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«Ce n’est plus d’une libération universalisante que l’homme a besoin, mais d’une médiation», scriverà Gilbert Simondon nel 1958 a proposito dell’ideale enciclopedico della cibernetica, cogliendone appieno lo spirito. Questo ideale enciclopedico si accompagnava a una dichiarata volontà di rinnovamento delle categorie filosofiche e di superamento di molte dicotomie metafisiche. È il carattere spettrale e disseminato della cibernetica, il suo insistere negli interstizi dell’enciclopedia, che ci ha spinto a dedicarle questo numero con l’obiettivo di cartografare i luoghi del sapere in cui possono ravvisarsi le tracce lasciate dalla cibernetica, seguirne le piste, ricostruirne le trame, farne emergere i modi d’essere, interrogarne l’eredità e l’attualità.
«Ce n’est plus d’une libération universalisante que l’homme a besoin, mais d’une médiation», Gilbert Simondon (1958) would write, concerning the encyclopedic ideal embraced by cybernetics. This encyclopedic inspiration went hand in hand with an explicit desire for renewal of philosophical categories and with the will of overtaking metaphysics’ dichotomies. It is the spectral and disseminated character of cybernetics, its insistence in the interstices of the encyclopaedia, that has led us to devote this issue to it, with the aim of mapping the places of knowledge in which the traces left by cybernetics can be discerned, following its trails, reconstructing its plots, bringing out its modes of being, questioning its legacy and relevance.
A cura di Luca Fabbris e Alberto Giustiniano
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DOI: https://doi.org/10.13135/2385-1945/18.2023
Pubblicato: marzo 2023
Indice
EDITORIALE
Luca Fabbris, Alberto Giustiniano - Cibernetica. Prospettive sul pensiero sistemico [PDF It]
I. CIBERNETICA. L'EVENTO E I SUOI ANTEFATTI
Arantzazu Saratxaga Arregi - A Reconstruction of Epistemological Foundations of Cybernetics. The First Steps in Epistemologies of Complexity [PDF En]
Marco Ferrari - La cibernetica prima della cibernetica. Filosofia, scienza e tecnica in Norbert Wiener (1914-1943) [PDF It]
Francesco Vitali Rosati - L’officina cosmica. Biosfera, organizzazione, ecologia nel pensiero pre-cibernetico russo [PDF It]
II. LE AVVENTURE DELL'INFORMAZIONE
Francesca Sunseri - “Ciberneretica” simondoniana [PDF It]
Niccolò Monti - The Unmeaning Machine. Cybernetics from Semiotics to AI [PDF En]
Luciano Boi - I diversi livelli di informazione e comunicazione nel mondo vivente e la costruzione del significato [PDF It]
III. L'USO DEI SISTEMI
Robin Asby - On The Framing of Systems and Cybernetic Models [PDF En]
Paolo Capriati - Autopoiesi dei sistemi politici: il caso Cybersyn [PDF It]
Saverio Macrì - Arte e interattività: per un’estetica dei sistemi [PDF It]
IV. OGGETTI, MACCHINE, MEDIA
Luca Fabbris - Cibernetica orientata all’oggetto. L’oggettivismo radicale di Ranulph Glanville [PDF It]
Gregorio Tenti - Tecnoplastia. Note sulla poiesi macchinica [PDF It]
Giancarlo Corsi - Sociologia dei mezzi di comunicazione. Considerazioni per una teoria generale [PDF It]
V. TESTIMONIANZE E MATERIALI
Settimo Termini - All’ombra di nuove scienze in fiore. Lo strano caso della cibernetica con uno sguardo all’Italia degli anni Sessanta [PDF It]
Il glossario del Biological Computer Laboratory [PDF It]
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La stella ascetica. Nietzsche e la soggettivazione
Recensioni / Febbraio 2022Per chi conosce Nietzsche il titolo del libro di Antonio Lucci, La stella ascetica. Soggettivazione e ascesi in Friedrich Nietzsche (Inschibboleth 2020), potrebbe risultare di primo acchito impressionante. Si tratta di uno studio sull’ascesi, ma, prima ancora di questa parola, compare in effigie il termine “soggettivazione”. Non è forse Nietzsche il promotore di un pensiero distruttivo del soggetto? A che scopo dunque trattare della soggettivazione laddove ogni baluardo soggettivo, ogni hypokeimenon, garanzia epistemologica o sostanza che sia, viene disciolto in una nuance, in una costellazione fumosa di impulsi e necessità? Del resto, lo stesso concetto di volontà di potenza mette fuori gioco una certa fiducia nell’arbitrario, e ciò rende complesso anche il tema di una possibilità volontaria lato sensu dell’ascesi, soprattutto quando questa è espressione di una dinamica soggettuale. Per rischiarare al meglio i dubbi qui sollevati, bisogna innanzitutto comprendere che il focus della ricerca presentata da Lucci è non un soggetto, individuale e universale, bensì la soggettivazione, come processo del farsi di un soggetto. Si tratta, in fondo, di un approccio che non si discosta per niente da quanto lo stesso Nietzsche applica mediante la sua genealogia: la conoscenza di un’idea non si cristallizza in un punto finale, da assumere come assodato, ma nel percorso e nel divenire della stessa, con i retroscena e gli usi pratici che entro sé cela. Allora diventa maggiormente interessante la proposta di uno studio sul soggetto soggettivato, poiché questo, lungi dall’essere riassemblato dopo la già avvenuta distruzione nietzscheana, viene piuttosto ulteriormente frantumato, così da poterne intravedere una delle anime, svelata, in queste pagine, come ascesi.
A conferma di quanto è stato ad ora spiegato occorrono le parole di Lucci: «ciò che la filosofia ha chiamato “soggetto” non è altro che il risultato di una serie di pratiche, di atti, di esercizi di soggettivazione di carattere fìsio-psichico – in una parola di un’askesis – e non un punto di partenza, un fondamento inconcusso» (p. 14). Pertanto, “soggetto” non significa né stadio definitivo né iniziale, non è un sostrato immutabile, non è assolutezza. Non è neanche mera apertura all’alterità, perché ciò che soggettivizza non può essere designato alla stregua di una passiva ricezione di input endogeni provenienti da condizioni esterne. C’è un’interiorità che muove dal (non)soggetto stesso, e che tenta di metterlo a fuoco, di plasmarlo secondo un’immagine precostituita, che tende a incrinarsi per raggiungere un risultato. In quest’ottica l’ascesi è fondamentale chiave di lettura non solo di pensatori quali Foucault, Hadot, Schopenhauer, Sloterdijk, Gehlen, Weber; il pensiero nietzscheano merita parimenti un posto in una possibile “storia dell’ascesi”, in particolare per la policromia con cui esso tinge questo concetto, la quale a sua volta proviene da influssi e contesti culturali differenti, primo tra tutti quello della Grecia antica.
Su questo primo aspetto, è mirabile la capacità di Lucci di andare a fondo del problema, con un’apertura filologica sia nei confronti del termine askeo a partire dagli utilizzi omerici e poi greci in generale, sia dell’uso che ne fa Nietzsche nei primi scritti di ascendenza greca, fino a giungere all’ascetica soluzione di una tragedia come «rimedio anti-ascetico della grecità» (p. 19). Con la ripresa dell’asse Orfeo-Pitagora, inoltre, l’ascesi, in quanto fenomeno storico-religioso, si configura anche come scelta politica, opposizione alle pratiche comuni della polis rivolte a divinità olimpiche, adottante un altro tipo di bios, un regime alimentare e un tenore di vita ben differenti. L’ascesi avrebbe dunque in Grecia un significato profondamente sociale, che implica una ribellione a un ordine preconfigurato. Nietzsche assorbe certo il significato “contrastivo” dell’ascesi, soprattutto allorquando questo è complice della rivalsa di divinità notturne su una certa serenità della tarda grecità. In La visione dionisiaca del mondo confluiscono questo, come altri motivi: l’ascesi come volontà o disposizione d’animo (Stimmung) è, ulteriormente, di chiara influenza schopenhaueriana.
Diventa perciò ancora più evidente perché dovrebbe essere utile ai fini dello studio di Nietzsche comprendere il suo rapporto con tale fenomeno: in esso è tratteggiata la nota connessione con Schopenhauer e la relativa rottura, se si pensa al significato filorientale che quest’ultimo vi attribuisce; ancor prima vi è il nesso con la grecità e il concepimento di un “rimedio” greco, come ascesi vitalistica, contrario alla pratica ascetica cristiana, indebolimento della volontà, che sarà oggetto degli scritti maturi. Certo, non bisogna escludere in principio il rapporto ascesi-santità, soprattutto laddove la prima designa «un campo semantico comune, che troverebbe poi una sintesi, come sua espressione compiuta, nell’idea tarda di ascesi come “esercizio”», ovvero una tensione plasmatrice e trasformativa verso un miglioramento, «un lavoro mirato al perfezionamento, che si applichi al dato naturale costituito dal corpo, per renderlo inattaccabile, non-rovinato, […] perfetto, privo di difetti» (p. 31). Come potrebbe questa definizione distanziarsi del tutto da quel medesimo lavoro che invece viene preteso per lo spirito? Non deve stupire se verrà attribuito un significato non del tutto corporale all’ascesi nietzscheana, la quale «ha innanzitutto un valore psico-energetico» (p. 59), vale come “incanalamento” di impulsi, direzionamento di una volontà superindividuale e non soggettiva, per quanto soggettivante. Ecco che «a loro volta questi stessi soggetti non sono che espressione di convoluti storici sovraindividuali anch’essi portatori di quanta psico-energetici: le culture […], atte a potenziare, incanalare o disinnescare i propri flussi energetici» (p. 64). È chiaro, pertanto, che non è l’aspetto psichico a distrarre da quello corporeo, elementi che per Nietzsche convivrebbero in armonia, quanto piuttosto quello culturale, che denota talvolta una passiva accettazione di carismi morali. In questo senso, dunque, anche l’ascesi come santità si propone a seguito di una degenerazione della civilizzazione attuata per mezzo del cristianesimo, è il pharmakon dolceamaro delle Stimmungen o energie psichiche cristiane.
L’ascesi è dunque strumento utile o dannoso per Nietzsche? Se stimata «in quanto modalità di gestione della propria potenza» essa sembra avere un ruolo positivo nella comprensione di una sofferenza che insegna, è benefica; in tal caso essa è fenomeno atemporale, cioè estrapolato dalle dinamiche storiche di civilizzazione che sottendono culture e religioni diverse. Nei frammenti postumi si legge di un’ascesi come preservazione dalla barbarie della civiltà: qui si fa pratica oppositiva, di segno greco, contro un regime infiacchito e manipolatorio. «Preparazione ascetica» diventa lo stigma di un’autoconservazione rude, ma quanto mai raffinata in una cura di sé rivolta a esasperare il tono arrendevole delle ascesi religiose, che segnano non altro che il travasamento dell’individuo in un’assuefazione a un possibile dettame oltremondano. Il cristianesimo si presenta, infatti, a sua volta, come una forma di preservazione, un’immunizzazione dalle passioni che fa dell’esercizio e dell’autocontrollo una tattica di depotenziamento. La definizione di ascesi in Nietzsche sembra quindi palesarsi come una corda tesa tra due pilastri, tra il l’infrollimento e il depauperamento delle energie di tipo religioso e l’auto-affermazione di una volontà di potenza estrorsa, esuberante, che tenta il raffinamento della propria energia in tracimazione. Si tratta in fondo di un fenomeno unitario, ma stirato tra due poli, i quali, agli antipodi, non possono che decifrare questa medesimezza in modo diverso, generando dunque, nello stesso Nietzsche, l’esplosione della miriade di significati che di volta in volta la pratica ascetica assume. Entrambi i versanti approcciano verso una esternalizzazione dell’individualità, ovvero verso la perdita dei tratti sintomatici della parzialità delle visioni singolari, riversate piuttosto in un’aspettativa “alle spalle” del mondo e della vita, nei casi di una certa ascesi religiosa, e “al di là” di principi morali e dettami metafisici, al di qua del corpo e della volontà, in Nietzsche. Per quest’ultimo, essa vale come l’applicazione di una forma di soggettivazione de-soggettivante, in cui non un io singolo e individuale è sostrato, ma un cosmo di relazioni e rimandi, di ritorni e re-individualizzazioni. Anche la solitudine, ulteriore tematica ascetica, si rispecchia in questo parametro: essa non rappresenta una chiusura idiotistica, ma la comprensione di un senso comune che non è né sociale né religioso, ma che, intersoggettivamente e de-soggettivamente, è cristallizzazione della volontà.
La questione del soggetto, con cui si era aperta questa disamina, sembra dunque ripresentarsi in chiusura, con quanto ne spiega le implicazioni e le genealogie che lo precedono: «per Nietzsche sono gli istinti a essere i soggetti e non quello che noi riteniamo essere normalmente “il” soggetto, vale a dire il nostro Io razionale» (p. 70). Il soggetto della potenza, nel senso bidirezionale del genitivo, è il frutto del gioco di maschere tra ascesi, istinti e soggetto: questa una delle più pregnanti cognizioni di un esercizio ludico e mai definitivo in Nietzsche, che Lucci offre tra molte intuizioni acute di questo libro, le quali meritano un’attenzione sia per l’originale – e complicata – espressione del tema a partire da questo autore, sia per un’analisi che scandagli in sé il già plurivoco fenomeno ascetico.
di Annamaria Pacilio
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Jean-Luc Nancy – Dov’è successo?
Recensioni / Febbraio 2015Il tema dell'archivio, oggetto dell'intervista di Nathalie Léger a Jean-Luc Nancy qui proposta in traduzione italiana a cura di Igor Pelgreffi, acquista nel corso del Novecento una sempre maggiore autonomia dalle discipline che se ne sono occupate tradizionalmente, in primo luogo la storia e la filologia. Dal punto di vista filosofico, emerge così progressivamente la domanda sul senso dell'archivio e sugli effetti che esso può determinare sulle opere e sull'immagine stessa di un autore. In altre parole, come ricorda il curatore in apertura del saggio introduttivo, «come esaminare il passato del proprio lavoro? Qual è la sua materia, quali sono i suoi oggetti? Qual è la parte della cancellazione e della distruzione? Come iniziare con ciò che resta?» Innanzitutto, ogni archivio è un luogo. Non solo nel senso dello spazio fisico in cui sono raccolte le opere di uno o più autori, ma uno spazio entro cui sono possibili certe operazioni intellettuali: infatti, se da un lato l'archivio rappresenta una risorsa insostituibile nel processo di analisi del pensiero di un filosofo, nella conservazione delle sue opere e nella costruzione della sua immagine futura, dall'altro lato esso apre una serie di interrogativi filosofici inediti, relativi al funzionamento dell'archiviazione, al suo duplice carattere di mantenimento e perdita, al momento a partire dal quale si può dire di aver davvero archiviato qualcosa. In sintesi, dove e a chi (o a cosa) accade l'archiviazione? È questo l'interrogativo di fondo attorno a cui si snoda tutto il discorso di Nancy, d'ispirazione decostruttiva, qui presentato. Come osserva acutamente Pelgreffi, «non possiamo comprendere l'archivio se non immaginiamo un intreccio fra spazio dell'archivio e tempo dell'archivio così come fra spazio dell'archiviazione e tempo dell'archiviazione, cioè quello che, in termini derridiani, potremmo pensare come una différance spazio-temporale, nel senso di una spazializzazione del tempo e di una temporalizzazione dello spazio.» Ed è senza dubbio in consonanza col pensiero di Derrida che Nancy costruisce il proprio discorso sull'arché e sull'istituzione dell'archivio, col risultato - paradossale, come quasi sempre accade seguendo un approccio derridiano o,
come in questo caso, post-derridiano - che proprio l'“oggetto archivio”, la cui istituzione è segnata da un luogo e una data, finisce per essere l'elemento meno stabile per determinare la nostra relazione col passato. Piena continuità, dunque, col testo di Derrida Mal d'archive, di cui questo discorso di Nancy rappresenta idealmente la prosecuzione. Infatti, Nancy condivide la preoccupazione derridiana di una possibile riduzione dell'archivio al mito del “ritorno all'origine”, in altre parole l'istituzione di un luogo a cui consegnare il passato dell'autore, il suo tempo perduto. Al contrario, osservano Derrida e Nancy, non esiste alcuna origine piena da poter rendere presente e disponibile, ma soltanto l'archiviazione che permette di rinvenire la traccia dell'origine. Come osserva Pelgreffi, da tale confronto con Derrida emerge che il soggetto non è diviso tra due mondi, quello interno e quello sociale, ma è preso nel processo di riassorbimento e rigenerazione delle forme soggettive che dà luogo all'archivio, precedendo dunque ogni dualismo tra interiorità ed esteriorità. Ne consegue che il datum documentale non è un atomo, ma un'unità differenziata, ibrida, divisa originariamente nei suoi elementi giuridici, etici, politici ed esistenziali. Ma se Nancy richiama esplicitamente Derrida, intreccia altresì un dialogo “silenzioso” con Foucault, per il cui pensiero, com'è noto, la nozione di archeologia è di primaria importanza. Dal suo punto di vista, l'archivio permette di chiarire il nesso tra sapere e potere che si manifesta in ogni discorso: in questo senso, l'archivio non è soltanto il luogo fisico dove rinvenire tutte le informazioni su uno o più autori, ma «il sistema generale della formazione e della trasformazione degli enunciati.» In altre parole, secondo Foucault l'archivio si pone a metà strada tra il trascendentale e l'empirico, dà luogo a un ordine terzo rispetto al puramente ideale - la ragione come archetipo perfetto dell'archivio - e all'assolutamente empirico, sciolto da ogni regola discorsiva.
Questo duplice dialogo con Derrida e Foucault induce a evidenziare anche un altro fil rouge del testo di Nancy: la questione dell'alterità. Infatti, nell'istituzione dell'archivio è già sempre coinvolto l'altro, in modo tale che la domanda sull'archivio implica anche sempre la questione del rapporto tra archiviazione, estraneità e istituzione. Come ha osservato molte volte Derrida, qualunque processo di istituzione conserva una traccia di ciò che esclude, cioè di quell'estraneità che sceglie originariamente di estromettere dall'istituzione o dall'archiviazione. In sintesi, per dotarsi di una qualche identità, l'archivio, nell'atto della sua istituzione, è costretto a relazionarsi con ciò che sceglie di non archiviare. Deve nominarlo, assumerne le sembianze, in modo tale che può accadere che sia proprio l'escluso dall'archiviazione ad assumersi il compito di conservarne la memoria. Ora, tale intreccio irrisolto tra identità e alterità è continuamente rilanciato da Nancy in questo testo, ad esempio attraverso la questione “che cos'è un'opera?” - come nota il curatore, vero e proprio contrappunto alla domanda di Foucault “che cos'è un autore?”, oggetto di una conferenza al Collège de France del 1969.
Volendo individuare la tesi portante del discorso di Nancy, attorno a cui si annodano tutti i vari temi che egli affronta in questo breve testo, si potrebbe azzardare la seguente affermazione: l'archivio sottrae l'autore stesso a qualunque forma di sapere oggettivo. Il che significa che non si potrà mai raggiungere una qualche conoscenza definitiva e cogente di «chi è diventato questa firma che offre il suo nome, i suoi tratti, il suo carattere»all'archiviazione: quest'ultima resterà sempre un processo che non consente di afferrare concettualmente la natura del proprio rapporto con un certo autore, benché lo riguardi direttamente. In altre parole, chi è diventato l’autore, una volta che transita dal proprio archivio? Nancy risponde: «Nessuno che noi possiamo nominare o circoscrivere in alcun modo. “Gli archivi di X” sono un modo di far indietreggiare X più lontano, più in profondità nei suoi archivi. Noi vediamo i suoi tentativi, le sue note, le sue esitazioni, le sue vergogne forse, le sue dissimulazioni, i suoi oblii: ma lui, “lui”, dov’è?».
di Claudio Tarditi