Lo studio del linguaggio in filosofia sta conoscendo negli ultimi anni una svolta importante, legata alle recenti acquisizioni degli studi neuroscientifici sul funzionamento del nostro sistema cognitivo e della sua relazione con la dimensione sociale dell’umano. Sulla scorta di approcci come quelli dell'Embodied Cognition (F. Varela, E, Thompson, E. Rosch 1991; Lakoff e Jhonson, 1999) e della teoria simulativa (Barsalu 1999, Gallese e Lakoff 2005), la filosofia ha cominciato a concentrarsi meno sul funzionamento interno del linguaggio, per interessarsi di più alla complessa relazione tra il livello biologico, psichico e sociale che il linguaggio al contempo costruisce e del quale necessita per poter esercitarsi in modo efficace. Importanti in tal senso sono state le posizioni dei linguisti che hanno rinnovato i vecchi modelli interpretativi dell'evoluzione umana, gettando nuova luce sul ruolo che in essa ha rivestito la comparsa e l'evoluzione del linguaggio (Dor, Jablonka 2001; Deacon 1997).
Questo ha comportato anche un rinnovamento della biolinguistica (Boeckx e Di Sciullo, 2011), che da una parte ha determinato una revisione della prospettiva chomskyana in chiave evoluzionistica e dall'altra ha aperto lo spazio per ipotesi e interpretazioni differenti sull'origine, la natura e il funzionamento del linguaggio. L'identificazione a livello neurobiologico di una rete del linguaggio (Fedorenko et al. 2024) che integra in sé le funzioni un tempo ritenute separate della produzione e della decodifica (identificate classicamente con l'area di Broca e quella di Wernicke) ha reso inoltre più complesso e sfumato comprendere a livello cognitivo il funzionamento e la struttura del linguaggio.
Accanto ai progressi nel campo delle neuroscienze e della biologia evolutiva, che hanno tolto in molti casi solidità a posizioni teoriche che sembravano consolidate, una nuova sfida che la filosofia del linguaggio contemporanea deve affrontare è quella lanciata dai progressi dell'intelligenza artificiale nel campo della simulazione dei linguaggi naturali. Il rapidissimo miglioramento delle performance linguistiche dei Large Language Models (Naveed et al. 2023) ha portato la filosofia a interrogarsi di nuovo su quelle che sono le caratteristiche peculiari del linguaggio umano rispetto a quello prodotto dalle macchine. In tal senso, piuttosto che paventare scenari in cui le macchine diventeranno intelligenti e autonome, sembra più proficuo interrogarsi sulla natura e sul funzionamento del linguaggio alla luce delle trasformazioni tecnologiche che stiamo vivendo.
L’obiettivo del presente numero di Philosophy Kitchen è quello di coinvolgere esperti provenienti da differenti campi di ricerca (biologia, neuroscienze, filosofia del linguaggio, linguistica, architettura e design, intelligenza artificiale) in una riflessione condivisa su quello che sappiamo e quello che può diventare lo studio del linguaggio negli anni a venire. Riteniamo che solamente attraverso un approccio multidisciplinare possano essere prese in considerazione le numerose strade che si aprono alla ricerca e le sfide lanciate alla filosofia dalle recenti acquisizioni degli studi sulla biologia del linguaggio e dai progressi delle tecnologie di intelligenza artificiale applicate alla comunicazione umana. In questo contesto, si intende esplicitamente evitare ogni forma di riduzionismo biologistico, promuovendo invece prospettive capaci di cogliere la complessità storica, culturale e sociale dei fenomeni linguistici.
Sezioni tematiche:
- Origini del linguaggio e teoria dell’evoluzione
- Neuroscienze del linguaggio e loro implicazioni filosofiche
- Linguaggi naturali e linguaggi artificiali
- Intelligenza artificiale e simulazione del linguaggio
- Nuove pratiche (artistiche, architettoniche, progettuali...) in cui il linguaggio assuma dimensione innovativa
Deacon, T., (1997). The Symbolic Species: The Co-Evolution of Language and the Human Brain. Penguin Press.
Di Sciullo, A. M., & Boeckx, C. (Eds.). (2011). The biolinguistic enterprise: New perspectives on the evolution and nature of the human language faculty. Oxford University Press.
Dor, D., & Jablonka, E. (2001). How language changed the genes: Toward an explicit account of the evolution of language. In J. Trabant & S. Ward (Eds.), New essays on the origin of language (pp. 149–176). De Gruyter Mouton. https://doi.org/10.1515/9783110849080.149
Fedorenko, E., Ivanova, A. A., & Regev, T. I. (2024). The language network as a natural kind within the broader landscape of the human brain. Nature Reviews Neuroscience, 25(4), 289–312. https://doi.org/10.1038/s41583-024-00802-4
Gallese, V., & Lakoff, G. (2005). The brain’s concepts: The role of the sensory-motor system in conceptual knowledge. Cognitive Neuropsychology, 22(3-4), 455–479. https://doi.org/10.1080/02643290442000310
Lakoff, G., & Johnson, M. (1999). Philosophy in the flesh: The embodied mind and its challenge to Western thought. Basic Books.
Naveed, H., Khan, A. U., Qiu, S., Saqib, M., Anwar, S., Usman, M., Barnes, N., & Mian, A. S. (2023). A comprehensive overview of large language models. ArXiv. https://doi.org/10.48550/arXiv.2307.06435
Varela, F. J., Thompson, E., & Rosch, E. (1991). The embodied mind: Cognitive science and human experience. MIT Press.
Procedura:
Per partecipare alla call, inviare all'indirizzo redazione@philosophykitchen.com e a quello dei curatori in cc. damiano.cantone@uniud.it entro il 01 luglio 2025, un abstract di massimo 4.000 caratteri, indicando il titolo della proposta, illustrando la strutturazione del contributo e i suoi contributi significativi, e inserendo una bibliografia nonché una breve biografia dell’autore o dell’autrice.
L'abstract dovrà essere redatto secondo i criteri scaricabili qui [Template Abstract], pena esclusione.
Le proposte verranno valutate dai curatori e dalla redazione. I contributi selezionati, che saranno sottoposti a double-blind peer review.
Lingue accettate: italiano, inglese.
Calendario:
- 01 luglio 2025: invio abstract
- 15 luglio 2025: notifica accettazione/rifiuto della proposta
- 10 gennaio 2026: invio dell'articolo
- giugno-luglio 2026: comunicazione degli esiti della double-blind peer review
L’intento di questa raccolta, che prende il titolo di “Soggettivazioni”, è stato quello di aprire una riflessione attorno alla teoria della soggettivazione lacaniana, così per come ce l’ha lasciata in eredità Lacan, a singhiozzi, nei testi stabiliti a partire dai suoi trent’anni di insegnamento orale. Cosa può dirci una psicoanalisi asistematica, distante dalle istituzioni universitarie rispetto a problemi di una concretezza innervata di realtà? Chi frequenta i dipartimenti di Psicologia e assieme l’insegnamento lacaniano sa che è incommensurabile la distanza che intercorre tra la specificità e la settorializzazione degli strumenti istituzionali a confronto con l’universalità dei concetti larghi e volontariamente mai definiti dello psicoanalista parigino. Tra l’estremamente particolare (l’ad hoc della psicologia contemporanea) e l’estremamente universale (il concetto, unità sintetica della filosofia) si rischia di incorrere in un deragliamento del punto focale, causato da uno scontro di metodi epistemologici che si sono stabilizzati ai bordi opposti l’uno rispetto all’altro. Nella scelta di prendere in considerazione un tema vasto e generale come la teoria della soggettivazione c’era l’interesse, da parte nostra, di porlo in dialogo con il campo altrettanto vasto e generale del presente. Speriamo che questa prima ricerca possa costituirsi come un’indagine (sebbene parziale) sullo statuto del soggetto in quanto campo epistemologico aperto: attingendo dalla teoria psicoanalitica e dal dibattito che ne è scaturito, il presente volume segue molteplici sentieri analitici e sottolinea di contributo in contributo la difficoltà di giungere a un’idea organica di soggetto, per la varietà di ipotesi spesso contrastanti in merito alla sua rappresentazione, formalizzazione e interpretazione. In questa raccolta crediamo che i punti maggiormente messi in rilievo da chi ha collaborato riguardino il problema della genesi, lo statuto della trasformazione, e infine un’attenzione specifica è stata rivolta al registro del Reale e ai suoi effetti.
Nel corso del Novecento i concetti di forma e di struttura subiscono un radicale ripensamento. Emblematico è il caso della matematica: sebbene la nozione di struttura avesse fatto la sua comparsa già nel secolo precedente in ambito algebrico e insiemistico, solo in questo secolo si assiste al tentativo di ripensare l'intera scienza alla luce di tale nozione. Mediante ripetuti procedimenti di messa in isomorfismi, campi eterogenei della matematica (algebra, geometria, analisi, teoria dei numeri, ecc.) sono ricondotti alle trasformazioni trasversali di cui partecipano. Si pensi per esempio al progetto bourbakista di una “architettura della matematica” e ai suoi sviluppi odierni in teoria delle categorie: focalizzando l'attenzione non più sulle strutture ma sulle funzioni, una simile prospettiva si emancipa dal sospetto di “essenzialismo” per dare conto del processo stesso di formazione che dà luogo alle strutture.
Altro ambito in cui il concetto di forma acquista un ruolo centrale è quello della psicologia: dal primo decennio del secolo, un intero movimento, la Gestalttheorie, assume la forma (sinonimo di unità strutturata) come proprio oggetto d’indagine e fonda esplicitamente (Köhler, Wertheimer) la propria teoria della percezione sul postulato di un isomorfismo, almeno nomologico, tra piano fenomenico e fisiologico. Inoltre è proprio da tali ricerche, in particolare da quelle di Meinong ed Ehrenfels, che la fenomenologia eredita una specifica attenzione al rapporto tra parte e intero: dall’elaborazione formale delle intuizioni gestaltiste sulla percezione, come quella sulla differenza tra parti indipendenti e non indipendenti, Husserl getta nuovi basi per la riflessione mereologica.
Lo statuto e la genesi della struttura si ritrova al centro delle analisi strutturaliste, la cui definizione di struttura può essere sintetizzata, prendendo a prestito le parole di Piaget, come un sistema unitario di trasformazioni auto-regolatrici riscontrabile in diversi ambiti del reale e, dunque, oggetto di diverse discipline (linguistica, semiotica, antropologia). Insieme a simili indagini, si assiste alla riformulazione delle filosofie della forma: quelle di Ruyer e Simondon, entrambe fortemente influenzate dai più aggiornati dibattiti scientifici, possono essere prese a esempio giacché rintracciano nella forma una nozione imprescindibile per dar conto dei vari livelli del reale, sia esso fisico o biologico o psicologico.
Anche in altri domini di ricerca, e con altre declinazioni, seppur tangenti alle analisi avanzate in filosofia, prende corpo la formalizzazione della cosiddetta teoria sistemica, soprattutto a partire dai contributi della teoria dei sistemi generali di von Bertalanffy, della cibernetica di Wiener e della teoria dell'informazione di Shannon. Da questa si avviano tanto le indagini sulla morfogenesi e sull'autopoiesi di Maturana e Varela quanto quelle sulla morfogenesi di René Thom, a loro volta riprese, rafforzate e reinnestate in ambito strutturale da Jean Petitot attraverso la proposta di uno strutturalismo morfodinamico o strutturalismo naturalizzato.
Da quest’orizzonte di problemi, sopra succintamente delineato, il sesto numero di “Philosophy Kitchen” intende chiamare a indagare i caratteri epistemologico e ontologico dell'isomorfismo – strettamente connesso a nozioni quali forma e formazione, struttura e strutturazione –, nel tentativo di fare chiarezza sulla valenza della loro relazione. Primo obiettivo sarà dunque quello di appurare la natura, l'evoluzione storica e gli slittamenti di significato che l'isomorfismo, inteso come corrispondenza tra modelli o strutture aventi domini omogenei, ha assunto all'interno delle diverse discipline nel corso del Novecento.
Sul piano epistemologico, si può affermare che l'isomorfismo assume una portata metodica se applicato, in qualità di strumento, a strutture afferenti a livelli diversi di realtà, talvolta apparentemente distanti. Ci si propone allora di valutare la possibilità di generalizzare un simile strumento d’indagine, in vista dell'accrescimento e dell'organizzazione del sapere.
La vulgata dice che Freud era maschilista: di questo fu accusato più o meno velatamente, anche nell’ambito della psicoanalisi, e questa accusa ancora oggi ha i suoi echi. Ma che cosa ha apportato Freud intorno alla questione del femminile? Potremmo dire che il lascito maggiore su questo tema è stato aver aperto delle interrogazioni su punti per lui oscuri, e di averle lasciate aperte. Non poco come insegnamento in un mondo dove non c’è più posto per il fallimento, per il dubbio, per la ricerca, ma solo per il risultato e la riuscita performativa. Aveva lasciato queste domande aperte chiedendo esplicitamente alle donne psicoanaliste di provare a trovare delle risposte, perché forse, essendo donne, avrebbero avuto maggiore facilità. Non sono state invece le donne psicoanaliste a far avanzare la faccenda, ma è stato uno psicoanalista francese, Jacques Lacan, colui che ha apportato del nuovo in questo campo.
Tutti sappiamo, dalla nostra stessa esperienza e da quello che ci circonda nel mondo, che l’assunzione dell’identità sessuale non corrisponde all'appartenenza anatomica a un sesso o a un altro. Dunque, Freud si domanda innanzi tutto come si introduce la differenza sessuale. E rileva che questa prende avvio primariamente a partire dall’immagine, dato che è a partire dall’immagine del corpo che un nuovo nato, fin da subito, è inscritto simbolicamente come maschio o femmina. Due corpi differenti, quello maschile e quello femminile, la cui differenza appunto, data da un pezzo di carne presente o assente a livello dell’immagine, si traspone immediatamente su un piano simbolico: maschio o femmina, ce l’ha o non ce l’ha, + o -. E per sottolineare la separazione di ciò di cui si tratta dalla realtà fattuale, cioè dal livello puramente organico, Freud gli ha dato il nome degli antichi misteri: il fallo.
La bambina, dice Freud, manca di qualcosa: manca del fallo. Sarà Lacan, introducendo le categorie di Simbolico, Immaginario e Reale, a permetterci di situare questa mancanza al livello che le è proprio. Infatti, una simile mancanza è tale a livello immaginario e simbolico, ma dato che il nostro mondo è essenzialmente un mondo organizzato dal simbolico, ovvero dal linguaggio, questa mancanza ha la sua incidenza, e la bambina dovrà, volente o nolente, farci i conti. Freud immaginava che la bambina potesse recuperare quella stessa mancanza attraverso un sostituto del fallo (il termine stesso di sostituzione ci dice che siamo in un campo simbolico), ovvero con il bambino che, un giorno, avrebbe potuto avere al posto del fallo. Ne deduceva così che la migliore via d'uscita per la sessualità, dal lato femminile, fosse la maternità. Ma alla fine della sua vita, si è accorto che questa soluzione, la soluzione della sostituzione fallica, non era sufficiente per spiegare completamente la questione del femminile, che per lui resterà “il continente nero”.
Dunque Freud scopre che a livello della rappresentazione simbolica non c’è che un solo simbolo: il fallo. Lacan ci dirà, utilizzando i termini della linguistica, che mentre c’è un significante per rappresentare l’uomo, non ce n’è analogamente uno per la donna. Se c’è l’universale maschile non c’è quello femminile. E non si tratta solo di rappresentazione, ma anche di godimento. La donna può trovare la propria rappresentazione attraverso il fallo, ma non tutta. La donna può godere del fallo (cioè di ciò che ha: il bambino, diceva Freud, ma in quel posto di sostituto si può trovare qualsiasi altro oggetto), ma non tutta. Non tutto del femminile è preso dal versante fallico.
Freud aveva presentito questo, e si domandava infatti: che cosa vuole una donna? Sarà con Lacan che la questione potrà avanzare: se non c’è un universale femminile, le donne si contano solo una per una. Se la donna non gode solo del fallo, c’è un godimento femminile che eccede, che non è dicibile proprio in quanto non rappresentabile e non universalizzabile. Questioni accademiche? Non tanto, se pensiamo alle difficoltà della relazione fra i sessi, che toccano tutti gli esseri parlanti ma che oggi, forse più che un tempo, sfociano nella violenza: violenza che mira ad annientare quella differenza, a rigettarla, di cui non si vuole sapere nulla.
Bibliografia:
S. Freud (1978). Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica fra i sessi. In Id., Opere. Vol. 10. Torino: Bollati Boringhieri.