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“In seguito a Freud, Lacan ha chiaramente enunciato che l’inconscio è ciò che si legge al di là di ciò che viene detto, indicando così che si tratta di un processo di scrittura.” D. Castanet (2015), p. 5-7

Dallo scambio epistolare riportato nelle pagine di Il nome e il numero. Dialogo tra uno psicoanalista e un fisico-matematico (Paginaotto 2023), sorge una ricerca ingenua e proficua. Ingenua, perché drammaticamente onesta rispetto all’oggetto impossibile che la riguarda e che nonostante tutto cerca rigorosamente di cogliere, proficua perché comunque innovativa per il lettore che vorrà misurarsi alla sua lettura. Trattasi in questo senso di un libro coraggioso e appunto assolutamente d’indagine, di ricerca psicoanalitica che non manca di rimandare pertanto alle sue ricadute in campo clinico.

Non sono in effetti così numerosi i testi di psicoanalisi che in lingua italiana cercano di avvicinare la pratica freudiana ad una formalizzazione di tipo matematico che Lacan fu il primo ad intuire come necessaria alla sua trasmissione. Se infatti i testi francesi pubblicati sul tema iniziano ad essere diversi e soprattutto letti dagli psicoanalisti, si veda tra gli ultimi - A l'ombre de Grothendieck et de Lacan. Un topos sur l'inconscient? (2022) anche qui presentato in forma didialogo tra gli autori Patrick Gauthier-Lafaye e il premio Fields Alain Connes, oppure, sempre per i lettori francesi: “De Pythagore à Lacan, une historie non officielle des mathématiques, à l’usage des psychanalystes.” di Virgina Hasenbalg-Corabianu (2016) -,in italiano non ritroviamo la stessa quantità e qualità di produzione rispetto a questa particolare piega del discorso analitico. Rispetto alla parte matematica della pratica freudiana, infatti, ad oggi a disposizione del lettore italiano possiamo trovare principalmente testi di topologia. Citiamo qui i più recenti e convincenti: “L’impresa topologica di Jaques Lacan” di Raffale De luca Picione (2020) e sempre dello stesso autore “Il nodo e la psiche” (2023). Da segnalare anche “Perché la topologia? Lacan, la psicoanalisi e la topologia” ad opera di Fabrizio Gambini e Mauro Milanaccio (2019). Se dunque la parte di geometria non euclidea applicata alla psicoanalisi sembra non aver troppe resistenze nell’essere ricevuta e discussa dagli psicoanalisti italiani, un confronto con la scrittura matematica, soprattutto attraverso lo sviluppo dell’algebra con cifre e lettere, tarda invece ad arrivare.

In fin dei conti si sa, l’allergia degli psicoanalisti per le discipline matematiche è piuttosto nota e unanimemente internazionale. Ora, contrariamente a ciò che si può pensare, questo non è certo l’ultimo dei problemi della categoria. Come viene infatti ad indicare Jean-Pierre Cléro riprendendo e parafrasando un’idea già esplicitata da Lacan nell’suo seminario Ou pire… : “L’incomprensione della matematica non è una semplice carenza che si presenterebbe come un dato di fatto, contingente e senza senso; dev’essere considerata come un sintomo” (2010), p. 7-36. Lacan dirà appunto in proposito che: “Questa confusione circa l’incomprensione matematica è da ascrivere a quest’idea che qui il sintomo – l’incomprensione matematica – è in fin dei conti l’amore della verità, se posso esprimermi così, per sé stessa, che lo condiziona.” - (1971), p 39.

Me se sarà solamente verso la fine del suo trentennale insegnamento che il Maître à penser della rue de Lille metterà in rilievo l’importanza fondamentale dell’apporto matematico alla causa psicoanalitica, lui stesso, all’alba dei suoi 70 anni, si rivolgerà allo studioso e amico Francois Cheng come un allievo ingenuo ma determinato si rivolge al proprio maestro, per imparare, in questo caso, le particolarità della scrittura cinese, Scrittura forse non meno complessa, ricca ed articolata di quella matematica[1]. Ed è allora proprio allo stesso movimento, allo stesso atto d’uscita dalla propria comfort zone di riferimento come fa implicitamente l’allievo Lacan, che ci invitano coloro che parlano a partire dalle pagine di questo libro. Comfort zone intellettuale che verrebbe a segnalare una certa familiarità con l’incomprensione sintomatica verso la matematica di cui fanno generalmente prova gli psicoanalisti. Banale resistenza direbbe loro un più asciutto Freud. 

Ritornando al manoscritto edito da Paginaotto, nella sua particolare forma di scambio di missive il testo scritto da Fabrizio Gambini e Guido Magnano ci viene in soccorso. Il dialogo tra i due non si dipana infatti senza generare un quid di autenticità che va a smussare la spigolosità degli argomenti trattati, e in questo modo, la distanza del lettore dai 12 Topos (principali argomenti dibattuti), si affievolisce e diventa meno siderale man mano che la lettura procede. Le posizioni dalle quali parlano inoltre i due scrittori vengono sostenute e rilanciate dall’equilibrio di un transfert di lavoro evidentemente all’opera tra i due, in cui l’Uno sembra esser appunto maestro dell’Altro. Attraversando dunque concetti a cavallo tra le due discipline come quelli di rapporto, limite, infinito, vuoto, etc… gli autori s’interrogano con curiosità su questi diversi topos, servendosi della matematica e dei concetti che ne hanno fatto la storia per cercare di offrire al lettore nuove chiavi di lettura per antiche serrature e vecchi paradossi. D’altronde, i contributi di Pitagora, Cartesio, Leibnitz, Cantor e Dedekind saranno solo alcuni tra gli eminenti interventi invitati al dibattito. Anche la musica, interrogata nella sua forma di scrittura e di rapporto tra le note farà capolino nella discussione, dando prova di una poliedrica ed estesa formazione di colui che appassionatamente ne parla. Uno dei punti decisivi sul quale però ci sembra valga la pena soffermarsi, punto in qualche modo situato alla base della nascita di questo manoscritto, è che la metamatematica non è, e non può essere una forma di metalinguaggio. Nemmeno nuova. Gli autori non danno infatti false speranze in questa direzione. La matematica non verrà qui intesa cioè come qualcosa di più adatto delle parole per parlare del linguaggio stesso. Questo semplicemente perché come ricorda alla sua maniera Lacan: “Non c’è Altro dell’Altro.” - J. Lacan (1959), p 353. In questo senso, dunque, nemmeno la matematica può essere questo Altro, non sarà la matematica che potrà venire a riempire questo luogo Altro dell’Altro, luogo dell’Altro sull’Altro, perché per l’appunto questo luogo non esiste. Ci sembra che Guido Magnano lo dica chiaramente in un passaggio del testo dove si accennerà in seguito anche alla questione dell’intelligenza artificiale: “Come già facevo intendere nella mia lettera precedente, pur essendo addestrato all’uso modellistico della matematica, e a ritenere questo l’unico uso ‘scientificamente corretto’ della mia disciplina; tuttavia, esito a pensare che una modellizzazione di questo tipo possa dar conto dei processi inconsci. (…). Piuttosto mi sembra che il linguaggio matematico sia per Lacan un po’ quello che il neerlandese era per Stevin; uno strumento per creare neologismi e liberare la mente dai preconcetti celati nelle parole che usiamo quotidianamente.” -G. Magnano (2023), p 226.

In sintesi, ciò che in questo lavoro ci pare esser messo in evidenza (ma non solo questo punto, ben inteso) quanto abilmente articolato con diversi esempi, formule e dimostrazioni è il fatto che in compenso la matematica ci permette di avvicinare in maniera radicalmente più netta, rispetto alla lettera presa nella lingua, la funzione del significante. A partire da qui si capisce perché è così importante occuparsi di matematica e formalizzazioni matematiche per lo psicanalista, proprio come Freud consigliava ai suoi allievi di riprendere un’analisi ogni 5/6 anni per cercare di rimanere sensibili alla dimensione inconscia del gioco significante [2], aver a che fare con la matematica, aiuta ad isolare e a riconoscere questo funzionamento all’opera in ciascuno di noi. Chi fa lo psicanalista sa bene quanto nella sua pratica clinica i numeri in quanto, ad esempio, date importanti della vita del soggetto, cifre dell’ammontare della seduta, numero delle sedute nella settimana, etc… diventino decisivi per segnalare qualcosa dell’emergenza di un Reale nel discorso inconscio del soggetto. Trattasi qui di un Reale del linguaggio spogliato quasi interamente della sua veste immaginaria. La matematica se non è dunque un metalinguaggio, è banalmente, un linguaggio e cioè una forma di scrittura che si adatta particolarmente bene a cogliere e ridare la pulsazione della scrittura significante alla quale sono annodati i parlesseri.

In conclusione, potremmo far rimarcare che questa sorta di spontaneo essai interdisciplinare non è un unicum nella storia dei confronti intellettuali, laddove il primo carteggio tra un fisico e uno psicoanalista risale infatti al secolo scorso. Curiosamente, ed è un fatto che in fin dei conti ci ha sorpreso non poco, il libro di Fabrizio Gambini e Guido Magnano si chiude proprio sul punto dove incominciò quest’ultimo, ben lontano da riferimenti a formule o assiomi matematici; ovvero dal problema della guerra. Si fa qui riferimento ovviamente allo scambio di lettere intercorso tra Einstein e Freud nell’estate del 1932 a proposito de “La necessità della guerra?” - S. Freud, E. Einstein, (1997). Problema che attanaglia gli uomini dalla notte dei tempi e che non sembra volerli lasciare quieti nemmeno all’epoca della loro ultra-scientifica modernità. Con tutte le dovute proporzioni, anche qui si è trattato di uno scambio ingenuo e nonostante tutto (o proprio per questo) altamente proficuo per chi lo legge, scambio che Einstein avviò con Freud interrogandosi appunto sul perché, sulla ragione dell’insistenza della guerra nella storia degli uomini nonostante appunto gli incredibili progressi conquistati dal genere umano. Dalla sua scienza. La questione rimane aperta e sembra non trovar antidoto nel tragico rilancio dell’attualità. Forse però, davanti al vuoto di un non sapere, di fronte alla mancanza di una risposta, possiamo seguire proprio il solco tracciato dagli autori del manoscritto - si può cioè scriverne qualcosa di questo non sapere, sia esso l’insondabilità dell’infinito matematico o l’irragionevole quanto costante flagello della guerra per la razza umana, si può tentare, in altre parole: “un esercizio di condivisione di una consapevole ignoranza: che è poi il presupposto di ogni scienza che sia degna di questo nome.” - G. Magnano (2023), p 238.

[Le traduzioni dei passaggi in francese sono a cura dello stesso autore]

Marco Isaia

Bibliografia:

D. Castanet, De la lettre à la topologie, L'en-je lacanien, 2015/1 (n° 24), p. 5-7.

J.-P. Clero, L'utilité des mathématiques en psychanalyse. Un problème de chrestomathie psychanalytique, Essaim, 2010/1 (n° 24), p. 7-36.

J. Lacan, Ou Pire… Le savoir du psychanalyste, P. Valas, version Staferla.

J. Lacan, L’interprétation et son désir, Séminaire VI, Seuil, Paris.

F. Gambini, G. Magnano, Il nome e il numero. Dialogo tra uno psicoanalista e un fisico matematico, Paginaotto, Trento.

S. Freud, A. Einstein, Perché la guerra? Bollati Boringhieri, Torino.


Note:

[1] “Una delle ragioni per cui Lacan ritorna spesso sugli ideogrammi, in particolare sulla scrittura cinese, è forse proprio questa: nell’ideogramma siamo in qualche modo su un terreno di passaggio tra le due forme di arresto che abbiamo nominato.” p. 116, F. Gambini, G. Magnano, “Il nome e il numero”, Paginaotto, Trento 2023. 

[2]  Freud consiglierà semplicemente agli psicoanalisti di riprendere un’analisi ogni 5/6 anni. La motivazione di quest’affermazione, così articolata, è invece nostra ed è dettata dagli sviluppi della teoria psicoanalitica portati avanti da Lacan.

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