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In una scena molto nota di Lost Highway – che costituisce forse l’indizio più evidente della maniera con cui dovrebbe, o perlomeno potrebbe, essere interpretata l’intera pellicola – David Lynch allestisce un dialogo tra il protagonista, il sassofonista Fred Madison, e due agenti di polizia. Poche battute. «I like to remember things my own way» – dichiara Madison. «What do you mean by that?» – domandano gli agenti. «How I remember them. Not necessarily the way they happened». Come me le ricordo. Non necessariamente nel modo in cui sono accadute.

Accantonando, anche se non del tutto, la lettura più probabile di quest’affermazione, nonché la più coerente con lo sfondo teorico dell’intera produzione cinematografica lynchiana, vale a dire quella di ascendenza psicoanalitica (focalizzata sull’altalena immaginaria contenuto latente-contenuto manifesto sulla quale Freud ci ha mostrato consistere l’attività del lavoro onirico), è possibile, a nostro avviso, estrarre da essa, alla maniera dell’epoché fenomenologica, una sorta di metodo autenticamente speculativo tramite cui interrogare filosoficamente la storia di qualcosa (o qualcuno). Che cosa può voler dire, infatti, ricordare le cose come ce le si ricorda e non necessariamente nel modo in cui sono accadute? Può volere dire, innanzitutto, ricordare le “cose” e non i “fatti” o, meglio, ricordare i fatti nella loro “cosalità” e non nella loro “fatticità”. E poi, può voler dire, soprattutto, collocare queste cose/fatti non all’interno di una rimemorazione fine a se stessa e, in un certo senso – che chiariremo immediatamente – nemmeno oggettiva, bensì radicalmente interessata dal problema che costituisce la ragione della sua scaturigine; l’atto traumatico che ci costringe a “ricordare”, in una maniera che, tuttavia, non ha più molto a che fare con il registro passivo della rimemorazione, ma abbraccia, piuttosto, il registro attivo – inventivo, creativo – dell’immaginazione, nel suo senso più alto.


Simondon
Gilbert Simondon

Assumiamo, pertanto, che ricordare le cose come ce le si ricorda, non necessariamente nel modo in cui sono accadute significhi, innanzitutto, ricordare l’accadere di un accaduto, piuttosto che l’accaduto ritagliato dalla sostanza del suo accadere; il «senso del problema»[1] – per dirla con Bachelard – da cui è scaturita una specifica e provvisoria soluzione, piuttosto che quella soluzione in quanto tale; la congiuntura che l’ha resa possibile e che rimane attiva e questionabile al di là dell’itinerario di cui è stata oggetto questa o quella specifica soluzione a essa connessa. Si tratta di un’operazione che «disegna un processo piuttosto che indagare un oggetto»[2]. Deduciamo, poi, da tutto ciò, che tale ricordare non consiste in una tanto lineare, quanto oggettiva e neutrale registrazione, ma piuttosto in un «potere di selezione delle forme, di schematizzazione dell’esperienza»[3]. Un’operazione tutt’altro che neutrale, tutt’altro che oggettiva – dicevamo. È a causa di un’interpellazione specifica – un sentimento superficiale e visibile del problema – che cominciamo a ricordare; a ricavare da questo sentimento un senso più profondo ed opaco; a ricercare la presenza di questo senso nel suo continuo riaffioramento sotto una coltre di soluzioni più o meno luminose; infine, a ri-vivificarlo – rendendo disponibili le sue virtualità per ulteriori e differenti forme di attualizzazione.

Interrogare filosoficamente la storia di qualcosa (o qualcuno), di conseguenza, vorrà dire scrivere una storia ratificante, normativa, giudicata, per dirla ancora una volta con Bachelard; radicalmente orientata al presente, «illuminata dalla finalità del presente»[4]. Significherà fare riaffiorare faticosamente il senso di un problema non immediatamente visibile, poiché spesso rimosso, quando non del tutto forcluso, dallo spazio del pensiero.

È in una direzione siffatta – per quanto, in questo contesto, solamente abbozzata – che potrebbe, a nostro avviso, apparire produttivo interrogare filosoficamente la stessa storia della filosofia, insieme o accanto – perché no? – alle vite dei filosofi stessi. Ed è con i medesimi propositi che vorremmo provare a dialogare con i due ultimi libri di Giovanni Carrozzini, pubblicati entrambi per Castelvecchi e intitolati, rispettivamente, Variazioni su Simondon (2020)e Gilbert Simondon. Del modo di esistenza di un individuo (2021).

A Carrozzini dev’essere riconosciuto, innanzitutto, il merito di essere stato tra i primi ad avere riservato un’attenzione rigorosa al pensiero di Simondon all’interno del dibattito italiano (e in italiano.) A una ricognizione della filosofia di Simondon nel suo complesso ha, infatti, dedicato un primo volume nel 2006, Gilbert Simondon: per un’assiomatica dei saperi. Dall’“ontologia dell’individuo” alla filosofia della tecnologia (Manni, San Cesario) e un secondo volume nel 2011, Gilbert Simondon filosofo della mentalité technique (Mimesis, Milano-Udine). Il tutto inframezzato dalla curatela di un importante numero monografico della rivista Il Protagora (Gilbert Simondon filosofo delle tecniche, 2008) e dalla traduzione della versione integrale della tesi di dottorato principale di Simondon (L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione, Mimesis, Milano-Udine 2011). Anche negli anni successivi, tanto il pensiero del filosofo francese, quanto il suo “modo di esistenza” in quanto “individuo” (o, meglio sarebbe dire, forse, in quanto “processo di individuazione”)[5] hanno continuato a rappresentare un polo di attrazione/attenzione preferenziale per Carrozzini – cosa che lo ha reso, a tutti gli effetti, uno dei maggiori studiosi del filosofo di Saint-Étienne.


Simondon
Simondon

Variazioni su Simondon [VS] e Gilbert Simondon. Del modo di esistenza di un individuo [GS]rappresentano, in questo senso, una sorta di crocevia all’interno della produzione dell’autore. Nel secondo – che anche una lettura superficiale consente di identificare come la prima biografia organica di Simondon, fatta eccezione per il breve, ma rilevante ritratto a firma di Nathalie Simondon a cui Carrozzini non manca di rinviare[6] – precipitano una serie di ricerche d’archivio che hanno accompagnato sin dall’inizio lo studio del filosofo francese da parte di Carrozzini. Una «biografia intellettuale» che, lungi dall’esaurirsi in una «raccolta di dati relativi alla vita e al pensiero del soggetto prescelto» (GS, 5), costituisce piuttosto uno strumento utile a cominciare quantomeno a collocare Simondon nella storia della filosofia. Tanto quella a lui contemporanea, rispetto alla quale conservò sempre una – per molti versi – produttiva distanza, nella misura in cui «non palesò mai una qualche condivisione e neppure un vero e proprio confronto delle/con le filosofie “alla moda” dell’epoca» (GS, 45), quanto quella più estesa e classica con la quale, al contrario, non cessò mai di confrontarsi in modo singolare. “Confronto singolare” che, invece, costituisce la sostanza del primo – e i cui modi trovano una concrezione nell’interrogazione del rapporto diretto tra Simondon e i fisiologi ionici, Lucrezio, Aristotele, Descartes, Spinoza e Pascal, da un lato, e di quello indiretto (o parzialmente tale) tra il filosofo francese e von Uexküll, Teilhard de Chardin e Santayana, dall’altro. Al suo interno precipitano, in questo caso, una serie di riflessioni e intuizioni più o meno elaborate che sembrano tracciare i confini di un lavoro in corso (è in termini di una serie di “ipotesi di ricerca” che si esprime, talvolta, l’autore stesso), teso a riflettere sul rapporto tra Simondon e la storia della filosofia. Un campo già parzialmente battuto, certamente, ma che contiene, a nostro avviso, un ventaglio di potenziali inespressi – tanto in relazione alla sostanza qua talis, quanto ai suoi modi –, che Carrozzini ha il merito di cominciare ad attualizzare, fornendoci, al contempo, qualche indicazione utile circa le maniere di trattarli.

Ostentando un’ultima volta una certa dose di spregiudicatezza e assumendo che ricordare le cose come ce le si ricorda, non necessariamente nel modo in cui sono accadute possa essere anche un buon modo di fare storia della filosofia, cominciamo allora con il domandarci se anche Simondon – come il sassofonista Fred Madison – abbia questo tipo di rapporto con il passato; un passato che, confidando di essere riusciti almeno un po’ a chiarire in che senso, non è mai solamente “passato”, ma è sempre, al contempo e piuttosto, un «passato-nel-presente»[7], un «passato attuale»[8]. Allo stesso modo, potremmo cominciare col dire che, per Simondon, anche la “storia” della filosofia è sempre orientata al “presente” della filosofia. «In tal senso – scrive Carrozzini –, il lavoro sulla storia della filosofia non risulta disgiunto da quello autenticamente filosofico e lo sforzo reale risiede proprio nel coniugare in modo inventivo queste due dimensioni» (VS, 55). La storia della filosofia agisce, in questo senso, come carburante, sia nella misura in cui è causa – in almeno un senso, aristotelicamente parlando – del «lavorio alacre del pensare filosoficamente» (VS, 55-56), sia nella misura in cui «come energia in entrata nel sistema filosofico simondoniano appare, in uscita, profondamente trasformata dal contatto con questo sistema, alimentando un’autentica “invenzione”» (VS, 55). A tal proposito, è a nostro avviso opportunamente che Carrozzini propone, sulla scorta di Ludovic Duhem[9], di leggere tale “restituzione” nei termini di una trasduzione – «[u]na significativa restituzione “trasdotta”, ovvero amplificata e trasformata […]» (VS, 58). È quanto accade – come ci mostra sempre opportunamente l’autore – i) con le riflessioni dei fisiologi ionici (e in particolare di Talete e Anassimandro) sull’“archè quale principio ed elemento”, l’“entità pre-elementare” e “il divenire e il movimento” e di Lucrezio sulla natura, che, per stessa ammissione di Simondon, hanno occupato un ruolo di rilievo nei processi di elaborazione di alcune delle sue categorie più note: il preindividuale, la visione operatoria del reale che sarà a fondamento dell’allagmatica, il/i potenziale/i, etc. (VS, 56-68); ii) con le nozioni aristoteliche di forma/materia e atto/potenza, di cui, come noto, Simondon denuncia contraddizioni e limiti, preferendo loro una lettura radicalmente differente della “presa di forma” come processo di individuazione di una forma-materia alla luce della nozione di informazione e una categoria constatabile come quella di “potenziale”, appartenente al dominio della realtà piuttosto che a quello della virtualità (VS, 68-74); iii) con le “idee chiare e distinte” di Descartes, che assumono il carattere di «strutture dotate di potenziale informativo atte all’innesco di processi di amplificazione» (VS, 76); il suo tentativo di combinare res cogitans e res extensa, tramite cui avrebbe «esaminato lo sviluppo delle conversioni fra strutture e intuito la loro possibile commutabilità in operazioni» e così contribuito a «una prima, aurorale, elaborazione dell’allagmatica» (VS, 78); la maniera con cui ne Le passioni dell’anima declina la “vera Generosità” che influenza la categoria simondoniana di atto morale; iv) con la «stringente coincidenza fra la filosofia della Natura e l’etica» (VS, 81) in Spinoza, che trova una ripresa in Simondon attraverso la categoria di “assiontologia”; v) con, infine, «le strategie logiche attuate da Pascal nei suoi Pensées» (VS, 83) – descrizione di un ente a partire dagli estremi del dominio da cui emerge, attenzione per le differenze che specificano un ente e un dominio in rapporto a un altro, approccio analogico alle realtà esaminate – e l’influenza che, nel loro complesso, esse avrebbero esercitato sull’allagmatica simondoniana e, in particolare, sull’utilizzo singolare dell’analogia posto in essere dal filosofo francese. E, similmente, è anche quanto Carrozzini fa accadere, orchestrando una serie di incontri fra von Uexküll e il suo concetto di Umwelt e Simondon e la sua categoria di ambiente associato (VS, 109-128); Simondon e Teilhard de Chardin, alla luce dei loro sistemi (129-147); e, infine, Simondon e Santayana in relazione agli Stati Uniti d’America, come – potremmo dire, sulla scorta di Deleuze e Guattari – “luogo concettuale” o “soglia geofilosofica” (149-161).

Jakob Johann von Uexküll
"Early Scheme for a circular Feedback Circle" da Jakob Johann von Uexküll, Biologia Teoretica (1920)

E, tuttavia, è proprio sul carattere singolare di questi confronti che vorremmo provare a incalzare ulteriormente la riflessione di Carrozzini, non tanto – lo si comprenderà immediatamente – nei termini di una critica, quanto piuttosto in quelli di un’amplificazione prospettica.

Un’obiezione che potrebbe essere rivolta al carattere peculiare di fare storia della filosofia di Simondon è, infatti, quella di compiere un uso radicalmente personale, quando non del tutto relativistico, delle fonti. Si tratta di una critica che viene rivolta in modo ricorrente a molti filosofi francesi contemporanei e che, tuttavia, crediamo sia importante – per molti versi decisivo – rinviare al mittente, provando a spiegare il perché. Potrebbe essere sufficiente, a questo proposito, fornire due dati: uno biografico e uno bibliografico. Da un lato, infatti, tra i maestri, più o meno diretti, di Simondon figurano alcuni segnavia canonici della storia della filosofia francese, come Martial Guéroult, Jean Hyppolite e Henri Gouhier, il cui influsso sul filosofo di Saint-Étienne, malgrado sia ancora poco indagato, è facilmente constatabile (GS, 12-13). Dall’altro, tra i suoi lavori, troviamo, ad esempio, una Storia della nozione di individuo, che passa in rassegna l’intera storia della filosofia occidentale[10]. E, tuttavia, reputiamo importante non fermarsi a quanto è più superficialmente constatabile e, piuttosto, concentrare l’attenzione sulla differenza che corre tra un utilizzo relativistico degli archivi della storia della filosofia e una sua interrogazione – riqualifichiamola ancora una vola in questi termini – ratificante, normativa, giudicata. Il fatto che Simondon non si limiti a una ricostruzione del pensiero degli autori che prende in considerazione, ma ne proponga una restituzione, non apre le porte al relativismo, quanto piuttosto alla problematizzazione. Nell’ultima fase della sua riflessione, Foucault utilizzava questo termine proprio per identificare il modo di esistenza di un pensiero che fosse costitutivamente in rapporto con un impensato. In modo per certi versi simile, provando a pensare con Bachelard e Simondon, intendiamo la problematizzazione come la ri-vivificazione e la riattivazione del senso di un problema nella forma dei suoi potenziali, mai del tutto assorbiti nelle soluzioni che da esso sono scaturite[11]. In questo senso, potrebbe essere utile affinare ulteriormente gli estremi dell’analogia avanzata da Carrozzini tra il lavoro storico-filosofico di Simondon e la trasduzione, pensando il carattere amplificante e trasformativo di quest’ultima proprio nei termini di una problematizzazione. A nostro avviso, infatti, la riforma simondoniana della storia della filosofia potrebbe essere fatta procedere di pari passo con la sua riforma della nozione (cibernetica) di informazione. «[...] l’information n’est pas une chose – afferma Simondon –, mais l’operation d’une chose arrivant dans un système et y produisant une transformation»[12]. Un sistema – tale è ciò che qualifica secondo Simondon, qualsiasi realtà che potrebbe virtualmente costituire un recettore d’informazione – «qui ne possède pas entièrement en [lui]-même la détermination du cours de son devenir»[13]. È esattamente in questi termini – vale a dire come un sistema che si trova in uno stato di equilibrio metastabile – che Simondon considera la storia della filosofia o, meglio, la filosofia che si trasduce nella sua storia, la quale è sempre storia di un farsi, mai storia di un fatto. Filosofare, per Simondon – ci invita a considerare Carrozzini –, «significa creare e riflettere sul processo di creazione» (GS, 29). Ed è proprio nei termini di un’operazione che interessa un sistema e vi produce una trasformazione che agisce anche l’operare (storico-)filosofico di Simondon[14]. Dovrebbe essere chiaro, a questo punto, in che cosa un’operazione problematizzante differisce tanto da un uso relativistico della storia della filosofia, quanto da un suo uso canonico – nel senso più proprio del termine –, caratterizzato da una proiezione diplopica sul passato di un qualche senso dai contorni ben definiti, che riduce il primo a un processo continuo e coerente di inveramento della sua essenza, di esibizione delle prove della sua verità. Non è tanto sulle strutture locali di questo o quel sistema, sulle forme di questo o quel pensiero, che agisce l’operazione problematizzante, quanto piuttosto sulla serie dei loro potenziali: incompatibilità interne, indeterminazioni parziali, problematiche. Tutti sintomi del persistere, all’interno di ogni individuo, di quello che Simondon chiama preindividuale, che esiste sempre come «potenza del divenire risolutivo», «fonte di futuri stati metastabili dalla quale potranno sorgere nuove individuazioni»[15]. A interessare Simondon non sono tanto le soluzioni, quanto il senso del problema che brilla, più o meno sintomaticamente, sotto di esse – in una posizione di «sì-e-no», di «partecipazione departecipata» – e che, spesso, può valere la pena riattivare, tramite un’«azione risolutiva», per provare a ri-articolare in una direzione differente[16]. È quanto notoriamente accade con la nozione aristotelica di forma, che, una volta interessata dall’“informazione incidente”-Simondon, fa brillare il senso di tutti i problemi che essa, da secoli, porta con sé: rapporto potenza/atto, forma/materia, individuo/processo di individuazione, etc. Ma è anche quanto accade – meno notoriamente – con tutta un’altra serie di nozioni su cui Carrozzini ha il merito di porre l’attenzione proprio in questi termini. Si pensi all’unilateralità tanto di posizioni come quelle dei fisiologi ionici che enfatizzano il ruolo del movimento e del divenire a discapito delle strutture, quanto di posizioni come quelle dei filosofi atomisti (o anche di Platone) che difendono la rilevanza della stabilità a discapito del movimento. Un’opposizione – la stessa che, mutatis mutandis, ritroveremo anche qualche secolo più tardi, tra l’«oggettivismo fenomenista di Kant e di Auguste Comte» e l’«intuizionismo dinamico di Bergson» (o di Deleuze, VS, 66, n. 27) – che se interrogata da una certa prospettiva, mostra una tenuta precaria e, a partire da ciò, la necessità di essere riarticolata in una direzione altra, che per Simondon ha significato provare a pensare, contro il «monismo epistemologico della struttura o dell’operazione»[17], il problema della conversione della struttura in operazione e dell’operazione in struttura all’interno di un medesimo tempo logico. Ma si pensi anche a Descartes – a cui Carrozzini dedica un’intera appendice (VS, 88-107) segnalando, tra le altre cose, i contorni di un’indagine che, a opinione di chi scrive, sarebbe estremamente produttivo approfondire ulteriormente – la cui (pseudo-)“mentalità tecnica”, riscontrabile in molte delle nozioni che egli mette in campo e a cui si rivolge l’orecchio attento e ratificante di Simondon, rimane problematicamente attiva (e, pertanto, ri-attivabile) anche sotto la coltre dell’«impostazione sostanzialista e continuista del suo sistema» (VS, 78), che, rispetto ai potenziali di tale tecnologia generale o riflessiva, agisce come un vero e proprio ostacolo epistemologico. O allo stesso Pascal – «sorprendente filosofo della pratica scientifica, quasi un materialista»[18], come lo definisce Althusser – nei confronti del quale potrebbero essere fatte valere considerazioni simili. In questi termini, inoltre, anche gli altri tre autori convocati da Carrozzini – von Uexküll, Teilhard de Chardin e Santayana – potrebbero rappresentate un buon banco di prova della proficuità, anche al di là della lettera di Simondon, di una modalità specificamente simondoniana di fare storia della filosofia. La già ampia analisi di Carrozzini dei rapporti tra Umwelt e ambiente associato potrebbe essere ulteriormente arricchita, per esempio, da una problematizzazione simondoniana dello sconfinamento ideologico attuato da von Uexküll quando estende il concetto di Umwelt oltre i suoi confini specificamente biologici, ipotizzando l’esistenza di un Bauplan interspecifico, che, a opinione di chi scrive, appare – soprattutto quando si prendono in considerazione le Umwelten umane – come la soluzione ideologica a una questione – ancora una volta, un problema – tutt’altro che di poco conto e che potrebbe essere indentificato con la domanda riguardo alle fattezze e la singolarità dell’ambiente sociale o, più semplicemente, della società. Lo stesso si potrebbe dire di Teilhard – «palentologo in abito talare»[19], lo definiva, provocatoriamente, ancora una volta Althusser –, alla cui superfetazione teologica sopravvive il problema del sistema, rispetto al quale Simondon avrebbe, a nostro avviso, da dire molto più di quanto, fino ad ora, gli è stato fatto dire dai suoi commentatori. O di Santayana, la cui cartografia concettuale degli Stati Uniti sembra, per certi versi, prendere in carico il senso di un problema che fu di Tocqueville, riattivandolo in direzioni sicuramente discutibili, nei due sensi propri del termine, che riassumono bene quanto abbiamo provato a dire fino a questo momento: meritevoli di essere discusse, da un lato, e problematiche, dall’altro.

È all’interno di questi interstizi che il posto occupato da Simondon nella storia della filosofia assume una veste peculiare a partire dal rapporto che egli instaura – e ci consente di instaurare – con la storia della filosofia. Su un piano generale, infatti, il filosofo francese ci insegna a pensare l’indagine storico-filosofica (nonché, per certi versi, la stessa storia della filosofia) come una trasduzione; su un piano particolare, ci fornisce, direttamente o indirettamente, più di qualche strumento per mettere in atto tale trasduzione. Variazioni su Simondon ha senza dubbio il merito di fare luce, all’interno di un insieme discorsivo coerente, su entrambe queste serie convergenti: sui loro punti di connessione e sulle loro possibili linee di fuga. Gilbert Simondon. Del modo di esistenza di un individuo costituisce, in questo senso, un elemento di tale insieme, che, in quanto elemento – è sempre Simondon a insegnarcelo – possiede una sua forma singolare di concretezza e trasmissibilità. La vita stessa del filosofo di Saint-Étienne appare, in tal senso – questo è un grande merito di Carrozzini, la cui ricercatezza di dettaglio non cede quasi mai il passo all’agiografia, nemmeno nell’utilizzo delle numerose testimonianze dirette che è riuscito a reperire (GS, 49-62) –, essa stessa una continua trasduzione – professionale e teorica e professionale-e-teorica – e traccia, contemporaneamente, il piano materiale a partire da cui provare ad operare una problematizzazione più accorta anche dei limiti della riflessione dello stesso Simondon. In tale andirivieni continuo, questi due lavori inaugurano così – in maniera molto differente l’uno dall’altro – un cantiere certamente dotato di una propria autonomia, ma, che individua, al contempo, una serie di soglie metastabili, contribuendo a rendere possibili altre e nuove trasduzioni e collaborando, in questo modo, «alla faticosa impresa di costruzione del sapere» (GS, 5).


di Marco Ferrari


[1] G. Bachelard, La formazione dello spirito scientifico. Contributo a una psicoanalisi della conoscenza oggettiva, tr. it. a cura di E.C. Gattinara, Cortina, Milano 1995, p. 12.

[2] P. Macherey, La filosofia della scienza di Georges Canguilhem. Epistemologia e storia delle scienze, in Da Canguilhem a Foucault. La forza delle norme, tr. di P. Godani, introduzione di V. Fiorini e P. Savoia, Ets, Pisa 2011, pp. 35-69, qui p. 67.

[3] G. Simondon, Del modo di esistenza degli oggetti tecnici, tr. it. di A.S. Caridi, Orthotes, Napoli-Salerno 2020, p. 139.

[4] G. Bachelard, L’attività razionalista della fisica contemporanea, tr. it. a cura di F. Bonicalzi, tr. di C. Maggioni, rev. sc. di G. Mattace Raso, Jaca Book, Milano 2020, p. 56.

[5] Si vedano, a tal proposito, in particolare le sezioni monografiche da lui curate dei numeri 23-24 (2015) e 29-30 (2018) della rivista Il Protagora.

[6] La biografia di Simondon redatta dalla figlia, Nathalie, è consultabile al seguente link: http://gilbert.simondon.fr/content/biographie (ultima consultazione: 23/3/2022).

[7] S. Bachelard, Epistemologia e storia delle scienze, in F. Bonicalzi, La ragione cieca, Jaca Book, Milano 1982, pp. 117-131, qui p. 121.

[8] G. Bachelard, G. Bachelard, L’attività razionalista della fisica contemporanea, cit., p. 55.

[9] Cfr. L. Duhem, Apeiron et physis. Simondon transducteut des présocratiques, in «Cahiers Simondon», 4, 2012, pp. 33-66.

[10] Più in generale, non è superfluo sottolineare come una serie di riferimenti organici alla storia della filosofia siano presenti in molti dei corsi e degli scritti “minori” (conferenze, abbozzi e appunti non pubblicati, etc.) di Simondon. Si vedano, a titolo di esempio, Les grands courants de la philosophie française contemporaine [1962-1963], Sciences de la nature et sciences de l’homme, entrambi in G. Simondon, Sur la philosophie (1950-1980), Éditions établie par N. Simondon et I. Saurin, Préface de F. Worms, Puf, Paris 2016, pp. 131-150 e 219-321. Ma si tenga in considerazione anche il corso, tutt’oggi ancora inedito, intitolato Quelques éléments d’histoire de la pensée philosophique dans le mondo occidental, richiamato da Carrozzini sulla scorta di una testimonianza di Vincent Bontems (GS, 95, n. 229).

[11] La categoria di problema è, a nostro avviso, tanto centrale, quanto ancora poco discussa, in tutta la riflessione di Simondon. È particolarmente indicativo, a questo proposito, quanto il filosofo francese scrive nella conclusione de L’individuazione: «Il presente dell’essere consiste nella sua problematica in via di risoluzione, essendo, in quanto tale, bipolare secondo il tempo, proprio perché problematica. L’essere individuato non consiste nella sostanza, bensì nell’essere posto in questione, nell’essere attraversato da una problematica, diviso, riunito, portato all’interno di questa problematica che si pone per mezzo di lui e lo fa divenire nel modo in cui diviene» (G. Simondon, L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione, tr. it. a cura di G. Carrozzini, Mimesis, Milano-Udine 2011, pp. 436-437). Siamo convinti che una riflessione organica attorno a questa categoria potrebbe mostrare l’esistenza di un legame più solido di quanto fino a questo momento si è ammesso tra il filosofo di Saint-Étienne e non solo alcuni dei suoi maestri – come Canguilhem e, più indirettamente, Bachelard –, ma anche la “tradizione” a cui si è soliti ascrivere questi ultimi, ovverosia quella della cosiddetta epistemologia storica. In questo contesto ci limitiamo ad affermarlo, a nostra volta, come segnale di un lavoro in corso.

[12] G. Simondon, L’amplification dans les processus d’information [1962], in Communication et information. Cours et conferences, Édition établie par N. Simondon et présentée par J.-Y. Chateau, Les Éditions de la Transparence, Paris 2010, pp. 157-176, qui p. 159.

[13] Ibid.

[14] Sull’attitudine riflessiva della filosofia, intesa, per certi versi, proprio come «un cas particulier de relation entre une problématique et les différentes opérations par lesquelles elle peut être résolue», si veda: G. Simondon, «Introduction» (Note sur l’attitude réflexive, autour de 1955), in Sur la philosophie…, cit., pp. 19-25, qui p. 23.

[15] G. Simondon, L’individuazione…, cit., p. 440 e 39.

[16] Id., Per una nozione di situazione dialettica, tr. it. a cura di G. Carrozzini, in «Il Protagora», 5/5 (2005), pp. 105-119, qui p. 113 e 115.

[17] Id., Allagmatica, in L’individuazione…, cit., pp. 769-779, qui p. 776.

[18] L. Althusser, Filosofia e filosofia spontanea degli scienziati e altri scritti, tr. it. di F. Fistetti, De Donato, Bari 1976, p. 80

[19] Ibid.

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