cura di F. Montevecchi, Adelphi, Milano 2019.

Colli, G. Filosofi sovrumani, a cura di E. Colli, Adelphi, Milano 2009.

Colli, G. La natura ama nascondersi, a cura di E. Colli, Adelphi, Milano 19882.Colli, G. Platone politico, a cura di E. Colli, Adelphi, Milano 2007.

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