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«Se il testo di La Boétie è incontestabilmente un testo politico, tuttavia affronta le relazioni di potere e di dominio sotto una prospettiva specifica, dal punto di vista dell’ombra proiettata dalla realtà sociale sul funzionamento mentale dei soggetti, per mettere in rilievo i danni identitari e narcisistici tipici della sofferenza sociale. Interroga anche, per converso, gli effetti sociali di questo funzionamento mentale, la sua capacità ad alimentare condotte di sottomissione e ad alimentare il sistema di dominio»

– T. Dagron, p. 380

Da qualche mese, sugli scaffali dedicati alla filosofia moderna e contemporanea della celebre libreria «Vrin» di Place de la Sorbonne a Parigi, è comparsa una sezione «La Boétie». Segnale dell’ottima salute di cui gode tanto il Discours de la servitude volontaire quanto il fenomeno che il suo autore definisce. Entrambi continuano a interessare studiosi, studiose e case editrici (tra le edizioni più recenti, questa in lingua spagnola è assai pregevole). Tra i volumi della sezione, spicca Le soi subjugué. Servitude volontaire et cliniques de l’aliénation (Librairie Philosophique J. Vrin, 2022, pp. 405) di Tristan Dagron, direttore di ricerca al CNRS di Lione.

Il nome di Dagron è legato a quello di La Boétie ormai da diverso tempo: suo è uno dei contributi che si trovano nell’edizione Vrin del Discours del 2002, che si proponeva come alternativa all’edizione Payot del 1975, a cura di Miguel Abensour e Marcel Gauchet. È sua anche l’introduzione al Discours della nuova edizione Vrin del 2012. Un’introduzione che merita di essere citata: Dagron vi sanziona la specificità della «riattualizzazione della nozione della servitù volontaria» (p. 18) avvenuta negli ultimi anni, quale strumento euristico adoperato da sociologia e psicologia per esplorare le forme di dominio nel mondo del lavoro (cfr. Dejours 2006).

Le soi subjugué prosegue le ricerche che Dagron ha avviato con Pensée et cliniques de l’identité. Descartes, Cervantès, Montaigne (Librairie Philosophique J. Vrin, 2019). La prospettiva adottata è la medesima: coniugare il lavoro di storico della filosofia con la psicoanalisi. Lo sguardo di Dagron sul Discours non è solo quello dello specialista in storia della filosofia; il suo spettro di domande e di interessi è rivolto verso «processi mentali che sono in fondo assai ordinari» (p. 16) e nutrito dell’approccio psicoanalitico di René Roussillon e dall’ambiente lionese (cfr. Roussillon, 1991). Narcisismo, identità, riflessività, alcuni dei termini chiave.

Se mai fosse necessario prevenire qualsiasi esitazione in merito a un simile approccio, la lettura di Dagron si tiene ben lontana da freudismi spiccioli o selvagge interpretazioni psicoanalitiche della vita degli autori. Il lettore, al massimo, potrà risentire un certo spaesamento a causa di un percorso argomentativo talvolta complesso, che si sposta rapidamente da discussioni storico-filosofiche a discussioni psicoanalitiche e che lascia implicite alcune definizioni tecniche. Questo non intacca la rilevanza de Le soi subjugué, nel contesto del rinnovato interesse per La Boétie degli ultimi due decenni.

Nel primo dei dieci capitoli del volume, Dagron si occupa, per l’appunto, mettere in luce l’attualità del Discours, in particolare rispetto alla tematica della cosiddetta «sofferenza sociale», quella forma specifica di sofferenza che deriva dall’effetto prodotto da determinate situazioni sociali sull’individuo (cfr. Renault 2008). Nel secondo capitolo, l’autore esplicita l’interesse del proprio approccio pluridisciplinare che propone d’integrare la prospettiva psicoanalitica sul narcisismo alla problematica dell’identità secondo i termini della psicologia sociale.

Conclusa questa sorta di preambolo, Dagron orienta gli altri capitoli sui temi canonici connessi al Discours: amicizia, libertà, memoria, abitudine, volontà e patto. Qui svolge un lavoro di analisi storico-filosofica per rendere conto del rapporto di La Boétie con autori quali Aristotele, Cicerone o Marsilio Ficino, o per confrontare la «servitù volontaria» con l’ethelodouleia del discorso di Pausania nel Simposio o, ancora, per ricostruire la psicologia della memoria di Avicenna, che è uno dei sostrati teorici del Discours. Tuttavia, la finalità di Le soi subjugué non si esaurisce in quest’ordine di discussioni.

L’obiettivo di Dagron, in effetti, è dimostrare che il Discours presenta «una ricca riflessione clinica sulla posta in gioco della socializzazione e della soggettivazione» (p. 383). Più esattamente, La Boétie offre «un bilancio della violenza sociale» e dei fenomeni che essa induce dal punto di vista delle capacità mentali e riflessive degli individui. Sicché, il vero e proprio asse su cui si articola Le soi subjugué è l’interesse per il Discours in quanto testo che concerne una «realtà clinica» assai precisa: la «disorganizzazione identitaria» della psiche individuale dalla società e le sue conseguenze sul giudizio d’attribuzione di ciò che suscita piacere e dispiacere.

Stando alla lettura de Le soi subjugué, la servitù volontaria indica non tanto una forma di governo quanto una relazione di dominio. Per descriverla, Dagron sembra voler adoperare il termine di «subjugation», ma non è chiaro a riguardo: l’espressione che dà il titolo al volume non è oggetto di una discussione specifica che la definisca. Alla voce «subjuguer», però, il dizionario Robert riporta: «mettere qualcuno nell’impossibilità di resistere, per ascendente, all’influenza che si ha su di lui». E tale pare essere la condizione dei servi volontari.

La celebre paradossalità della formula laboetiana della servitù volontaria (il dominio si sostiene sul decisivo e volontario contributo dei servi: allora perché, pur potendo smettere di servire, non lo fanno?) si riflette nell’insieme di caratteristiche che si rinvengono nell’interpretazione di Dagron: la servitù volontaria è tanto estorta e indotta quanto spontanea e non deliberata, cioè frutto di un’azione volontaria ma i cui moventi sono per lo più inconsci. Infatti, essa è un risultato che il tiranno ottiene dai sudditi e corrisponde a una «strategia di difesa, tra le altre possibili, che può essere mobilitata dalla psiche per far fronte all’impatto disorganizzatore della violenza sociale» (p. 96).

Questo è un dato fondamentale che va sottolineato: per Dagron la servitù volontaria non si spiega con una «sete di obbedienza» presente nei servi né indica una delle cause prime del dominio. È un adattamento difensivo che alimenta e mantiene il dominio che lo induce. In altri termini, occorre ricercare la servitù volontaria non a monte di dinamiche politico-sociali, in qualità di loro principio causale; al contrario, la servitù volontaria è un fenomeno che sta a valle, portato di un «mondo perseguitato dalla morte sociale e psichica» (p. 305).

Dagron si serve allora della psicoanalisi per sondare i «moventi interni, ma non per questo meno oscuri ed enigmatici» (p. 38) degli individui. Posto il narcisismo quale meccanismo di difesa dell’io dalle esperienze negative e di integrazione di queste ultime (cfr. Freud 1921 [1975]), alla vulnerabilità sociale corrisponde la «precarizzazione psichica» (p 63). La sottrazione di alcuni «oggetti sociali» (quali l’impiego, il reddito, e l’alloggio, secondo gli esempi proposti da Dagron) che l’individuo investe narcisisticamente, spinge l’individuo a un «tentativo, tanto strano quanto oneroso, di restaurazione narcisistica» (p. 49) che si configura come una «relazione addittiva» nei confronti dei «frammenti» di quegli oggetti che «tiranno sa bene come far scintillare» (p. 50). In questo modo si innesta il suo comportamento di sottomissione e di asservimento nei confronti di chi domina. 

Questo è un altro aspetto dell’interpretazione di Dagron che va tenuto in considerazione: la servitù volontaria non è dovuta all’ignoranza, all’inganno o all’illusione dei servi. Al contrario, è la disillusione, cioè «il riconoscimento, in sé doloroso, della verità» (p. 50), a giocare un ruolo cruciale. Gli individui adottano la strategia di adattamento in cui consiste la servitù volontaria proprio in quanto consapevoli del pericolo dell’esclusione sociale della precarietà: a tal proposito non si sbagliano. Sono particolarmente interessanti le pagine in cui Dagron definisce la servitù volontaria come una condotta di «auto-inclusione» in una relazione di sottomissione e la confronta con la strategia della «auto-esclusione» di cui rinviene il modello in Diogene (cfr. pp. 305 e ss.).

Dunque, secondo la prospettiva che propone Dagron, il fulcro del Discours de la servitude volontaire si trova sul piano clinico: un’opzione interpretativa particolare (per un approccio per alcuni aspetti simile: cfr. Renault 2016) e non certo l’unica possibile (cfr. Provini, Rees, Vintenon 2016). In Le soi subjugué, però, Dagron non si spende in alcuna discussione polemica con altre interpretazioni del Discours. In particolare, risalta il totale silenzio su Miguel Abensour, il principale artefice della riscoperta di La Boétie negli anni Settanta e uno dei massimi interpreti del pensiero laboetiano (cfr. Abensour 2011). Palese è la distanza tra loro: per Dagron, La Boétie non fornirebbe «alcuna teoria filosofica del potere politico» (p. 127), laddove per Abensour La Boétie non fonda niente di meno che una nuova teoria del dominio (cfr. Abensour 2018).

Un confronto tra le loro interpretazioni del Discours eccede certamente i limiti di una recensione. Tuttavia, questo permette di rilevare un merito importante de Le soi subjugué, su cui vale la pena concludere. Con questo volume, Dagron consolida e contribuisce a definire un certo approccio alla questione della servitù volontaria e, pertanto, Le soi subjugué diventa un valido termine rispetto a cui confrontare le altre forme assunte dalla riattualizzazione del Discours de la servitude volontaire.

Bibliografia

Abensour, M. (2011). Per una filosofia politica critica (a cura di Pezzella, M.), Jaca Book, Milano.

Abensour, M. (2018). La Boétie prophète de la liberté, Sens & Tonka, Paris.

Dejours, C. (2006). Aliénation et clinique du travail, in «Actuel Marx », 39, pp. 123-144.

Freud, S. (1921). Psicologia delle masse e analisi dell’io, Bollati Boringhieri, Torino, 1975.   

Provini, S., Rees, A., Vintenon, A. (dir.) (2016). Cahiers La Boétie. La parole de La Boétie : approches philosophiques, rhétoriques et littéraires, Classique Garnier, Paris 

Renault, E. (2008). Souffrances sociales. Sociologie, psychologie et politique, La Découverte, Paris.

Renault, E. (2016). Domination et pathologie sociale chez La Boétie, in Gerbier, L. (dir.). Cahiers La Boétie. Lectures politiques de La Boétie, Classique Garnier, Paris, pp. 137-151. 

Roussillon, R. (1991). Paradoxes et situations limites de la psychanalyse, P.U.F., Paris.

Armando Arata

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