Intervento alle giornate di studio “Che diavolo è un fantasma?”, a cura della Fondazione Baruchello e Psicoanalisi al presente, Roma, 21-22 marzo 2025.
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Comincio con una confidenza: non amo i francesismi. Per cui non mi piace che tra analisti si usi il termine “fantasma” nel senso del phantasme francese, del fantasy inglese e del phantasieren tedesco. Perché fantasma ovviamente è schiacciato dall’omonimia del nostro fantasma che in francese è phantôme. Eppure qui sfrutterò la recente omonimia proprio per mettere in relazione il fantasma come imago psichica con i fantasmi della tradizione popolare e letteraria.

Sul fantasme – userò qui il termine francese per parlare di imago fantasiosa – la teoria analitica non ha molti dubbi: esprime e adempie il desiderio, die Lust. Come i sogni notturni. Ma come la mettiamo con i fantasmi, quelli veri, cioè che non esistono? A lungo ho studiato le voci popolari, le fake news e miti d’oggi: anch’esse adempiono desideri?
I fantasmi esprimono un nocciolo del fantasme nella misura in cui un fantasme ha un rapporto sempre dubbio, discutibile, con la realtà.
In effetti noi oggi, da positivisti disincantati, consideriamo i fantasmi dei miti, insomma fantasie collettive. Eppure, a lungo i fantasmi non sono stati affatto immaginari. Ho passato l’infanzia a Napoli, città dove anche professori di filosofia credono fermamente ai fantasmi, che là si chiamano munacielle, cioè monacelli. Più a Sud, in particolare in Basilicata e in Calabria, prosperano piuttosto i monachicchi: sono bambini morti prematuramente intenti a fare birichinate agli adulti vivi. In tedesco il monachicchio si direbbe Poltergeist, spettro chiassoso.
Nella tradizione occidentale i fantasmi sono domestici, abitano una vecchia casa – gli inquilini passano, i fantasmi restano. Si parla di haunted house, di una casa infestata da fantasmi. Nel fantasma infesta-casa ciò che c’è di più domestico e intimo coincide con ciò che più estraneo non si può, la morte. C’è qui conflagrazione tra due poli semantici. I fantasmi sono morti che si ostinano ad abitare in un luogo, la casa, che per noi è una calotta che avvolge il nostro corpo in una seconda pelle. Il fantasma è unheimlich nel senso datogli da Freud: l’estraneità estrema nel cuore della domesticità.
Il fantasma incide, anche se saltuariamente, sulla realtà: è uno spirito performativo, diremmo oggi. A Napoli per esempio, se in pubblico negavi l’esistenza del munacielle, ti arrivava un bel calcio nel sedere da parte sua.
Il fantasma è il vero proprietario di una casa, e l’incontro con esso è l’incontro con ciò che resta di questo proprietario. Potremmo dire, lacanizzando, che il fantasma è il riverbero immaginario di una proprietà simbolica sulla casa reale dell’oggi.
I fantasmi ci interrogano quindi sul loro essere. E sul loro modo d’esistenza. Anche le idee, i sogni, i numeri, le classi e le classi di classi…, esistono a loro modo, e da secoli si discute quale sia appunto il loro modo di esistere. Ricordate la disputa sugli universalia nel Medio Evo, tra realisti, concettualisti e nominalisti? Gli enti immaginari e simbolici hanno un’esistenza discutibile, sfuggente, problematica.
Questa interrogazione sul modo d’esistenza slitta nel problema dell’origine, del da dove vengano fantasmi fantasie e miti. L’origine dei fantasmi è chiara: erano vivi, e ora sono perturbanze. Erano i padroni di una casa di cui ora sono solo la fantasia. Possiamo dire che i fantasmi sono quel che resta dell’Altro quando gli si è tolta l’esistenza, di cui resta solo il diritto e la potenza.
E l’origine dei miti? Il bello è che molto spesso i miti sono miti di origine, per cui la domanda diventa: che origine hanno i miti d’origine? E nel caso che ci interessa qui, quello dei fantasmes: che origine hanno? In particolare: c’è alla loro base qualcosa di reale? È il fantasme traccia di un’esperienza concreta, o un fantasme si origina da un altro fantasme, e così via… all’infinito? La ricerca delle origini dei fantasmes diventa presto una fantasmagoria.
Un saggio fortunato fu quello di Laplanche e Pontalis del 1965, Fantasme originario, fantasme delle origini, origini del fantasme. La loro tesi è che i cosiddetti fantasmes originari, prima di tutto l’Urszene, la scena primaria, il coito visto da un bambino, sono anche fantasmes dell’origine del soggetto stesso. Oggi direi che ogni descrizione delle origini del fantasme attraverso un fantasme originario è un fantasme delle origini: ovvero, il vero fantasme è quello di chi ne descrive le origini, Laplanche e Pontalis inclusi. Il fantasme è per lo più un fantasme o mito delle origini, ma le origini sono sempre fantasmatiche. In altre parole, non c’è alcun ente originario. Non c’è origine. Anche se la scienza moderna ha elaborato alcuni racconti dell’origine dell’universo, ad esempio il Big Bang. Freud non è sfuggito a questa tentazione, anche lui voleva descrivere l’origine del fantasme, pensando che essa dovesse essere un evento nella realtà.
Credo che il vero problema oggi non sia tanto ricostruire la teoria psicoanalitica del fantasme, quanto il chiedersi fino a che punto questa teoria non sia un fantasme. E so che così rischio l’incriminazione di lesa maestà. Siccome ogni teoria è un modello quindi un fantasme, mi chiedo se e in che modo questa teoria fantasmatica morda sul reale. Per dirla fuori dai denti: per me quasi tutte le teorie di Freud sono miti, il punto è vedere se questi miti non siano mistificanti ma perspicui.
Come è noto, non si è mai smorzata la polemica sulla teoria dell’isteria come frutto di una seduzione reale. Jeffrey Masson, vi dice qualcosa? Insomma, il fantasme che abita l’isterica – l’esser stata molestata o abusata da un adulto, preferibilmente dal padre – è la deriva di una scena reale? O deriva dal desiderio isterico? Come sappiamo, Freud non ha mai rinunciato alla tesi – che secondo lui doveva confutare Jung – secondo cui alla base delle concatenazioni fantastiche ci sarebbe una scena reale vissuta. Da qui l’importanza da lui data al fatto che l’Uomo dei Lupi abbia assistito a un coito dei genitori a tergo alle 5 della sera in un giorno d’estate, coito interrotto da una diarrea del bambino. C’è da stupirsi allora se molti considerano Freud solo un geniale cialtrone?
Oggi molti pensano che la scena primaria sia un fantasme di Freud, il quale ne fa un fantasme originario. Perché in fin dei conti per Freud ogni fantasme è un tentativo di interpretare qualcosa, un evento essenziale, qualcosa come il coito degli adulti. L’ossessione di Lacan sul “non c’è rapporto sessuale” deriva da questo: si può vedere un rapporto sessuale? Evidentemente non bastano i video porno, anch’essi alla fine non riescono a mostrare qualcosa di… impossibile da mostrare! Si è sempre delusi nel vedere un coito formato porno: è solo questo?
All’origine c’è un trauma, ma anche i fantasmi ci traumatizzano. I bambini sono traumatizzati soprattutto da cose che non esistono. Dal buio, dal lupo. Oggi i lupi non si vedono nemmeno allo zoo.
Non possiamo dire che la necessità di trovare un primum movens, una realtà da cui il mondo fantastico derivi, sia un’ossessione personale di Freud. In modi diversi ossessiona tutta la psicoanalisi. Molti analisti oggi vedono la causa prima delle fantasie nel rapporto madre-bambino. La diade madre allattante/bambino allattato ha preso il posto della scena primaria come fonte di tutto il mondo psichico. Ma forse anche questo Big Bang madre/bambino è un fantasme.
Un dato antropologico inoppugnabile è che per quanto una società possa essere primitiva, essa elabora sempre dei miti d’origine. La classica domanda dei bambini “da dove vengono i bambini?” è un avatar della domanda umana, così originaria, sulle proprie origini. Del resto, anche i fantasmi come spettri sono gli abitatori originari di quella casa, rispetto a cui i viventi attuali sono tutti usurpatori. Ogni generazione usurpa quelle precedenti.
Molte filosofie designano delle origini, a partire dalle quali descrivere una genealogia. Per Platone l’originario erano le ideai, ovvero le apparizioni intelligibili. Per gli atomisti antichi originari erano gli atomi e la loro caduta. Per i moderni l’origine è la soggettività stessa, lo spirito, per Marx il lavoro umano, per Nietzsche la volontà di potenza, per la fenomenologia l’intenzionalità della coscienza verso le cose stesse, per Freud la pulsione come desiderio… Heidegger poi taglierà la testa al toro dicendo che alla fonte degli enti c’è… solo l’essere.
Anche la scienza cerca l’originario. Darwin scrisse L’origine delle specie ma, come si è fatto notare, nega sia le specie che la loro origine. Per Darwin la vita è un processo continuo senza veri salti, la vera origine è il formarsi stesso della vita, l’evento misterioso e improbabile di un ente che si riproduce. Sempre più i moderni disperano di trovare l’origine di qualsiasi cosa. Devono riconoscere che le origini sono un fantasme, e che un fantasme è sempre in fondo una fantasia sulle origini della propria casa. Insomma, è vero che ogni fantasme è anche un fantasma nel senso di spettro: il fantasma dell’origine infesta la nostra vita originaria.
Gli spettri sono ciò che resta di viventi ridotti a sola abitazione di una casa-corpo. Molto spesso, quasi sempre, gli umani pensano che tutto il nostro sistema fantastico, individuale o collettivo, è ciò che resta di un reale. Ma se descrivessimo questo reale, scadrebbe già a fantasme, a immaginazione. Il reale è qualcosa che non si può descrivere, altrimenti diventerebbe semplice rappresentazione. Eppure l’essere umano è stato sempre assillato da questo: come rappresentare il non-rappresentabile? Da qui, forse, la quasi-universalità del senso del sacro.
Eppure vorrei provare a dire, provocatoriamente, come situare questo reale di cui tutto il nostro linguaggio è la maschera. Qual è insomma la vera maschera di ciò che non è maschera? Qual è la maschera originaria? Il titolo di questo convegno mi offre la risposta su un piatto d’argento. Ciò a cui rimanda ogni fantasme è il diavolo.
“Che diavolo è questo?...” è una forma attenuata di un’espressione più carnosa e volgare, “ma che c… è questo?” Il diavolo è a sua volta una maschera del genitale maschile, ma questo genitale – o il fallo, secondo Lacan – è a sua volta maschera di che? Forse maschera del contrario del diavolo, ovvero della divinità. E difatti il nostro “diamine” viene da una fusione di diabolus e domine, del diavolo e del signor Iddio. Il diavolo è il contrario speculare del dio, quindi ne è la rappresentazione. O il diavolo è il volto segreto di dio?
Rimando qui alle pagine fondamentali di Claude Lévi-Strauss su nozioni tipo mana o manitù. Le rendiamo col nostro concetto cristiano di divinità ma, come mostra Lévi-Strauss, si tratta di ciò che non ha nome. Mana è analogo ai nostri “coso”, “aggeggio”, “arnese”, “diamine” o simili. Ma anche “c…” o “diavolo”, perché si vede che il genitale e il diabolico sono concetti vicini ai non-concetti di “coso” o “aggeggio”. Ciò che non ha nome è potente e affascinante. Appunto, “fascinazione” viene da fascinum, che in latino era il fallo. Che cosa fa sì che il fascinum eretto ci affascini? Coso, diavolo, diamine, pene… tutte forme esclamative di qualcosa di enigmatico, di indicibile. Significanti di grado zero, li chiamava Lévi-Strauss.
Possiamo dire insomma che tutto il nostro mondo fantastico, secondo la psicoanalisi, mira a quello… un quello che non si può descrivere. L’origine del fantasme è ciò che si guarda ma non si vede.
Si pensi al sogno così perturbante dell’Uomo dei Lupi, con i cinque o più lupi appollaiati sui rami che guardano immoti il soggetto. Questo soggetto si chiamava peraltro come me, Sergej. Freud pretende di dirci quel che guardavano fissi quei lupi russi, anzi ucraini: un coito. Ma perché non anche un c…, ovvero, in fin dei conti, il diavolo? E perché non dio? I lupi di Sergej guardavano proprio lui, Sergej, vale a dire dio.
I lupi guardano Sergej che a sua volta guarda. Ma guarda che cosa? Può darsi che sia un coito, ma se lo guardasse non saprebbe interpretarlo. Cosa stanno facendo mamma e papà? Perché si lamentano, affannano, come se fossero torturati? Che diavolo è questo coso che guardo ma non vedo? Lacan direbbe che vedo qualcosa che per il nostro inconscio è impossibile, il rapporto sessuale. Ma un impossibile che accade. Siamo persi nell’oceano del paradosso.
La formula lacaniana del fantasme:
