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La funzione della tripartizione semiologica di Jean-Jacques Nattiez, il lavoro di Alexandre Ayrault pubblicato da L’Harmattan nel 2022, prende le mosse da una constatazione: “la tripartizione semiologica struttura ormai non solo la pratica dell’analisi musicale, distinguendo tre livelli di analisi (processo creativo, livello dell’opera, strategie di ricezione), ma anche ciò che si intende per ‘musica’ in ambito accademico francofono” (11). A partire da questa osservazione, l’autore intraprende una presentazione della teoria della tripartizione semiologica e del contesto in cui è apparsa, per poi proseguire verso una discussione dei suoi fondamenti teorici e delle questioni che ne conseguono.

Che cosa si intende dunque per tripartizione semiologica? La teoria ha fatto la sua comparsa per la prima volta nel 1975, in un articolo di Jean Molino intitolato “Fait musical et sémiologie de la musique” (Molino 2009, 73-118), ed è stata ripresa in seguito da Jean-Jacques Nattiez nell’ambito di un’applicazione all’analisi musicale. Essa afferma che ogni fenomeno simbolico, ivi compresa l’opera musicale, sia concepibile secondo tre livelli: 1) il livello poietico, che corrisponde alla creazione; 2) il livello estesico, che ne indica la ricezione; 3) il livello neutro, o immanente, che denota la materialità dell’opera cioè, quando questa è musicale, la partitura. In questo senso, il primo riferimento di Nattiez è rintracciabile nel volume Fondements d’une sémiologie de la musique (1975), seguito poi da Musicologie générale et sémiologie (1987). È quest’ultimo che Ayrault sceglie come punto di partenza per le sue considerazioni (43-44), poiché è al centro di una riflessione teorica più ampia in cui viene rivisto ed espanso il contributo del 1975.

All’interno del panorama della musicologia francofona contemporanea, la teoria della tripartizione semiologica è ampiamente accettata, ed è pienamente integrata anche in campi su-disciplinari come l’etnomusicologia o la sociologia e l’antropologia della musica. Sebbene una diffusione su questa scala possa sembrare a prima vista il sintomo di un’approvazione incondizionata dell’efficacia della teoria, nel contesto di un’interrogazione epistemologica rimanda piuttosto alla sua banalità – al fatto che la tripartizione semiologica non fa altro che mettere in luce delle ovvietà (28), che si rivelano in ogni caso potenzialmente problematiche in alcuni ambiti, ad esempio per l’etnomusicologia. Infatti, gli etnomusicologi hanno integrato nelle loro pratiche il “livello neutro” di Nattiez, giustificando così il ricorso alla notazione diastematica in nome della scientificità della procedura (94) secondo una prospettiva universalista non priva di inconvenienti (Qureshi 1987, 59).

Su questa stessa linea, la validità epistemologica della teoria è ulteriormente messa in dubbio poiché essa rimane, anche nella musicologia francofona in generale, la giustificazione fondamentale del ricorso alla scrittura diastematica (o a qualsiasi altro strumento di discretizzazione dei fenomeni musicali) (Nattiez 1975, 46), e assume così il carattere di un paradigma, o di un’ideologia scientifica, nel senso di Canguilhem (1977, 33-45). Inoltre, sottolinea Ayrault, Nattiez non considera il fatto che egli stesso possa essere l’artefice del proprio universo tecnico-simbolico, che ha contribuito a forgiare insieme ad altri, né riconosce all’esperienza artistica una dimensione dialogica (32-33). Senza contare che la scelta stessa di incentrare la questione della semiosi musicale, e quindi di una semiologia della musica, sulla nozione di segno, è di per sé un pregiudizio ideologico. Infatti, non esiste alcun a priori che indichi che il concetto di segno sia rilevante per spiegare i fenomeni musicali: non c’è nulla di paragonabile a priori tra un significato verbale e un significato musicale (135). Così, la tripartizione sarebbe al contempo una causa e un effetto del contesto in cui opera, e si rende dunque evidente l’urgenza di uno studio incentrato sulla portata epistemologica di questa teoria e delle modalità in cui è stata impiegata (29-30).

Ayrault propone quindi un esame delle pratiche messe in atto dai musicologi per conoscere l’oggetto della loro disciplina (36), compresa come un fenomeno prima di tutto culturale, caratterizzato dall’adozione di un idioma (158). Questo punto di vista permette all’autore di affermare che non c’è alcuna correlazione tra la natura dei fenomeni musicali osservati secondo il prisma della tripartizione e uno statuto ontologico degli stessi, che rimane specifico di una data cultura. L’autore dichiara dunque di adottare una prospettiva legata alla fenomenologia della conoscenza, in particolare a Gilbert Simondon (cf. per esempio, Simondon 1989), e intraprende una rilettura informata e critica di Musicologie générale et sémiologie, preceduta tuttavia da un’analisi delle riflessioni di Molino, della loro influenza su Nattiez e degli elementi salienti che quest’ultimo riprende, oppure trascura. In particolare, Ayrault si sofferma sulla difficoltà semiotica inerente alla costruzione di una semiologia musicale, constatata anche da Nattiez, e ne traccia la genealogia negli scritti di Molino, dove si nota il primo tentativo di applicare nell’ambito della musicologia una tipologia semiotica attraverso gli esempi del leitmotiv wagneriano e della citazione musicale. Tuttavia, questa difficoltà, la cui origine è attribuita alla “natura del simbolico”, non viene chiarita da Nattiez nelle due opere di riferimento e Ayrault rileva inoltre una confusione tra il discorso sull’oggetto e l’oggetto “in sé” nell’ambito della conoscenza scientifica della musica, compresa secondo una “concezione occidentale” (70-71). È proprio questa posizione, collocata geograficamente in maniera esplicita, che ha permesso a Nattiez di giustificare l’applicazione della tripartizione in etnomusicologia: “non dimentichiamo che la musicologia e l’etnomusicologia sono discipline occidentali che si avvicinano ai fenomeni sonori del mondo partendo dalla nostra concezione della musica” (Nattiez 2007, 21; enfasi dell’autore).

Al fine di misurare le conseguenze concrete della diffusione della teoria della tripartizione semiologica, Ayrault porta avanti una disamina delle applicazioni di questa concezione in campo educativo, a partire dai programmi di educazione musicale delle scuole secondarie in Francia. In questo contesto, il framework concettuale che, fin dall’inizio, postula per l’educazione musicale una modalità di conoscenza della musica centrata sulle competenze pratiche, esclude subito la conoscenza teorica dell’oggetto del discorso propriamente musicologico. Nonostante ciò, se il sapere musicale in ambito educativo viene considerato esclusivamente come un saper fare, la conoscenza musicale viene valutata sulla base di una tipologia fondamentale relativa all’oggetto della produzione scientifica musicologica (101). Ayrault identifica questa tipologia, insieme al ricorso a nozioni come “opera”, “interprete”, “uditore”, quale unico retaggio di un discorso erudito incentrato sull’ontologia dell’oggetto in un ecosistema educativo rivolto verso la conoscenza pratica.

In conclusione, dunque, il volume di Ayrault sottolinea con grande cura e meticolosità i limiti e le contraddizioni identificabili nella teoria della tripartizione semiologica, a partire dalla sua genesi fino alle sue applicazioni correnti passando per i suoi sviluppi ulteriori in anni più recenti. Queste caratteristiche ne fanno un contributo estremamente prezioso e tempestivo. Tuttavia, le proposte di possibili soluzioni ai problemi individuati non si dimostrano completamente soddisfacenti, e l’autore stesso evoca più volte l’opportunità di sviluppare la riflessione in lavori futuri. In ogni caso, benché lo scioglimento non sia pienamente all’altezza delle problematiche segnalate nel corso del volume, il merito considerevole di averle rese esplicite in maniera seria, dettagliata e ponderata è innegabile.

Lucia Pasini

Bibliografia

Canguilhem, G. (1977). Idéologie et rationalité dans l’histoire des sciences de la vie: nouvelles études d’histoire et de philosophie des sciences. Parigi: J. Vrin.

Molino, J. (2009). Fait musical et sémiologie de la musique. In J.-J. Nattiez & Goldman, J. (a cura di), Le Singe musicien: sémiologie et anthropologie de la musique. Arles: Actes Sud.

Nattiez, J.-J. (1975). Fondements d’une sémiologie de la musique. Parigi: Union générale d’éditions.

Nattiez, J.-J. (1987). Musicologie générale et sémiologie. Parigi: C. Bourgois.

Nattiez, J.-J. (2007). Pluralité et diversité du savoir musical. In J.-J. Nattiez (a cura di), Musiques. Une encyclopédie pour le XXIe siècle, vol. 2: Les Savoirs musicaux. Arles: Actes Sud.

Qureshi, R.B. Musical Sound and Contextual Input: A Performance Model for Music Analysis. Ethnomusicology, 31 (1), 56-86.Simondon, G. (1989). L’Individuation psychique et collective: à la lumière des notions de forme, information, potentiel et métastabilité. Parigi: Aubier.

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