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È ormai da qualche decennio che le riflessioni di Donna Haraway sui saperi situati risuonano nell’ambito di teorie e pratiche femministe e queer [1], ma tutt’ora è comune trovare, specialmente nelle scienze sociali, studi che separano radicalmente il soggetto dall’oggetto della ricerca, nascondendo dietro a una pretesa di sguardo universale e oggettivo l’estrattivismo da parte di uno sguardo dominante di conoscenze e saperi marginali e marginalizzati. Luca Greco, docente di Scienze del linguaggio all’Université de Lorraine, allontana subito tale possibilità affermando fin dalle prime pagine del suo testo Le corps du genre (2025, Éditions de la maison des sciences de l’homme) che il lavoro sociolinguistico è sempre stato interventista, non limitandosi all’osservazione di fatti linguistici, ma concorrendo, interrogandoli, a gettare le basi per una trasformazione dell’ordine sociale. In particolare, Greco si propone di mostrare il funzionamento del genere attraverso l’analisi dei suoi modi linguistici di produzione, stabilizzazione e decostruzione in contesti diversi e talora opposti, quali l’attivismo femminista, i gender reveal party, la fachosphère [2] e le ecografie prenatali.

Il dibattito sulla dicotomia tra materia e discorso

Il primo importante nodo concettuale attorno al quale il testo si articola è il dibattito sull’opposizione discorso/materia che attraversa sia gli studi di genere che le scienze sociali del linguaggio. In una originale panoramica introduttiva degli sviluppi teorici attorno a questa opposizione, Greco ha il merito di problematizzare e mettere in relazione approcci molto diversi tra loro. In particolare, lo studioso evidenzia come, a partire dagli anni Duemila, nelle università del Nord globale si siano diffuse in diversi campi della conoscenza due tendenze, efficacemente riassunte dalla definizione data nel 2015 dall’antropologo Eduardo Kohn (in questo caso riguardante un’antropologia che possa rispondere alle sfide della contemporaneità): “The study of reality – one that encompasses but is not limited to humanly constructed worlds” [3]. Da un lato, dunque, un’inedita attenzione al reale; dall’altro, un decentramento dell’antropocentrismo, con l’apertura a tutto ciò che è non- e post-umano. In questo contesto, Greco dà ampio spazio ai risvolti critici della corrente neo-materiale (definita così dall’autore al fine di distinguerla da approcci neo-materialisti di genealogia marxista): tale svolta, eterogeneamente rappresentata da studiose quali Braidotti, Barad, Alaimo e Bennet, è caratterizzata da una decentralizzazione dell’umano, con una pressante critica femminista all’idea di un soggetto umano universale e androcentrico, rivolta in particolare alla centralità data al linguaggio (inteso come logocentrico e verbale) nello studio delle pratiche sociali, che ha condotto a trascurare la materia e le agentività non umane. Gli approcci proposti sono ibridi e interdisciplinari, e si dedicano a interrogare una serie di tradizionali dicotomie quali soggetto/oggetto, maschile/femminile, natura/cultura, umano/animale, con uno sguardo sempre rivolto a lotte e movimenti sociali.

È in questo contesto che, intorno alle questioni del corpo e del genere si apre un dibattito teorico legato a materia e discorso, che vede contrapporsi la corrente degli studi queer legata al pensiero sviluppato all’inizio degli anni Novanta da Judith Butler e gli approcci neo-materiali sopra descritti. Braidotti e Barad criticano Butler – che stabilisce un parallelismo tra la teoria degli atti linguistici di John Austin (1970) e il concetto di performance di genere – per aver dato un’eccessiva preminenza al discorso nella costruzione e decostruzione del reale (e dunque del genere), trascurando la dimensione della materialità e del corpo. Secondo tali autrici, il femminismo postmoderno ha avuto il merito di interrogare diverse coppie dicotomiche tipicamente patriarcali e antropocentriche, senza però riuscire a sciogliere il nodo discorso/materia. Ciò che si propone la corrente neo-materiale, quindi, è un focus sulla materia e sul ripensamento della sua articolazione con il discorso, senza abbandonare completamente le lezioni del linguistic turn. Greco evidenzia tuttavia l’impossibilità di riuscire in tale ambizioso progetto teorico che, prendendo le mosse dai lavori foucaultiani sul discorso, ricade nella stessa impasse critica del filosofo, ossia postulare che anche il discorso è un’entità materiale, ma senza approfondire né teoricamente né empiricamente i rapporti tra materia e discorso, non fornendo un vero e proprio posizionamento sulla natura di quest’ultimo, e nemmeno approfondendo l’analisi delle pratiche discorsive di attori e attrici sociali. Secondo Greco, quindi, siamo nuovamente davanti a ciò che viene criticato alla teoria queer, ossia una disincarnazione della materia, trattata come un oggetto discorsivo e non come entità che agisce nell’interazione.

Come anticipato, la discussione intorno al discorso e alla materia ha storicamente interessato, a partire dagli anni Settanta, anche le scienze sociali del linguaggio, opponendo a una tradizionale visione logocentrica un approccio multimodale, che, oltre alla parola, prende in considerazione una moltitudine di risorse semiotiche produttrici di senso, in contrasto alla visione del linguaggio come esclusivamente verbale e statico. Tale approccio offre una concezione nuova dell’interazione linguistica che, oltre a tenere conto delle differenze di genere e sessualità dei soggetti parlanti, mette in conto diversi tipi di agentività, umane e non umane. Proprio in questo nuovo quadro teorico si situano gli studi sociolinguistici di Greco che, riferendosi ai modi di costruzione del genere, adotta il termine multi-materialité per sottolineare come le dicotomie simbolico/materiale, discorso/materia siano false opposizioni, e come la materia linguistica e corporea non sia riducibile a un sistema linguistico astratto o a una classificazione tassonomica di gesti. L’approccio adottato dall’autore, che integra criticamente elementi degli studi queer, della corrente neo-materiale e degli approcci sociali allo studio del linguaggio, prende dunque le mosse dall’idea che esista una materialità linguistica e sociale inserita all’interno di rapporti di dominazione che si instaurano tra i partecipanti a una data interazione.

Tra agentività non-umane e (imprevisti) soggetti queer

I casi studio osservati da Greco comprendono una serie di interazioni varie e complesse, mostrandoci come l’osservazione della costruzione e decostruzione del genere non sia un qualcosa di applicabile a una quantità limitata di argomenti, bensì una lente che permette lo svelamento di processi di costituzione del genere (spesso sommersi o naturalizzati) all’interno di qualsiasi interazione sociale. Tra i vari esempi proposti dall’autore, due sono quelli che fanno maggiormente intuire la dimensione di intersezione (e intersezionalità) non solo tra diversi campi del sapere e tra diversi sistemi di oppressione, ma anche tra lo studio teorico-accademico e la possibilità di trarne una salda alleanza con pratiche politiche e di attivismo.

Il primo esempio che mi sembra interessante è la presa in esame delle modalità di fabbricazione e reiterazione della virilità attraverso il consumo di carne. Diversi sono i testi teorici che hanno preso in considerazione il legame tra costruzione della maschilità e scelte alimentari [4]. Greco, inserendosi nel solco di questi studi, porta l’esempio di un’interazione tra due influencer francesi della cosiddetta fachosphère (galassia di movimenti e personalità famose sul web di orientamento politico di estrema destra) , Baptiste Marchais e Papacito, in un video Youtube nel quale conversano davanti a un pasto a base di carne [5]. Osservando l’interazione, l’autore fa notare come siano in dialogo diverse materialità oltre al linguaggio verbale: la presenza fisica ed estetica dei due influencer, molto muscolosi, con la barba e il cranio rasato, la presenza materiale della carne e la costruzione/performance di una mascolinità dominante con connotati politici molto chiari legati all’estrema destra. In questo contesto, la carne diventa sia soggetto che oggetto: i due uomini, infatti, umanizzano la carne tramite una serie di strategie linguistiche, prima oggettificandola, rendendola vittima e portatrice di una maschilità non dominante come la loro (colpendola con insulti omofobi, “cet enculé” [6], oppure burlandosi di lei per il suo scarso rendimento fisico) e, in un secondo momento, rendendola soggetto dotato di agentività politica (“c’est pas un steak qui vote France insoumise; c’est un steak qui vote France éternelle”), ritenendo che essa sia una bistecca che vota per formazioni partitiche di estrema destra. La mascolinità dominante performata in questa interazione – con al centro il soggetto-oggetto bistecca – si situa all’intersezione tra umano e non umano e rappresenta intertestualmente un vero e proprio contro-discorso nei confronti delle rivendicazioni ed elaborazioni eco-femministe che mettono l’accento sui legami tra maschilità, consumo di carne e danno ambientale.

Il secondo esempio si situa invece in ambito medico-ginecologico, analizzando le interazioni intorno alla figura del feto, che viene presentata da Greco come un’entità composita, fluida, all’incrocio tra umanità e non umanità, analogamente a quanto hanno elaborato altre teoriche femministe in precedenza [7]. L’autore analizza in particolare le interazioni legate all’annuncio del sesso durante le ecografie prenatali. In questo contesto, il feto si trova all’incrocio di diversi tipi di materialità: organica, corporea, discorsiva e, in ultimo, tecnologica e visiva. Questi ultimi due aspetti sono il centro di quello che è il lento svelamento del sesso del feto, tramite la traduzione verbale di immagini tecnologicamente mediate da parte di un’autorità medica.

In questo contesto, il feto diventa un’entità dal portato semiotico molteplice, rivelandosi anzitutto come un testo indecifrabile da parte dell’essere umano, comprensibile esclusivamente grazie alla cooperazione e all’aiuto di un professionista medico che, in una delle interazioni analizzate, aiuta i futuri genitori a vedere nominando le singole parti del corpo in formazione (“on voit le diaphragme […] les poumons […] et la vessie”). Il feto può essere visto inoltre come un soggetto recalcitrante, che sfugge alla volontà di determinazione e non vuole “farsi vedere” (“alors on a là un bébé qui […] nous cachait ce qu’il était”), come un qualcosa che genera sorpresa e meraviglia (ne è l’esempio un’interazione nella quale la madre esprime più volte esclamazioni di sorpresa), oppure come un’entità spaventosa e perturbante, a causa della sua strana corporeità in divenire (vi sono esempi di interazioni nelle quali, davanti al turbamento dei genitori, l’ecografista specifica che la rappresentazione visuale dell’ecografia non è fondamentale a fini medici, oppure sottolinea la diversità tra rappresentazione visuale dell’ecografia e situazione reale, creando una dimensione di negoziazione con le persone fruitrici dell’ecografia). Greco – in conclusione – si propone di costruire un discorso alternativo a quello dell’umanizzazione del feto in chiave antiabortista, proponendo di interpretare quest’ultimo come soggetto queer, poiché esso rappresenta non un referente stabile ma un’identità in costruzione, che sfugge alle attese normative del potere medicale e della famiglia nucleare e apre a nuovi orizzonti di possibilità, analogamente ad altri soggetti e figurazioni queer come i cyborg, le drag queen e i drag king, le soggettività postumane.

In conclusione, lo studio di Greco ha il merito di cercare di costituirsi come anello di congiunzione tra le riflessioni teoriche sulle modalità di costruzione (e decostruzione) del genere e l’osservazione empirica di tali modalità, rappresentando una risorsa per osservare quanto i posizionamenti teorici e il linguaggio siano questioni politiche, che possono (e devono) fruttuosamente mettersi in dialogo con pratiche di movimento e attivismo. Non si può dunque che condividere l’auspicio e l’ipotesi conclusiva dell’autore di un débordement – uno straripamento – del genere, affinché esso resti mobile e ingovernabile, non appropriabile da parte di un sistema capitalista e patriarcale, e che costituisca la chiave per alleanze umane e non umane in una dimensione di intersezionalità postumanista.

Carlotta Ariano

NOTE

[1] Haraway, Donna. “Situated Knowledges: The Science Question in Feminism and the Privilege of Partial Perspective.” Feminist Studies, vol. 14, no. 3, 1988, pp. 575–99. JSTOR, https://doi.org/10.2307/3178066. Consultato il 30 luglio 2025.

[2] Con questo termine si intende una galassia di movimenti e personalità famose sul web di orientamento politico di estrema destra.

[3] Kohn, Eduardo, “Anthropology of Ontologies”, Annual Review of Anthropology, 44, 2015, 150814155901000. 10.1146/annurev-anthro-102214-014127. Consultato il 30 luglio 2025.

[4] Adams, Carol J., The Sexual Politics of Meat, Bloomsbury, 1990.

[5] REPAS DE SEIGNEUR #3 feat. Papacito, https://www.youtube.com/watch?v=65W_ly5X0nU (consultato il 29 luglio 2025).

[6] a fini di una maggiore leggibilità delle brevi citazioni riportate, si è scelto di non mantenere le convenzioni linguistiche di trascrizione dei corpora analizzati da Greco, utilizzate dall’autore per segnalare efficacemente sovrapposizioni, cambi di tono ed elementi extralinguistici nelle interazioni.

[7] Barad considera ad esempio il feto come un fenomeno, mentre Haraway lo classifica nella categoria dei soggetti ibridi, cfr. Barad, Karen, Meeting the Universe Halfway. Quantum Physics and the Entanglement of Matter and Meaning, Duke University Press, 2007; Haraway, Donna, Modest_Witness@Second_Millennium.FemaleMan_Meets_OncoMouse: Feminism and Technoscience, Routledge, 1997.

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