L'innominabile attuale, uscito quest’anno per i tipi di Adelphi, è l'ultimo anello della collana di opere scritte da Roberto Calasso. Il titolo riprende un'espressione che si trova nella prima pubblicazione dell'autore, La rovina di Kasch (Adelphi, 1983), sancendo così un collegamento tra l'inizio e la provvisoria fine della sua vasta produzione. Così come l'attuale di cui si occupa il testo, altrettanto sfuggente è l'opera di Calasso, irriducibile a un genere e a uno stile. Anni fa Pietro Citati, recensendo il suo I quarantanove gradini (Adelphi, 1991), ebbe a definirlo «uno scrittore imprendibile: sta celato nei suoi libri, come un animale occulto, enigmatico e pericoloso. […] Se tutto, nella sua mentalità e nella sua educazione, lo predisponeva a essere un saggista filosofo, il caso o gli astri o altri libri hanno voluto che egli diventasse molto di più: uno scrittore» (La Repubblica, 3 novembre 1991). Interrogato in merito al crogiolo di saperi e parole che appronta nelle sue opere, Calasso si è espresso così: «in rapporto a quello che scrivo l'espressione di Nietzsche pensiero impuro mi sembra una buona approssimazione» (“Il Venerdì”, 15/7/2016). Indubbiamente un'eco nietzscheana (non a caso l'opera omnia di Nietzsche è stata una delle prime pubblicazioni di Adelphi, la casa editrice di cui Calasso è proprietario e direttore) si avverte anche nell'Innominabile attuale: nello stile ricercato e potente, tendente all'aforisma; nello sguardo acuto, allo stesso tempo disincantato e meravigliato, che si posa sulle cose del mondo. Si potrebbe definire l'opera di Calasso un esercizio di pensiero, forse un po' nascosto, se, come l'autore stesso scrive, «al pensiero sarebbe quanto mai utile un periodo di occultamento, di vita clandestina e camuffata, da cui tornare a emergere in una situazione che potrebbe avvicinarsi a quella dei presocratici» (2017, p. 47).
Il libro è diviso in tre parti. La prima, Turisti e terroristi, è dedicata al mondo contemporaneo, sfuggente al punto da provocare la sensazione di non sapere dove si stanno mettendo i piedi, «l'opposto del mondo che Hegel intendeva stringere nella morsa del concetto» (p. 13). L'uomo che abita l'innominabile attuale, definito da Calasso Homo secularis, ha smarrito non tanto la religione quanto il brivido del sacro, il senso del divino. Ha sperimentato un alleggerimento da tutti i vincoli, senza però riuscire a viverlo come una possibilità liberatoria, ma avvertendo piuttosto un costante senso di minaccia, gravato dal peso dell'inconsistenza.
C'è però un'eredità delle epoche passate talmente potente e cruciale da non riuscire a tramontare: il sacrificio. Presenza costante nell'opera di Calasso, in questo libro viene accostato al fenomeno del terrorismo. Negli atti terroristici dei fondamentalisti islamici, osserva l'autore, è l'attentatore stesso a essere la vittima sacrificale, mentre la popolazione che viene uccisa è il mezzo per compiere il sacrificio. Secondo Calasso il terrorismo jihadista è compiuto in odio alla società secolare, che è dilagata nel mondo islamico portando con sé un frutto avvelenato: la pornografia. La possibilità improvvisa di vedere milioni di corpi nudi femminili che fanno sesso «fu un oltraggio estremo e una attrazione indominabile», capace di scatenare in modo incontrollato la pulsione di morte, più che quella erotica. La convergenza tra culture oggi infatti si verifica, secondo l'autore, proprio attraverso la pornografia, e ancor più con il turismo. In entrambi i mondi, nei quali le azioni sono prevedibili e ripetitive, l'estetica è omologata, l'esecuzione meccanica prevale sul dubbio. Le pagine dedicate al turismo, che denunciano come l'esperienza dell'altro venga sottratta allo shock dell'inatteso e addomesticata, suonano a dire il vero un po' banali.
Osservazioni penetranti riguardano invece il pensiero dell'età secolare, se di pensiero si può parlare. La società secolare, privata della possibilità di rivolgersi al trascendente, ha finito per adorare se stessa; un'ulteriore trasformazione del sacrificio è avvenuta attraverso l'esperimento: l'estensione del campo dello sperimentabile all'intero materiale umano ha condotto agli esiti drammatici del totalitarismo. La stessa logica si ritrova in una nuova «religione secolare», il transumanesimo, che considera la morte alla stregua di un problema da risolvere. Una delle voci più forti tra quelle pronunciate dall'Homo secularis è oggi progressista e umanitaria, talvolta anche spirituale, ma espressione di un umanitarismo e di una spiritualità infondati, retorici, dimentichi delle proprie origini. Della stessa mancanza di fondamento soffre del resto la democrazia, che risiede unicamente in un insieme di procedure, ma è la sola forma di governo capace di rendere sopportabile la convivenza umana. La società secolare, che esalta l'immediatezza e la disintermediazione, mette a rischio il metodo democratico, basato, come del resto l'intera esistenza, sulla mediazione.
Calasso si sofferma poi sulla «religione dell'informazione», l'ossessione per i bit e gli algoritmi che pervade la nostra era, condivisa da buona parte delle élites imprenditoriali e scientifiche. L'informazione, che è necessariamente una grandezza discreta, non potrà mai chiarire il mistero della coscienza, che è invece situata al confine tra discreto e continuo, ma certamente è irriducibile a qualsiasi logica autistica e binaria. Come nel caso del turismo, anche nell'era informatica Calasso individua una minaccia alla possibilità del fare esperienza: «La digitabilità è il più grave assalto che abbia subito l'inclinazione a esporsi allo shock dell'ignoto» (p. 88).
Di fronte a tutto questo, secondo l'autore non resta che coltivare il proprio senso di non appartenenza, situandosi tra le pieghe della società, come «contemplanti nascosti e non riconosciuti», senza indulgere in lamentele che si rivelerebbero inconsistenti quanto la realtà di cui si dolgono. Una soluzione di ripiegamento individualistico, venata di pessimismo nei confronti dell'attuale, che lascia un po' a desiderare.
La seconda parte del testo, La Società Viennese del Gas ripercorre invece l'epoca che precede l'affermarsi dell'innominabile attuale: il periodo che va dal 1933 al 1945, in cui «il mondo ha compiuto un tentativo di autoannientamento, parzialmente riuscito». La storia viene ripercorsa attraverso una selezionata cronologia composta dalle testimonianze di scrittori e intellettuali: tra gli altri, Céline, Walter Benjamin, Brasillach, Ernst Jünger, Simone Weil, Klaus Mann, Curzio Malaparte, Vasilij Grossman. Sono le pagine migliori del libro: Calasso, attingendo alla sua sconfinata erudizione, riesce a dipingere un affresco inquietante e illuminante, impossibile da riassumere e tutto da leggere.
La terza e ultima parte, Avvistamento delle Torri, riprende un frammento di Baudelaire, in cui viene descritto un sogno, che è anche un triste presagio: un'immensa torre sta per cadere, è impossibile trovare l'uscita, ma nessuno sembra accorgersene, né sembra possibile avvertire alcuno.
L'innominabile attuale è una lettura che non lascia indifferenti; a suo modo, una testimonianza del fatto che lo «shock dell'ignoto», tanto caro all'autore, è possibile ancora oggi attraverso la fruizione di un prodotto culturale. Non mancano tuttavia le pagine in cui prevale uno sguardo elitario, ai limiti dello snobismo: questo accade quando lo sforzo di dare un nome alla contemporaneità, pure definita come inafferrabile, indulge in una solerzia eccessiva e quasi semplificatrice. Ciò di cui si avverte la mancanza, in fondo, è il gusto di cogliere l'innominabilità evocata nel titolo come qualcosa di misterioso, di irrisolto, ma foriero di possibilità inedite. Di certo il presente risulta irriducibile a visioni tranquillizzanti e lascia poco spazio a ogni ingenuo volontarismo progressista, ma non per questo deve essere ricoperto, con un opposto gesto di sottile moralismo, da un velo di negatività.
di Luca Pagano