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Philosophy Kitchen

I

Sono anni felici per chi si occupa di estetica in Italia. Nell’ultimo decennio abbiamo assistito alla pubblicazione di importanti studi volti al rinnovamento della disciplina. Esempi rappresentativi di questa tendenza sono i lavori di Desideri (2011, 2018), l’estetica relazionale di Diodato (2020), la modellizzazione epistemologica e la prospettiva antropologica di Bartalesi (2017, 2020; per quanto riguarda le questioni epistemologiche si vedano anche gli articoli del 2022 contenuti nel giornale Philosophies, 7(2)), nonché l’attenzione alla nozione di habitus estetico del pluralismo naturalista di Portera (2020). In questo panorama, la nuova edizione del libro di Garroni Estetica. Uno sguardo-attraverso (2020) è meno una riproposizione di un classico che un programma. Ci indica che è proprio lo statuto disciplinare dell’estetica a essere messo in questione. La descrizione dell’estetico è il terreno di gioco della partita. Il gioco filosofico di riconoscere somiglianze e differenze tra le diverse teorie si fa particolarmente acceso quando si considera un nuovo filone di ricerca che in anni recenti si sta proponendo come rinnovatore degli studi: il paradigma dell’esperienza-con (Matteucci, 2019; Iannilli, 2022).una nuova ecologia del percepire

È facile vedere come una certa aria di famiglia innervi tutto il dibattito appena menzionato. Non solo tutti gli autori condividono un’attenzione alla delimitazione dell’ambito dell’estetico (e quindi l’idea che l’estetico abbia un ambito peculiare da distinguere in qualche modo da quello conoscitivo, morale e dell’esperienza abituale) ma anche tracciano le conseguenze disciplinari e antropologiche della propria caratterizzazione. Così, per tutti questi autori, l’estetico diventa l’ambito privilegiato per uno studio integrato sull’esperienza umana e sulla mente, in altre parole sulla natura umana, se si intende «natura» non in termini essenzialistici, ma come un’ontogenesi e una filogenesi del panorama culturale tipicamente umano. Le questioni estetiche, così, costituiscono allo stesso tempo un banco di prova e una conferma per certi modelli di mente e di esperienza, come per esempio l’ipotesi della mente estesa. Tuttavia, è nei dettagli che si profilano modelli anche molto differenti di concepire l’estetico e la sua disciplina, la mente e l’esperienza. Una comunanza di intenti teorici fa da contrappunto a un dibattito che si svolge sui presupposti e sugli aspetti fondazionali dell’estetico.una nuova ecologia del percepire

Questa la temperie che ha accolto l’uscita di Estetica senza (s)oggetti (2022) di Nicola Perullo, un testo tanto programmatico quanto innovativo per i temi, gli autori e le prospettive che tratta. Il libro prosegue e amplia le ricerche del paradigma dell’esperienza-con, ma allo stesso tempo se ne smarca e le decentra. Il sottotitolo «Per una nuova ecologia del percepire» esemplifica bene la vocazione etica e ecologica della proposta di Perullo volta a trovare un nuovo quadro concettuale, o meglio: a presentare una sincretica narrazione teorica, in grado di sfidare l’antropocentrismo esplicito o residuale cristallizzato nella distinzione tra soggetto e oggetto. Questo movimento di decentramento, che nel libro si ripete a più livelli, va dunque compreso anche alla luce delle precedenti ricerche personali dell’autore, di cui il libro è una prosecuzione e una radicalizzazione: Estetica ecologica (2020) e Epistenologia (2021). In particolare, in Estetica ecologica erano già stati presentati elementi fondamentali che troviamo ampliati nell’ultimo libro. Il paradigma aptico, l’estetico come esplorazione di corrispondenze, così come il “compito” del gusto trovano nel nuovo libro una discussione più approfondita.

Gli argomenti affrontati in Estetica senza (s)oggetti sono vasti e di ampie prospettive. Riflessioni metafilosofiche e epistemologiche si stratificano su altre di ordine etico e ecologico, che vanno ad addensarsi ad altre ancora di carattere più spiccatamente teoretico e estetico. Non potrebbe essere altrimenti dato che l’autore esplicita l’esigenza teorica e sociale di praticare una filosofia che sia adeguata all’etichetta di «est-etic-onto-epistemo-logia» (p. 68). Estetica senza (s)oggetti (d’ora in avanti: esso, secondo l’abbreviazione dello stesso autore) delinea un progetto, indica strade da percorrere liberamente, non solo in quanto studiosi. «C’è bisogno di estetica» scrive Perullo all’inizio del libro (p. 14, corsivo rimosso). E di un’estetica ecologica in grado di trasfigurare la percezione verso un modo più comprensivo e collusivo di relazione con il mondo.  Forse un modo per fare fede al progetto-esso è di ripercorrerlo nei passaggi, o «dislocamenti», che traccia.

II

Il primo e più basilare è il passaggio dall’oggetto alla relazione. I tortuosi e complessi capitoli II e III sono dedicati a questo scopo. Da qui inizia un percorso lungo tutto il libro che segue una doppia traiettoria. Una “a spirale” dove le questioni aperte sono da comprendere più che nella successione lineare delle pagine, nella loro distanza radiale dal centro del libro: il paradigma aptico. Un’altra “frattale” dove la critica e la decostruzione di schemi filosofici consolidati tendono a risolversi nello schema ricorrente della forma soggetto-oggetto.

Secondo Perullo, per pensare radicalmente la relazione occorre farlo «senza fondamento» (p. 41). Non basta pensare, serve anche sentire e immaginare, cogliere e rispondere alle possibilità e alle amplificazioni offerte dai diversi modi di immaginare il reale delle scienze (soprattutto la fisica quantistica), la filosofia (compresa quella orientale), le arti (intese comprensivamente come technai). Per queste ragioni la relazione e la sua portata ontologica non possono essere intese come un collegamento tra due poli, un soggetto e un oggetto, perché sarebbe in fondo come la pietra che piega la vanga di wittgensteiniana memoria, cioè la riproposizione di una sostanza (pp. 42, 97). «[L]a relazione – scrive Perullo – è la cresta dell’onda da cui sgorgano quelle posizioni, quelle funzioni oggettivamente incarnate che chiamiamo “soggetto” e “oggetto” ma che non la esauriscono affatto e non ne sono un presupposto» (p. 71). Oltre al già citato Wittgenstein, qui il riferimento principale è la process philosophy di Bergson, James e Whitehead, che ha «dimostrato da un lato che le relazioni accadono in quanto processi, dall’altro che i processi si manifestano come relazioni» (p. 42). 

Le relazioni si manifestano come avvenimenti nella e con la coscienza, non nel rapporto di una coscienza con qualcos’altro. Così, il compito iniziale di liberare il campo da alcuni fraintendimenti sulla natura non categoriale della relazione passa attraverso la delineazione di una “strana” – così Perullo (p. 79) – eco-logica. Nella misura in cui è strana è anche straniante, come mostrano le descrizioni di una pietra di Rovelli e di Ingold in cui la tecnica dello straniamento si eleva vero e proprio organon della teoria (pp. 36-37). Assumere il punto di vista di una pietra, della sua storia nel tempo profondo e delle relazioni con cui è intrecciata è il primo passo verso una consapevolezza della posizione «in-between» (in-tra) dell’ambito estetico (p. 72). Collocandosi nell’azione della coscienza (in-) nel fluire di processi e relazioni (-tra), l’estetico non può essere considerato semplice interazione o immersione in un contesto, in quanto questi termini implicano o una separazione di enti o una vuota fusione. La percezione ecologica, in cui i processi attenzionali non si lasciano guidare dalle intenzioni del soggetto, ma dalle affordances dell’ambiente è piuttosto una ricerca e una creazione di corrispondenze. La corrispondenza, scrive Perullo, è «una risonanza lungo la potenzialità del percepire nella continuità del flusso esperienziale» (p.77). Corrispondere è percepire sub specie possibilitatis, e quindi attesta un modo possibile di percepire al di là della percezione abituale e degli schemi individuali. La consapevolezza che ne consegue è quella consapevolezza dell’essere in-tra, nel senso specificato sopra. Per questo Perullo descrive l’estetico come «consapevole richiamo della conoscenza» (p. 77). Nel dislocarsi della percezione è la coscienza (nel duplice senso mentale e morale) che si svincola dalle costruzioni dualistiche di cui è imbevuta. Ma nel richiamarsi a sé, la coscienza non si riconosce più come una coscienza individuale, di un certo organismo. L’ecologia mostra il carattere impersonale della coscienza, l’azione dei processi prima della formazione di un soggetto e di un oggetto (pp. 83, 95). «La corrispondenza – scrive Perullo – è apertura al potenziale in quanto la forma è sempre un divenire-forma, la materia è sempre un materializzar-si» (p. 79). In questo passaggio si può scorgere in estrema sintesi la proposta di esso di abbandonare l’ontologia, lo studio della realtà per oggetti, per un’ontogenesi che ne ripercorra i processi

III

Nella proposta dello smarcamento ontogenetico si inserisce un secondo ordine di dislocamenti, quelli da ego (Estetica Governata dagli Oggetti) a esso. Per buona parte del III capitolo l’autore infatti si confronta con la Object Oriented Ontology, soprattutto nelle versioni di Meillassoux, Harman e Morton. Se ai primi due autori Perullo recrimina l’inadeguatezza di un pensiero ontologico e ontologizzante rispetto al comune obiettivo dell’anti-antropocentrismo, col terzo non mancano punti di contatto (cfr. pp. 106-107). Tuttavia è la mancata presa di coscienza dello statuto non soggettivistico della relazione che misura la distanza tra esso e ego. Per questo esso rifiuta la OOO e propone una OOP!, un’Ontogenesi Orientata ai Processi, dinamica e relazionale.

Il capitolo si conclude con quella che a ragione potrebbe essere considerata la teoria estetica di OOP!, la tematizzazione di esso delle nozioni di campo estetico, di qualità estetica, e le loro conseguenze per la caratterizzazione dell’esperienza estetica. In queste pagine si misura la vicinanza di Perullo al paradigma dell’esperienza-con, soprattutto nel richiamo alla nozione di campo estetico di Berleant. «Il campo estetico – scrive Perullo (p. 114) – è proprio ciò che opera trasversalmente, ortogonalmente, producendo quelle oscillazioni precedenti alla scissione tra «soggetto» e «oggetto» e dalle quali emerge l’estetico con le sue qualità e i suoi valori». Dal campo estetico, in quanto campo percettivo in cui soggetto e oggetto sono funzionalmente inseparabili, emergono le proprietà estetiche come processi e relazioni. Il modello che ne risulta è quello di un’esperienza estetica situata, immediata e ubiqua (p. 126). Un campo infatti opera sempre in un preciso contesto spaziale e temporale, nel qui e ora, è singolare e specifico, ma non è isolato. Infatti i campi si relazionano e si intrecciano tra loro, stratificandosi e sconfinando l’uno nell’altro, secondo intersezioni ortogonali, cioè senza gerarchie predefinite. Per questo secondo Perullo l’estetico è ubiquo: riguarda la relazione tra un «qui e ora» e un «sempre e ovunque». È una disposizione in cui la singolarità dell’evento risuona nell’universalità e ubiquità dei processi. Infine, in quanto evento nella coscienza, l’estetico è una modalità di percepire che si dà indipendentemente dalle istanze cognitive. Per questo l’esperienza estetica è anche immediata.

IV

Il dislocamento dal paradigma visivo al paradigma aptico è il più importante del libro e in un certo senso le riflessioni precedenti convergono verso questo passaggio. Se il paradigma visivo è quello della distanza dall’oggetto, della solidità delle cose, il percepire aptico non è altro che il percepire estetico consapevole della dimensione relazionale e processuale, operativa e performativa che le è propria (p. 143). Percepire in modo aptico è lasciarsi guidare dai processi attenzionali (p. 149) in una forma di percezione in cui la passività dell’azione si mostra primaria alla agency tipica del soggetto che agisce intenzionalmente. «Azione» qui è sinonimo di «processo» o «vettore» all’interno di un campo di esperienza. L’azione così intesa non è vincolata al soggetto che la produce e diventa espressione non di una vita individuale, ma del «vivere» o di «una vita» - concetti che l’autore recupera rispettivamente da Jullien e da Deleuze. Caratteristico dell’aptico è l’agire patendo, cioè la consapevolezza che nell’esperienza estetica sia la passività, piuttosto che l’attività del soggetto, a connotare il processo (pp. 93-95). Il percepire aptico si caratterizza così come una modalità percettiva della prossimità e del contatto, per questo, come abbiamo visto precedentemente, è un’esperienza immediata. Tuttavia questo non comporta un appiattimento dell’aptico alla sola dimensione tattile. L’immediatezza, per Perullo, non è sinonimo di istantaneità – un’assunzione della quale comporterebbe la negazione della dimensione processuale della percezione – ma corrisponde all’indipendenza della percezione aptica dall’ambito tematizzante e cognitivo (p. 157).

  Nella percezione aptica gli oggetti si ritraggono a favore dei processi e la relazione tra il soggetto percipiente e l’oggetto percepito sfuma in relazioni collusive con l’ambiente. Nella misura in cui si collude con processi e relazioni, la percezione aptica è un’esperienza animante, nel senso che produce, secondo Perullo, una forma di animismo estetico. Ricorrono riferimenti agli elementi naturali, all’animarsi di possibilità percettive e alla dimensione “climatica” dell’esperienza estetica – a questo riguardo è particolarmente interessante e suggestivo il riferimento al concetto di «fûdo», clima, del filosofo giapponese Tetsurô Watsuji (p. 156). L’esperienza estetica come collusione equivale così a un abitare quella «terra di mezzo» che è l’estetica (p. 143), una percezione connotata “in-tra” (in-between) soggetto e oggetto, cielo e terra, visivo e aptico. Molti nodi della eco-logica e della teoria estetica di esso confluiscono e riaffiorano nel capitolo IV, dedicato al paradigma aptico. Se i capitoli precedenti si districavano tra smarcamenti complessi e a tratti tortuosi, in questo capitolo l’autore traccia più liberamente le proprie idee. Per questo il capitolo contiene le formulazioni più radicali e interessanti di esso, ma anche le più difficili da tradurre in una recensione senza correre il rischio di perderne il senso.

V

Se la OOO spicca come il bersaglio polemico esplicito di esso, nel capitolo IV, ma in generale in molti passi del libro, ricorre un obiettivo spesso alluso e obliquamente messo in corrispondenza. È il modello dell’estetico di derivazione kantiana o, come credo, il modo di intendere l’estetica come «disciplina non speciale» di cui Garroni è, per così dire, il caposcuola. Sotto questa luce si possono comprendere alcuni gesti teorici di Perullo volti a sancire una distanza da un certo “garronismo” dell’estetica italiana contemporanea. Per esempio la scelta dei riferimenti. Wittgenstein non è letto di concerto con Kant, ma con la process philosophy. Altri riferimenti come il buddhismo e lo shivaismo, Jullien, Deleuze e Guattari, fino anche a Berleant, Ingold, Rovelli, Bohm – per indicare i più importanti e citati – mostrano invece l’intenzione di proporre un cambio di canone per l’estetica. Non c’è dunque da stupirsi se in un libro in cui si presenta il problema del proprio tempo come un problema estetico non venga mai citato Schiller. Evidentemente, «disciplina non speciale» è un termine la cui storia ha cristallizzato una certa tradizione, certi schemi e abitudini di pensiero. Occorreva a Perullo un nuovo nome per il cambiamento che esso annuncia. La scelta di un termine come est-etic-onto-epistemo-logia esprime bene la volontà di distanziarsi, senza però tradire del tutto, la lezione di una ricerca del senso e del suo prodursi attraverso l’esperienza. L’«indisciplina rigorosa» (p. 29) della narrazione teorica di Perullo è forse l’indice, in forma di rivolgimento ironico, della maturazione di un distacco da una tradizione che sente vicina, o che sentiva tale almeno fino a Estetica ecologica (vedi Perullo, 2020: 24, soprattutto n. 5).

In filosofia un cambio di preposizione può produrre conseguenze inaspettate. È nel cambio dall’«attraverso» (che probabilmente per Perullo è un «di» camuffato) al «con» che si misurano due modelli distinti (e distanti) di comprendere l’estetico. Un confronto esplicito è quantomai urgente per gli studi di estetica, ma non è nelle mie capacità né nelle mie intenzioni. Mi limito a indicare ciò che, a seconda dei punti di vista, costituisce un possibile motore o freno del passaggio di paradigma proposto da esso: la questione del carattere di anticipazione dell’estetico

Chi aderisce a una cornice di derivazione kantiana, infatti, riconosce all’estetico la funzione di anticipazione cognitiva e etica. Un’adesione forte al modello kantiano richiede un’interpretazione trascendentale dell’anticipazione (l’estetico è la condizione di possibilità della conoscenza e dell’etica). Una debole, invece, si può limitare a una lettura logico-operazionale. Negli atteggiamenti conoscitivi e etici sono contenuti elementi strutturali dell’estetico, così come l’estetico ha elementi strutturali affini al conoscere e alla vita etica. L’estetico è quasi-conoscenza e quasi-etica. Per il kantiano debole una esplicitazione del «quasi» sarà allora il suo obiettivo principale.

Sottolineo l’aspetto di derivazione perché è decisivo. Non è in questione se accettare o meno la metafisica e la gnoseologia kantiana in toto o solo in parte. Il problema riguarda piuttosto il modello e la descrizione di estetico che si intende proporre. A prescindere dalle proprie convinzioni filosofiche, il punto è come spiegare o come indicare un possibile senso (o non senso) alla questione dell’anticipazione. Insomma che l’estetico anticipi l’atteggiamento conoscitivo e etico non è di per sé una verità apodittica, ma un criterio. Anzi: un criterio per criteri che, di teoria in teoria, descrizione in descrizione, deve assumere una forma determinata e un contenuto adeguato. Dunque, non essendo un criterio, non è in questione se adottarlo, ma come declinarlo attraverso altri criteri e descrizioni, secondo i termini e le prospettive che si ritengono più adatti. Un rifiuto del carattere di anticipazione può essere una misura legittima, ma solo nella misura in cui ne viene svelato l’aspetto per così dire illusorio e mistificato. Non basta attaccare il paradigma criticista come paradigma dualista. Il paradigma dell’esperienza-con – di cui esso è una ramificazione – deve mettere a tema l’anticipazione. Pena: un atteggiamento eliminativista nei confronti di un discorso sull’estetico. Tale eliminativismo è in evidente contraddizione con gli intenti, gli scopi e la portata di questo nuovo paradigma e ancor di più con esso.

VI

Si possono riconoscere molti aspetti della narrazione teorica di Perullo che sono volti a rendere conto dell’anticipazione etica dell’estetico. Per esempio è indice di questa consapevolezza l’idea trasversale a tutto il libro che i problemi della contemporaneità abbiano la loro radice nella percezione. Infatti la dimensione aptica dell’agire patendo è espressione di una funzione trasformativa dell’estetico che non sfocia necessariamente in una coazione all’agire etico intenzionale. Insomma, la trasformazione che segue dai dislocamenti di esso è anzitutto una trasfigurazione – una «prospettiva rovesciata» (p. 201) – del reale come appare in quel misto di ontologia, ideologia e senso comune che è l’esperienza abituale. La questione ecologica è anzitutto una sfida a percepire ecologicamente, con una mente che si lascia intonare ai processi del campo percettivo e agli sconfinamenti tra campi differenti. 

Un ultimo aspetto indicativo delle compenetrazioni tra etico e estetico si può trovare nella proposta di coltivare la compassione come guida dell’esperienza estetica (p. 132). L’immedesimazione partecipata con l’opera mette tra parentesi l’origine “alta” o “bassa”, l’artisticità o l’artigianalità dell’opera. In una battuta, la compassione è ciò che sposta l’attenzione dalla “storia degli effetti” alla “storia degli eventi” di cui l’opera è traccia. L’aptico quindi anticipa l’etico perché, in quanto rapporto non ontologizzante, prefigura una relazione libera da rapporti di dominio a favore di relazioni di collusione che, occorre ricordarlo, non vincolano sul piano dell’azione individuale. Dopo tutto la risposta “est-etica” alla crisi di realtà è la più cara all’autore e non a caso il libro si conclude con illuminanti riflessioni sulla saggezza. 

Sulla questione dell’anticipazione conoscitiva, invece, ci sono alcune oscillazioni. Il paradigma dell’esperienza-con generalmente insiste sulla dimensione cooperativa e performativa, percettuale e non tematica dell’esperienza estetica, enfatizzando l’alterità con il modello dell’esperienza-di che è invece rappresentazionale, individuale e individualista, tematico e tematizzante, conoscitivo e eminentemente cognitivo. Insomma l’estetico non anticipa il cognitivo, vi si oppone.

Per esso il discorso è più complesso. Perullo insiste sull’esigenza di non opporre né sostituire i modelli (p. 24), ma di considerare esso come un paradigma, per così dire, “più sottile” che si insinua dentro al modello dualistico. Smarcare, per Perullo, non equivale a sostituire, ma a decentrare la sguardo, allargare il campo. Per insinuarsi davvero è però imprescindibile tematizzare il problema dell’anticipazione, cioè della relazione tra l’estetico e il cognitivo, tra l’estetico e il linguaggio. 

Tracce di questa tematizzazione si possono trovare nelle pagine dedicate al giudizio estetico. Sebbene Perullo sia chiaro nel non ritenere il giudizio come necessario all’esperienza estetica, non è esclusa la possibilità di un recupero della nozione a seguito di possibili smarcamenti (p. 138). La questione della compassione estetica menzionata sopra va in effetti in questa direzione. 

Alcuni passi sembrano tematizzare più direttamente, anche se in modo forse un po’ dimesso, la questione dell’anticipazione estetica. «[C]iò che, nel linguaggio, anticipa l’articolazione, coincide con il piano trasversale, longitudinale e in un certo senso antecedente (ma un «prima» che non è quello cronologico) alla scissione tra mente e corpo, soggetto e oggetto; quella scissione dalla quale fiorisce l’attitudine duplicante della mente rappresentazionale» (pp. 115-116, corsivo aggiunto). E ancora: «[L]’estetica […] costituisc[e] essa stessa proprio l’esempio paradigmatico del preambolare. In altri termini: prima che tu faccia esperienza dell’estetico, ti spiego in cosa consisterà, i suoi «principi», le sue condizioni di possibilità e le sue ragioni, avvertendoti al contempo che ciò ti servirà parzialmente, fino a un certo punto, forse poco, perché è nell’esperienza-con, nel suo specifico attraversamento, che percepirai davvero di cosa si tratta. Dopo che hai fatto esperienza, ti racconterò in cosa è consistita; ma a quel punto è probabile che tu non sia più così interessato ad ascoltarmi, avendone esperito direttamente il sapore: la spiegazione sarà come darti la fotografia di un viaggio che hai fatto già e in prima persona» (p. 142, corsivo originale). In questi passi la questione dell’anticipazione viene proposta a due differenti livelli, quello dell’estetico in quanto ambito e quello dell’estetica in quanto disciplina. Ma se come è scritto nel primo passo l’estetico anticipa il linguaggio, rimane da chiarire come i significati vengono effettivamente formati o, in altre parole, come avviene il passaggio dalle relazioni agli oggetti. E se l’estetica, cioè la nostra conoscenza dell’estetico, può spiegare soltanto o prima o dopo l’esperienza, senza avere un coinvolgimento attivo o decisivo durante (per dirla con Perullo: «in-tra»), rimane da comprendere perché in un quadro teorico in cui è dato giustamente ampio spazio all’orizzontalità dei contesti di esperienza, proprio a un tipo di esperienza, quella linguistica, è assegnata una gerarchia verticale – non importa se “al di sopra” o “al di sotto” dell’estetico. Talvolta un preambolo può soltanto premettere senza promettere alcunché. una nuova ecologia del percepire

Molti altri passi sembrano non lasciare dubbi su una frattura difficilmente conciliabile tra vita percettiva e vita cognitiva. Come abbiamo visto in precedenza, infatti, l’esperienza estetica per Perullo è immediata perché scevra da condizionamenti di ordine cognitivo («L’aptico e l’estetico sono l’immediatezza non cognitiva e spesso afasica nel suo manifestarsi qui e ora», p. 161). L’estetico apparterrebbe quindi all’ambito dell’ante-predicativo, sarebbe libero da determinazioni cognitive (p. 164). Una riprova si può trovare osservando l’infante. L’età dell’infanzia è quel momento in cui la dimensione operativa e processuale della percezione emerge senza condizionamenti teorizzanti e linguistici propri dello sviluppo cognitivo dell’età adulta (p. 180). 

Su questo ultimo punto rimane almeno un dubbio. Anche se il bambino non è in grado di formulare linguisticamente le sue percezioni, non è detto che non sia in grado di percepire simbolicamente, in un’unità di immagine, le affordances che si offrono ai processi attenzionali e percettivi (cfr. Desideri, 2018: 57). Generalizzando, invece, la cosiddetta anticipazione cognitiva ha ovvie conseguenze per un discorso sulla percezione – non soltanto estetica. Affrontare il problema di una percezione che funziona iuxta propria principia e una percezione agita cognitivamente e simbolicamente ha a che fare direttamente con esso. Infatti, dato il primo caso si dovrà capire perché in una cornice teorica in cui l’eteronomia dei processi relazionali e le azioni non intenzionali agiscono e animano l’esperienza estetica (l’«agire-patire» dell’estetico), proprio alla percezione è dato lo statuto esclusivo di funzionare secondo principi propri. Non basta dire che la percezione è eteronima perché non sia autonoma. Infatti, se il suo funzionamento è eteronimo, la percezione senza cognizione sarà autonomamente eteronima. Nel secondo caso, invece, rimarrebbe da spiegare perché tanta enfasi nel descrivere il campo estetico come eminentemente operativo e performativo, quando le operazioni, i processi e le performance sono già in una certa misura (ancora tutta da stabilire) cognitivi.

L’estetico come «richiamo della coscienza» sembra alludere più a una coscienza ri-attivata e liberata da costruzioni simboliche, piuttosto che a una conoscenza anticipata, più a una dimensione extra-simbolica, che a una pre-simbolica, ma il modo in cui esso si rapporta al problema dell’anticipazione estetica rimane comunque una questione aperta. Ciò che ho esposto in conclusione, più che una critica, è una richiesta di chiarimento e di sviluppo di un progetto meritevole che annuncia un rinnovamento e un ampliamento degli studi di estetica. Per perseguirlo basterà tenere ferma la lezione che esso ci indica nelle ultime pagine del libro. Rimanere saggi nell’urgenza.

Giovanni Lenzi

Riferimenti

Bartalesi, L. (2017) Antropologia dell’estetico. Sesto San Giovanni (MI): Mimesis.

Bartalesi, L. (2020) «Modelos estéticos en la ciencias humanas: un estudio epistemológico». [traduzione di F. Bey]. Boletín de Estética. 51: 8-36. 

Desideri, F. (2011) La percezione riflessa. Estetica e filosofia della mente. Milano: Raffaello Cortina.

Desideri, F. (2018) Origine dell’estetico. Dalle emozioni al giudizio. Roma: Carocci.

Diodato, R. (2020) Immagine, arte, virtualità. Per un’estetica della relazione. Brescia: Morcelliana.

Garroni, E. (2020) Estetica. Uno sguardo-attraverso. Con un’introduzione di S. Velotti. Roma: Castelvecchi.

Iannilli, G. L. (2022) Co-operative aesthetics: a quasi-manifesto for the 21st century. Sesto San Giovanni (MI): Aesthetica edizioni.

Matteucci, G. (2019) Estetica e natura umana. La mente estesa tra percezione, emozione ed espressione. Roma: Carocci.

Perullo, N. (2020) Estetica ecologica. Percepire saggio, vivere corrispondente. Sesto San Giovanni (MI): Mimesis.

Perullo, N. (2021) Epistenologia. Il vino come filosofia. Sesto San Giovanni (MI): Mimesis.

Perullo, N. (2022) Estetica senza (s)oggetti. Per una nuova ecologia del percepire. Roma: DeriveApprodi.Portera, M. (2020) La bellezza è un’abitudine. Come si sviluppa l’estetico. Roma: Carocci. una nuova ecologia del percepire

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