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L’ultimo libro di Giorgio Derossi, intitolato L’intravisibile. Saggi di filosofia sperimentale: analisi fenomenoscopiche (Mimesis 2023), è un testo sugli esperimenti mentali. Derossi, che è stato professore ordinario in Filosofia teoretica all’Università di Trieste, analizza sia i procedimenti idealizzanti delle scienze dure, sia i procedimenti sperimentali adottati in psicologia e in filosofia. Portando alla luce l’idealizzazione presente nei saperi comunemente considerati sperimentali (STEM) e la sperimentazione nelle discipline umanistiche, di solito basate sulla teoria, Derossi evidenzia “l’altra faccia” delle ontologie regionali, come direbbe Husserl. Derossi si ispira qui alla fenomenologia sperimentale di matrice gestaltista (Taddio, 2011), che coniuga il sapere filosofico husserliano e merleau-pontiano con le ricerche sviluppate dalla scuola triestina di psicologia della Gestalt, rappresentata da autori come Gaetano Kanizsa, Paolo Bozzi e Giovanni Bruno Vicario (p. 14). 

Il muoversi tra filosofia, psicologia e fisica rende questo libro di Derossi particolarmente affascinante, insieme alla sua trattazione degli esperimenti mentali. Questi ultimi sono essenziali sia nelle discipline umanistiche, sia in quelle scientifiche: quando un fenomeno non è sperimentabile empiricamente o si presta a delle evidenti limitazioni, l’esperimento mentale è uno strumento irrinunciabile. Derossi si pone l’obiettivo di verificarne la valenza dimostrativa, possibile solo grazie allo svolgimento di debite analisi “fenomenoscopiche”. Queste analisi si muovono alla ricerca dell’intravisibile, che non coincide con l’invisibile: da qui la critica al tardo pensiero di Merleau-Ponty (1993). Per Derossi l’invisibile è ormai ridotto «al verso del foglio del visibile, rinsecchito duplicato dello “spirito” o degli “spiriti”: tanto che questo incessante, reversibile camuffamento si palesa come una vera e propria sindrome d’una malattia tipica del “moderno” o “postmoderno”, anzi come un’inarrestabile pandemia, il cui sintomo più evidente e inquietante è costituito dalla dominanza e contaminazione dei segni» (p. 20). La profonda conoscenza e, al contempo, la critica della concezione saussuriana dei segni spingono Derossi ad andare oltre i significanti e i significati, alla ricerca dei referenti dei segni, della realtà extralinguistica ed extrasegnica (p. 21). Questo non significa negare l’importanza dei segni, ma dare loro una validità fuori dall’universo segnico. Si tratta di una validità che si fonda sull’intravisibile, definito come il visibile “a portata di mano”, inteso in senso trascendentale: «ciò che fa sì che il visibile appaia come appare e sia quel che è» (p. 24). Oltre alla visione diretta del visibile, Derossi teorizza l’esistenza di una “visivazione” in grado di far vedere l’intravisibile, che porta alla luce le forme soggettive e oggettive della percezione, ciò che è empirico e ciò che è ontico (p. 27). In particolare, se la visualizzazione si applica al significato fisico dei fenomeni, la visivazione serve a coglierne il significato fenomenico. 

Alla luce di questo intento programmatico, Derossi evidenzia quanto sia importante la consapevolezza dei nostri pregiudizi. Bisogna evitare quello che gli psicologi della Gestalt, sulla scia degli esperimenti di Titchener, chiamano “errore dello stimolo” (Titchener, 1905; Köhler, 1998), ovvero il confondere la nostra conoscenza delle condizioni fisiche dell’esperienza con l’esperienza stessa. Saper osservare significa lasciare che il percepito si mostri al percipiente, in modo che quest’ultimo non possa «imporre o sovrapporre i propri preconcetti o pregiudizi al percepito in modo da vederlo in maniera diversa da come esso ci obbliga a vederlo» (p. 40). Solo così è possibile una vera e propria “fenomenoscopia”, che consiste nell’analizzare l’apparire dei fenomeni attraverso opportune tecniche di “visibilizzazione”. Derossi evidenzia come tali tecniche non coincidano con quelle di visualizzazione, ovvero con la semplice rappresentazione visiva dei concetti. La visibilizzazione ha lo scopo di andare il profondità, consentendo di conoscere non tanto l’essenza o il significato dei fenomeni (conoscenza a cui mirano, seppur in maniera diversa, la fenomenologia husserliana e la teoria di Saussure), quanto la realtà extrasegnica che si rivela nell’intravisibile (pp. 49-51). Bisogna dunque distinguere, sulla scia di quanto afferma Kanizsa (1991), tra la “logica del vedere” e la “logica del pensare”.

Il metodo fenomenoscopico viene così applicato ad alcuni esperimenti mentali realizzati nella storia della filosofia e della scienza. Derossi inizia con gli argomenti di Zenone contro il movimento, in particolare Achille e lo Stadio. Il primo anticipa, seppur in maniera embrionale, il calcolo infinitesimale scoperto da Leibniz e Newton, mentre il secondo si riferisce alla relatività della velocità e del tempo teorizzati da Einstein. Dopo aver esposto e sottoposto a critica le analisi linguistiche di Black e Ryle, Derossi si volge all’analisi matematica di Frajese, che non riesce ad andare oltre il livello concettuale. Attraverso tutta una serie di passaggi su cui il lettore avrà il piacere di soffermarsi, l’autore propone di “visibilizzare”, attraverso un’ipotetica «macchina di finità» (p. 95), il percorso di Achille (A) in relazione alla tartaruga (T), oscurando quello visibile in relazione alla pista (P). Questo è possibile attraverso l’emergere dell’«intravisibile fattore-tempo integrato nella velocità di A relativa a T» (p. 96). Derossi dimostra così l’inefficacia dell’argomento di Zenone, che pecca di incompatibilità non solo con il visibile (vediamo infatti Achille raggiungere e poi superare la tartaruga), ma anche con l’intravisibile, dunque con la realtà fenomenica nella sua completezza.

Derossi si volge poi a Mach, che in Conoscenza ed errore (Mach, 2017), espone la sua teoria dell’esperimento mentale. Quest’ultimo ha un valore rilevante in ambito scientifico: esso si distingue dall’esperimento poetico o fantastico, poiché aderisce alla realtà dei fatti. A differenza dell’esperimento in laboratorio, quello mentale consente di passare in rassegna tutti i casi possibili, immaginando una continua variazione delle circostanze che influiscono su un risultato (p. 101). Ciò è possibile, come nel caso del principio di inerzia scoperto da Galileo, attraverso processi di idealizzazione o astrazione. Questi tuttavia, se non sono ben condotti, possono allontanarsi dal reale. Derossi nota che Mach arricchisce l’esperimento mentale di Galileo sul moto rettilineo uniforme con una serie decrescente di piani inclinati e un passaggio al limite al piano orizzontale, allo scopo di erschauen (“scorgere”) l’inatteso, ovvero il principio di inerzia. In particolare, l’erschauen di Mach consiste proprio nel «saper osservare che consente di scorgere il fenomeno non solo nel suo essere bensì anche e soprattutto nella sua ragion d’essere, che ne è il fondamento» (p. 116). Nonostante il meritorio lavoro di Mach, Derossi ne contesta il passaggio al limite: il moto sull’ultimo piano non inclinato non è osservabile, poiché non è percepibile (p. 126).

La questione del passaggio al limite torna successivamente nel testo di Derossi, in particolare nella sua critica alla fenomenologia husserliana. L’autore non concorda con Husserl sul fatto che basti l’evidenza per far apparire l’oggetto in sé, né sulla ricerca dell’oggetto ideale, l’eidos di ciò che a noi appare. Derossi nota che, sebbene Husserl critichi apertamente l’idealizzazione tipica degli scienziati (Husserl, 2015), sembra ricadere nello stesso errore quando cerca l’essenza degli oggetti. È un approccio di questo tipo a guidare l’utilizzo del passaggio al limite, passaggio per Derossi valido a livello matematico, ma problematico a livello fenomenico. In particolare, riferendosi alla linea retta e al suo tradursi dall’esperienza al concetto, l’autore afferma che il passaggio al limite «rischia di essere onticamente un “salto mortale”» (p. 227). Derossi è tuttavia consapevole che l’eidos husserliana non è frutto di astrazione e che attinge alla sfera sensibile. Per esempio, nel caso degli enti geometrici, Husserl si serve dell’intuizione spaziale, che esplicita strutture e forme già date sul piano delle sintesi passive (Husserl, 2016).

Il problema dell’idealizzazione si presenta anche nel caso degli esperimenti mentali adottati da Einstein per dimostrare la teoria della relatività ristretta. Si tratta di esperimenti cruciali, poiché la visualizzazione fisica della relatività dello spazio consente anche di intravedere la relatività del tempo, che è l’obiettivo da raggiungere. Secondo Derossi, nella teoria di Einstein è presente il rapporto sia funzionale che strutturale tra significati e riferiti, tra concetti e fenomeni (p. 157). Nonostante ciò, Einstein non riesce nel suo intento: la sua visualizzazione rappresenta efficacemente il significato fisico della relatività ristretta, ma non è altrettanto capace di connettersi al reale a cui si riferisce. L’unico modo per cui questo accada è il ricorso a una verifica sperimentale, possibile solo se «le condizioni spazio-temporali che la rendono possibile (rendendo possibile la detta “visione”) sono a loro volta verificate (ossia esse pure visibili)» (p. 170). Einstein non si rende conto che l’accadere dell’evento e della sua visione non sono simultanee, poiché sostituisce la verifica sperimentale sul campo con la semplice visualizzazione atemporale e aspaziale di un diagramma (p. 174). L’obiettivo dello scienziato non deve essere soltanto il significato fisico di ciò che vuole dimostrare, né quello filosofico inteso come “essenza” alla maniera husserliana, bensì la visione della forma intesa in senso gestaltico, costituita dai fattori generativi delle configurazioni percepite in oggetti e fenomeni. Questo discorso si estende, nella Parte Quarta del testo, all’esperimento mentale sui muoni e sulla dilatazione temporale. 

Di particolare interesse per comprendere la questione delle configurazioni in senso gestaltico è la Parte Quinta, in cui vengono analizzati dei fenomeni visivi molto noti: l’illusione di Müller-Lyer, il triangolo di Kanizsa e la percezione del cubo. In particolare, è possibile capire meglio cosa accade in ciascuno di questi fenomeni, nel momento in cui si compiono delle operazioni atte a far emergere l’intravisibile. Nell’illusione di Müller-Lyer viene aggiunto un piccolo intervallo vuoto tra la parte superiore e quella inferiore dei due segmenti; nel triangolo di Kanizsa si tracciano i lati completi del triangolo con i bordi neri, per fare scomparire il triangolo bianco e comprendere come avviene la sua visivazione; nel caso del cubo, si nota che questo appare anche come “figura impossibile” e che, per non percepirlo, bisogna che esso si mostri solo come quadrato. Come Derossi approfondisce nella Parte Sesta, è la tridimensionalità che caratterizza il cubo, anche quando, come avviene nella nostra percezione, ne vediamo solo due o tre facce (pp. 237-239).

Derossi, malgrado la critica alla fenomenologia husserliana, ne riprende il concetto di Sinngebung, ovvero di donazione di senso (per quanto non lo citi esplicitamente), e aggiunge le osservazioni di Merleau-Ponty presenti nella Struttura del comportamento (Merleau-Ponty, 2019). Derossi, sulla scia merleau-pontiana, nota che solo la percezione può assicurare sia la visibilità che la pensabilità degli oggetti (p. 242), rispondendo così alle obiezioni di Russell. Questo ritorno alla fenomenologia e alla validità della percezione consente a Derossi di confutare la mera visualizzazione, che manca appunto di ancoraggi al sensibile. Ogni buon esperimento mentale deve essere, dunque, caratterizzato da una verifica che non sia solo concettuale: «una simile “verifica” è veramente e proficuamente sperimentale soltanto se è concretamente visiva e non astrattamente mentale – e l’autentica “verifica” di una “teoria” è procurata dalla visione non della “pura” essenza, ma dell’essenza visibilizzata» (p. 282). Concludendo, il testo di Derossi ha il grande pregio di indicare chiaramente al lettore l’importanza della percezione visiva e il suo ruolo irrinunciabile nella sperimentazione scientifica, sia essa empirica o mentale.

Floriana Ferro, Università degli Studi di Udine

Bibliografia

Husserl, E. (2015). La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, a cura di E. Filippini, Il Saggiatore, Milano.

Husserl, E. (2016). Lezioni sulla sintesi passiva, a cura di V. Costa, La Scuola, Brescia.

Kanizsa, G. (1991). Vedere e pensare. Il Mulino, Bologna.

Köhler, W. (1998). La psicologia della Gestalt, a cura di G.A. De Toni, Feltrinelli, Milano.

Mach, E. (2017). Conoscenza ed errore. Abbozzi per una psicologia della ricerca, Mimesis, Milano-Udine.

Merleau-Ponty, M. (1993). Il visibile e l’invisibile, a cura di M. Carbone, Bompiani, Milano.

Merleau-Ponty, M. (2019). La struttura del comportamento, a cura di A. Scotti, Mimesis, Milano-Udine.

Taddio, L. (2011). Fenomenologia eretica. Saggio sull’esperienza immediata della cosa, Mimesis, Milano-Udine.

Titchener, E.B. (1905). Experimental Psychology: A Manual of Laboratory Practice, Macmillan, New York.

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