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Take away #5. La burocrazia spiegata a uno svedese
Serial / Aprile 2015Bentornati all'unica rubrica italiana di filosofia a portar via. In questa puntata ci occuperemo di un tema universalmente ritenuto quanto più lontano possibile dalla filosofia, e proveremo a vedere fino a che punto esso si lascia riassumere in una comprensione.
Il tema in questione è quello della burocrazia, e il nostro parlarne assumerà un tono o un taglio filosofico attraverso un escamotage: quello di immaginare di dover spiegare il funzionamento e la genesi di questo particolare gioco umano a chi non sia mai venuto in contatto con esso, esplicitandone la razionalità nascosta.
Prima di iniziare, tuttavia, sono necessarie un paio di avvertenze preliminari. La burocrazia si intende qui non “in generale”, ma sotto l'aspetto specifico che essa prende in Italia, non come mezzo di trasmissione di decisioni, informazioni e strumento gestionale, ma come realtà concreta con cui chiunque interagisce di continuo. Lo svedese, per contro, rappresenta il caso eccezionale di colui che non è mai venuto a contatto con tale realtà, e può quindi – contrariamente a quanto purtroppo succede a noi, che reagiamo perlopiù con cinica rassegnazione – stupirsene.
L'esperimento mentale
Uno svedese da poco tempo in Italia, che chiameremo Sven, ha bisogno di un documento importantissimo ed urgente. Si avvia quindi verso il più vicino ufficio X, la cui funzione precipua è appunto quello di elaborare, redigere e distribuire una gamma di documenti e certificazioni, fra cui quello di cui S ha bisogno.
Entrando nell'ufficio X, tuttavia, S nota immediatamente che, nonostante il personale, separato dalla gente da un bancone e da una curiosa barriera di plexiglass traforata – sconosciuta in gran parte dell'Europa continentale – sia assai numeroso, e nonostante l'ufficio abbia appena aperto i battenti, un assembramento di persone malamente ordinato in file serpentine già occupa l'area aperta al pubblico dell'ufficio.
Sven, scelta la fila più breve, si mette in coda e attende con pazienza il suo turno. Si accorge tuttavia che la sua fila scorre più lentamente delle altre. Alcuni utenti già migrano, spostandosi verso le altre file, ma S rimane fiducioso al suo posto fino a quando, arrivato in fondo, si trova davanti un impiegato dell'ufficio. Questi ascolta a malapena ciò che Sven ha da dire, e subito lo interrompe comunicandogli che quello non è il giusto sportello a cui rivolgere le sue richieste. Anzi, probabilmente l'ufficio X quel documento non lo fa più. O forse sì. Sven, a questo punto, disorientato e stizzito, alza la voce protestando contro la mancanza di preparazione dell'impiegato. Questi adduce ripetutamente scuse e poi chiama un collega, che dopo aver ascoltato, indica sorridendo a S un altro sportello al quale presentare la sua richiesta. A S, dunque, non resta che rimettersi in fila, in un'altra fila, ed attendere nuovamente il suo turno. Questa volta, al termine dell'attesa, riesce finalmente a presentare la richiesta ad un terzo impiegato, scorbutico e malmostoso, che però dopo averlo ascoltato fornisce il modulo, le indicazioni per compilarlo ed altre informazioni necessarie. Sia la forma che la procedura della pratica appaiono inutilmente bizantine a S, che se ne lamenta ricevendo in cambio la simpatia dell'impiegato, che alza gli occhi al cielo dichiarando che quel modo di lavorare è un problema anche per lui, che ha già provato inutilmente a presentare reclami, e che purtroppo in Italia...
Capita l'antifona, S si allontana provato e confuso. Per quale motivo le cose funzionano così male? L'ufficio X gli sembra costruito apposta per mettere alla prova la pazienza e la buona volontà degli utenti: in esso si verifica una dinamica perversa di rallentamenti e complicazioni semplicemente inutili dal suo punto di vista, e facilmente risolvibili. Dopo tutto, basterebbe che gli uffici fossero un po' più simili a quelli svedesi e il carico di lavoro sarebbe meglio gestibile, meglio gestito, gli utenti più contenti e i lavoratori pure. Eppure, tali complicazioni sembrano accettate da chiunque – impiegati ed utenti – come inevitabili, irrisolvibili e eterne. Per quale ragione?
Per rispondere a tale domanda, a uso degli occasionali svedesi e dei molto meno occasionali italiani, ricorreremo ad una serie di considerazioni genetiche riguardo alla formazione e all'intreccio di funzioni eterogenee che decidono – in modo molto meno accidentale e perverso di quanto si potrebbe pensare – delle caratteristiche apparentemente paradossali dell'ufficio X. In primo luogo, occorre notare che le considerazioni di Sven sono perfettamente corrette: l'ufficio X svolge la sua funzione di produzione di certificazioni e documenti, che chiameremo funzione Y, in modo tremendamente inefficiente.
Ciò che Sven non sa, tuttavia, è che oltre alla funzione Y, l'ufficio svolge una seconda funzione Z, ovvero la funzione di trovare un posto di lavoro ad una serie di soggetti raccomandati da qualche alto funzionario o personaggio politico. La funzione Z è essenziale all'esistenza dell'ufficio: senza lo scambio di favori che essa instaura non sarebbero garantiti i fondi necessari né la protezione politica necessaria per continuare a svolgere la funzione Y.
Le due funzioni concorrenti Y e Z danno vita ad una complessa dinamica: nello stesso spazio coesistono impiegati selezionati per la loro capacità di fare fronte al lavoro dell'ufficio e impiegati raccomandati la cui capacità è irrilevante ai fini dell'assunzione, e dunque in un numero non trascurabile di casi inadeguata. Ignorando la questione morale - ci interessa qui non la condanna ad esempio del nepotismo, ma l'analisi dei suoi effetti concreti sulle pratiche - consideriamo un attimo come una certa ridondanza delle pratiche sia necessaria a far fronte alla realtà di lavoratori inetti: gli inetti vanno assegnati a compiti inutili, oppure attentamente sorvegliati perché non sbaglino. Per loro vanno costituiti uffici e ruoli appositi, stando attenti a che nessuno di questi uffici o ruoli vada a compromettere definitivamente il funzionamento dell'ufficio. Essendo la funzione Z dell'ufficio contemporaneamente nota a tutti ma di necessità implicita (dal momento che esplicitarla equivale a denunciarla, ledendone così il funzionamento), tali uffici e ruoli devono essere giustapposti agli altri uffici e ruoli in modo mimetico: non deve essere possibile dall'esterno distinguere a colpo d'occhio l'ufficio inutile da quello utile, l'impiegato essenziale dall'inetto, perché tale possibilità metterebbe costantemente a rischio l'ufficio.
La burocrazia italiana rappresenta una risposta geniale a tale contraddizione: ridondanze diffuse e procedure bizantine fanno spazio, anche nella più semplice delle operazioni burocratiche, al lavoro almeno nominale di dozzine di persone, ordinate secondo uno schema di supervisioni e controlli incrociati che permette l'attribuzione di responsabilità per ciascun errore virtualmente a chiunque, e praticamente a nessuno.
Tale strategia, che non è l'effetto del caso ma risponde a necessità concrete, provoca tuttavia alcuni effetti collaterali notevoli. In primo luogo, il lavoro di ufficio – per chi lo svolge effettivamente – diventa assai più complicato. Gli impiegati effettivamente competenti si trovano non solo a svolgere da soli un lavoro nominalmente distribuito, ma a svolgerlo ostacolati ad ogni passo da un'organizzazione labirintica che ha precisamente lo scopo di mistificare chi fa effettivamente cosa, e che li rende oggetto – loro come gli altri – della critica diffusa secondo cui ad esempio “gli statali non fanno nulla”. Il successo dell'organizzazione dell'ufficio secondo tali principi è per loro infinita fonte di frustrazione.
La complessità che la contraddizione burocratica genera, tuttavia, ha anche un secondo effetto collaterale: ad un certo punto né gli utenti né gli amministratori sanno più chi fa cosa. Solo alcuni impiegati dentro l'ufficio conservano la consapevolezza della struttura complessiva, sanno distinguere la realtà concreta dalla mistificazione necessaria. A loro tutti si rivolgono: i colleghi inetti per avere aiuto, quando li si chiama a svolgere effettivamente il loro lavoro, i colleghi competenti quando la complessità sopravvenuta delle pratiche li esaspera e non sanno come superarla da soli, i clienti un po' smaliziati e gli amministratori quando hanno bisogno di una consulenza efficace. In generale, questa terza specie di impiegati si presta ad aiutare tutti costoro, ma sempre nella forma di un favore personale. Così facendo, sfruttano l'inefficienza complessiva ed irrimediabile dell'ufficio a proprio vantaggio: reclamando i favori prestati, costoro finiscono per liberarsi completamente della necessità di lavorare, che scaricano volentieri su altri, e spesso anche per fare carriera. Sono, fra gli impiegati dell'ufficio, quelli più benvoluti dal pubblico, più disponibili a fare due chiacchiere e più stimati dai superiori.
A Sven che non capisce nulla di tutto ciò, può apparire strano e diabolico un ufficio nel quale l'esecuzione di una operazione banale richiede dozzine di certificati, documenti e timbri, o un ufficio nel quale il modo migliore di procedere è conquistarsi il favore di un impiegato smaliziato, o ancora un ufficio nel quale chi effettivamente lavora è meno gratificato e tutelato di chi non lo fa. Ma stando alla nostra ricostruzione, tutte queste caratteristiche non sono né strane né accidentali, ma anzi perfettamente razionali: a nostra insaputa, e all'ombra di un discorso pubblico che si scaglia ad ogni passo contro l'eccessiva complessità, dichiarando la necessità di semplificazione, di efficienza e di informatizzazione, l'ufficio X si è evoluto quasi-naturalmente intorno ad un’aporia, sviluppando sottilmente la sua ecologia in risposta alle condizioni ambientali.
Sa com'è, in Italia.
di Lorenzo Palombini