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Pochi concetti nel pensiero sociale e politico contemporaneo hanno suscitato un interesse così diffuso come il concetto di riconoscimento. Gran parte del suo fascino sembra derivare dal fatto che si basa su un'esperienza famigliare a tutti, vale a dire l'esperienza di dipendere dagli altri nella propria relazione con sé stessi, nel bene e nel male. Questa esperienza può assumere molte forme. Essere ignorati ad una festa da chi ci ha visto ci mette a disagio, ricevere elogi da un collega per un lavoro ci fa sentire orgogliosi, essere sottoposti a controlli approfonditi ad una frontiera ci fa dubitare di quanto siamo benvenuti nel paese dove andiamo. Esempi come questi illustrano che gli altri sono coinvolti nel plasmare le nostre vite e le nostre percezioni attraverso il modo in cui ci vedono e ci trattano. È proprio su questa connessione tra sé e altro che si è aperta una profonda riflessione. L'attuale interesse per il riconoscimento - un concetto che può essere trovato nelle opere di una varietà di pensatori, ma che è, almeno nella tradizione della filosofia europea, più comunemente associato a Hegel è in gran parte dovuto agli interventi teorici di Charles Taylor e Axel Honneth all'inizio degli anni '90. Taylor coniò l'espressione “la politica del riconoscimento” nel contesto dei dibattiti sul multiculturalismo come strumento per affrontare il tema della valorizzazione della differenza culturale, ma fu soprattutto Honneth che con Lotta per il riconoscimento  (1992) fece un lavoro di recuperò dell'idea della lotta per il riconoscimento come concetto centrale per una rinnovata teoria critica post-adorniana che fosse in grado di dare un senso alle motivazioni morali della lotta sociale. Il concetto di riconoscimento rapidamente acquisì importanza nella filosofia sociale e politica, lo testimonia un corpus letterario in continua crescita. 

La grande sfida affidata a quelle riflessioni consisteva nel tentativo di uscire dalle secche della dissoluzione del soggetto che il linguistic turn, in tutte le varianti novecentesche, aveva imposto e che conducevano a forme di decostruzione e a teorie del potere che avevano trasformato il soggetto nella marionetta eterodiretta da discorsi o poteri impersonali. Axel Honneth senza ricadere nel monismo soggettivista che da Cartesio a Kant aveva caratterizzato la modernità, si mantiene fedele al paradigma intersoggettivo postmetafisico riportando i temi della costituzione del soggetto al centro della filosofia contemporanea. Non trascurando, anzi assumendo le critiche al soggetto che si sono sviluppate da molteplici tradizioni filosofiche contemporanee, Honneth ritiene si possa ripensare l’autonomia stessa del soggetto a partire dalla sua costituzione intersoggettiva. A differenza del tema del “dono” che nei medesimi anni veniva utilizzato per svolgere lo stesso ruolo anti-liquidatorio del soggetto, il riconoscimento è stato un principio assolutamente più efficace e longevo che ha avuto varianti ed applicazioni differenti. In questa prospettiva va letto l’ultimo testo di Lucio Cortella Ethos del riconoscimento (Laterza, 2023): certamente non, semplicemente, la ricostruzione di un dibattito che dalla pubblicazione del testo di Honneth ha preso il via, quanto il rilancio e l’oltrepassamento di quella prospettiva in una chiave più radicale. Il passo oltre Honneth parte dal confronto con lo stesso Hegel che è l’ispiratore della teoria del riconoscimento honnethiano. Cortella, come Honneth, considera il merito filosofico principale di Hegel nell’aver compreso che il rapporto con sè stessi che si esprime nell’autocoscienza è possibile solo in quanto si costituisce come rapporto ad altri, rapporto che va inteso come un’interazione mediata da un processo di reciproco riconoscimento. Questo recupero di Hegel è in sintonia con una serie di riflessioni che, a partire dagli anni ’70, hanno consentito l’abbandono definitivo delle tesi riflessiviste dell’autocoscienza che da Cartesio a venire in avanti hanno rappresentato l’identità come il prodotto di un soggetto che si identifica come oggetto del proprio pensiero. Che il soggetto che si pone davanti a sé stesso in una sorta di auto-endoscopia possa costituire il significato dell’autocoscienza era già stato profondamente contestato per esempio da pensatori come Ernst Tugendath o Dieter Henrich i quali mostravano la contraddizione di un io che rivolgendosi a se stesso in un atto di autoriflessione deve presupporre ciò che costituisce il risultato di quest’atto.    

Secondo Cortella, Hegel pensa il riconoscimento come condizione inaggirabile dell’autocoscienza e quindi dell’identità individuale, ma forzando Hegel stesso, Cortella definisce il riconoscimento come condizione trascendentale – in senso kantiano – dell’autocoscienza.  “Originario non è dunque il soggetto, ma la relazione. Ora essendo tale relazione condizione di possibilità della nostra autocoscienza e della nostra conoscenza degli oggetti in esso si ripresenta il senso e la funzione del trascendentale” (Ethos del riconoscimento p.56). Si tratta di un trascendentale depurato dal carattere soggettivistico di Kant, per cui tale presupposto non risulta più interno al soggetto, ma fuori di esso. Come noto l’assolutizzazione che ne farà Hegel, comprometterà fino alla seconda metà del ‘900 la nozione di trascendentale che sarà recuperato sul piano del linguaggio e della sua dimensione pragmatica in modo decisivo da Karl-Otto Apel e da Jurgen Habermas. Se Honneth, nella propria teoria del riconoscimento si tiene lontano da questa soluzione, Lucio Cortella si colloca decisamente su questo terreno, un terreno in cui la caratterizzazione dei soggetti empirici costituiti naturalmente e posti in contesti storici ne impedisce la definizione nel senso di un apriori trascendente l’empirico. È una impostazione di trascendentale che Cortella definisce “minimale” e che indica l’impossibilità di aggiramento. Risuona in questa argomentazione del filosofo veneziano la lezione di un suo maestro, Emanuele Severino, che si rifaceva all’elenchos aristotelico per chiarire la forma dell’inaggirabilità del principio di non contraddizione. Tuttavia la radicalità di Cortella pare andare oltre nel senso che nonostante il fastidio e il fatto che Lucio Cortella si premuri di non menzionarlo, quello che si delinea in Ethos del riconoscimento è una sorta di definizione ontologica del riconoscimento: quando sostiene che la relazione di riconoscimento precede i soggetti e di fatto li costituisce è facile dire che si tratta di questo tipo di argomentazione. Di fatto Cortella cercando di smarcarsi da questo tipo di vocabolario sostiene che è presente all’origine una logica del riconoscimento la quale analogamente alla fenomenologia del dialogo illustrata da Gadamer “gioca” i partner della relazione conducendoli nel rapporto reciproco. Il riconoscimento non è dunque un prodotto che si forma tra un io e un altro io, ma si impone tra i due dall’esterno come un terzo che conduce alla relazione, è una struttura oggettiva che si palesa nel logos che determina il funzionamento del rapporto tra soggetti. Le pagine che illustrano questa dinamica sono di assoluto spessore e in fondo sebbene mai esplicitate nei testi hegeliani, quando Cortella mostra che si tratta di una sorta di “medio” che si impone tra le parti che le conduce al riconoscimento reciproco, esse ben si confanno all’autore della Fenomenologia dello spirito. Questa logica che ha un carattere trascendentale tuttavia per Cortella possiede – ecco un'altra variante decisiva rispetto alla versione honnethiana di riconoscimento – una base naturale. C’è già stato, in tempi recenti, un altro filosofo italiano che ha accostato la logica del riconoscimento alle basi naturali dell’individuo: Paolo Virno. In Saggio sulla negazione (2013) Virno mette alla prova la figura del riconoscimento hegeliano con la scoperta dei cosiddetti “neuroni-specchio” avvenuta anni dopo la pubblicazione del testo di Honneth. Virno si pone la domanda di come si possa parlare di attribuzione o negazione di riconoscimento fra soggetti se esiste, come dimostra la scoperta dei neuroni-specchio, un riconoscimento fra umani che precede qualsiasi processo di consapevole riconoscimento. La soluzione di Virno non compromette la dinamica hegeliana, ma la rimette in gioco ad un secondo livello. Secondo Virno esiste un “livello base” della socialità ancorato alla neurofisiologia. Egli afferma che il linguaggio può retroagire distruttivamente sullo “spazio noi-centrico” minandone la compattezza. Cosa significa non riconoscere il proprio simile? L’esempio è quello del vecchio ebreo consumato dalla fame e dell’ufficiale nazista che pur sapendo cosa prova il suo simile grazie alla “simulazione incarnata”, è in grado di disattivare quell’empatia generata dai neuroni-specchio. L’ufficiale può arrivare a trattare il vecchio ebreo come un non-uomo. Imputare il mancato riconoscimento tra umani a ragioni storiche, culturali, politiche appare troppo comodo e deresponsabilizzante, la situazione è più tragica. Nessuno nega il peso della dimensione politico-culturale: è importante però mettere a fuoco le basi biologiche di questa dimensione. L’ufficiale nazista può non riconoscere il vecchio ebreo perché la socialità dei sapiens non è fornita soltanto dai neuroni a specchio, ma anche dal linguaggio che ammette la negazione degli stati di fatto. “Se i neuroni-specchio agiscono nel suddetto modo, gli atteggiamenti proposizionali autorizzano invece a mettere da parte e a contraddire la rappresentazione dell’altro come persona simile a noi. La sospensione del consentire neurale è legata alla più rilavante prerogativa del linguaggio”. A questo punto vale la pena chiedersi se questa urgenza di verificare la tenuta del riconoscimento alle sollecitazioni provenienti dalle scienze naturali in qualche modo non costituisca uno dei tratti di una ipotetica variante italiana della teoria del riconoscimento. Cortella fa riferimento agli studi di George Herbert Mead e a quelli più recenti dello psicologo e neuroscienziato americano Michael Tomasello i quali, in maniera diversa, condividono lo sforzo di mostrare la genesi e la filogenesi intrecciata di comportamento comunicativo e comportamento cooperativo in direzione di un apprendimento reciproco delle altre persone e della posizione altrui. Il tentativo inedito di coniugare il quadro trascendentale ad una base naturale è la vera scommessa messa in campo da Cortella per gettare le basi di un recupero della soggettività in un quadro di intersoggettività originaria salvandola dalla deriva decostruzionista. 

La costitutiva originarietà dell’Annerkennung non si ferma alla dimensione della soggettività, ma significa l’anteriorità dello stesso anche all’Erkennen. Così come non è immaginabile una soggettività che preceda il riconoscimento, allo stesso modo l’oggettività del mondo è irraggiungibile al di fuori di un rapporto tra soggetti che si riconoscono e che si riferiscono collettivamente a quel mondo. Questa ipotesi assolutamente fuori dalla teoria del riconoscimento di Honneth è dovuta, a detta di Cortella, al fatto che l’impostazione del successore di Habermas alla direzione della Scuola di Francoforte rimane troppo concentrata sulle opere jenesi di Hegel non approfondendo sufficientemente la logica del riconoscimento che si evolve lungo tutta la Fenomenologia dello Spirito a partire dalla dialettica servitore/padrone nel capitolo IV dell’opera del 1807. Le pagine della dialettica servitore/padrone delineano in modo “aurorale” la dinamica che percorrerà il testo, ma trovano in quella figura il loro fallimento che invece raggiungerà un esito positivo soltanto a partire dal capitolo VI. Come scrive Cortella, in quel confronto i due soggetti non pervengono ad un riconoscimento reciproco, per raggiungere quello stadio si dovrà passare attraverso una serie di esperienze che metterà la coscienza a confronto con il mondo esterno e con altri soggetti e che gli permetterà di uscire dal particolarismo in cui è collocata. È la nuova forma di oggettività che si raggiunge a partire dalla fine del V capitolo della Fenomenologia e che si espliciterà nella prima parte del VI capitolo. “L’oggettività delle nostre conoscenze è il risultato di un processo di riconoscimento nel quale una prospettiva soggettiva – passata attraverso il vaglio degli altri soggetti coinvolti e completata dal contributo di tutti – è stata riconosciuta come oggettiva”— (Ethos del riconoscimento pag 41). Il valore trascendentale del riconoscimento intersoggettivo assume la valenza delle categorie dell’analitica trascendentale della Critica della Ragion Pura per la conoscenza oggettiva che nella proposta kantiana consentivano l’upgrading delle sensazioni soggettive.  

La principale differenza rispetto alla proposta honnethiana è che quest’ultima rimane collocata su di un piano genetico-descrittivo nella misura in cui pur mostrando come si vadano a formare le aspettative morali e il senso morale attraverso il riconoscimento e le sfere del riconoscimento storicamente determinate, manca, a detta di Cortella, il fondamento della normatività del riconoscimento ovvero perché il mancato riconoscimento costituisca un atto immorale. Per Cortella il merito di Honneth di mostrare la ricca articolazione delle forme del riconoscimento gli consente di uscire dalle secche del formalismo astratto di tanta etica contemporanea, tuttavia esplicitarne il funzionamento nei termini di una piena costituzione soggettiva non risolve la necessità – che è evidentemente estraneo ad Honneth – di una argomentazione giustificativa. Il tentativo di Cortella è di muoversi tra la Scilla della deriva assolutizzante del riconoscimento che compie Hegel nel corso della Fenomenologia dello Spirito e la Cariddi del proceduralismo di Habermas costituito da un ipotetico confronto di argomentanti il cui esito è una morale separata da qualsiasi dimensione etica relegata a collezione di “vite buone” e concetti di bene. Se per quanto riguarda Hegel si tratta di fare salva la figura del riconoscimento prima della sua assolutizzazione nello Spirito Assoluto, per quanto riguarda Habermas significa mostrare che in realtà l’autore dell’Etica del discorso nell’ipotizzare “la situazione discorsiva ideale” ha bisogno di fare implicitamente riferimento ad una normatività pre-morale fatta di rapporti vitali, “entro i quali ha la sua fissa dimora” (Etica del Discorso pag 111). Cortella intende Ethos al di là degli usi e costumi, la intende come “dimora”, dimensione originaria in cui gli umani vivono e in cui sono collocati. È il terreno in cui crescono le nostre relazioni che come tali precedono qualsiasi “dover essere”. Il riferimento ad Aristotele è chiaro, così come è chiara la presenza di Aristotele in tutta la riflessione di Cortella. Il suo testo si apre citando la celebre definizione dell’uomo come animale politico, Zoon Politikon ed in fondo si può dire che tutto il lavoro è percorso dall’ aspirazioni di ridefinire quel concetto aristotelico nel quadro della contemporaneità. Il tentativo di coniugare la naturalità del legame fra gli umani e l’inaggirabilità del carattere normativo di quel legame va in quella direzione. Detto in altri termini si tratta per Cortella di superare la necessità kantiana di postulare due regni distinti per stabilire da una parte la verità delle proposizioni oggettive e dall’altra la giustezza delle norme morali. Ciò è possibile mostrando la compatibilità della nostra esperienza morale e della nostra natura biologica. Se ha ragione Kant nel mostrare che non è rinvenibile la libertà nel campo della necessità oggettiva, si tratta allora, anziché rivendicare un regno sovrasensibile della libertà, mostrare come essa sia il “risultato di un processo intersoggettivo e sociale che muove da basi e facoltà naturali. La soggettività non è qualcosa di innato, ma il risultato di un processo costitutivo. Allo stesso modo dobbiamo trattare il problema della libertà”. Sono fatte fuori, in questo modo, tutte le teorie della liberta originaria ovvero quelle impostazioni che ritengono che l’essere umana nasca dotato di libertà e che il rapporto con gli altri, nelle forme politiche che le società si danno, significa quanta libertà venga ceduta, quanta tutelata, quanta negoziata. È l’altro che mi mette in condizione di essere libero. La logica del riconoscimento è quello di una reciproca dipendenza che consente ad un io di essere autonomo nella misura in cui l’altro soggetto che lo riconosce come autonomo conferisce ad esso il medesimo statuto di autonomia. Riconoscimento e riconoscenza si richiamano vicendevolmente perché io sono in debito con l’altro per ciò che egli mi attribuisce nello stesso modo in cui questo altro è in debito con me perché lo riconosco. Quest’economia di riconoscimento/riconoscenza è la base su cui nasce un senso morale, ma anche un principio di “vulnerabilità normativa” perché qualora non si realizzi questo scambio ovvero non venga attribuito un riconoscimento, si genera verso chi è misconosciuto un sentimento di sofferenza, umiliazione e disistima verso sé stessi. Il riconoscimento ovvero la condizione di reciproca attribuzione di autonomia vale per gli individui, ma anche per i gruppi sociali; spesso sono il frutto di conflitto e lotta per raggiungere una parità di posizione al di là delle forme di sopruso o paternalismo. La novità di Ethos del riconoscimento di Cortella, che lo rende un testo che spicca tra quelli della vasta produzione filosofica sul tema del riconoscimento, è il tentativo, riuscito, di mostrare come i contenuti morali di libertà e  responsabilità abbiano una base naturale senza bisogno di far ricorso a nessun ordine sovrasensibile, ma anche di mostrare come questa naturalità produca un ordine più che naturale, perché in grado di superare gli impulsi di mera conservazione ed utilità, fino a prodursi in cultura. Da questo punto di vista, Cortella, come altri studiosi della scuola veneziana, pensiamo ad Italo Testa, ipotizzano una sorta di ‘riconoscimento naturale’ che diventa elemento chiave dell’epistemologia e dell’ontologia sociale. Ciò in forte sintonia con quella Koiné contemporanea delle scienze umane e sociali che da fronti disciplinari molto diversi guarda oltre la stretta separazione naturale/culturale. La peculiarità del testo di Lucio Cortella è quello di mostrare il superamento di questa dicotomia utilizzando gli strumenti concettuali della tradizione filosofica e tratteggiando un modello teorico che può offrire soluzioni ai problemi in cui incorrono altri pensatori del riconoscimento da Honneth a Ricoeur, da Taylor a Brandom. 

Massimo Fiorio

Bibliografia

L. Cortella Ethos del riconoscimento, Laterza, Bari-Roma, 2023

J. Habermas Etica del Discorso Laterza, Bari-Roma 1985

G.W. F. Hegel La Fenomenologia dello spirito, Bompiani, Milano, 2000

A. Honneth Lotta per il riconoscimento Il Saggiatore, Milano, 2002

C. Taylor Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento. Feltrinelli, Milano, 1998

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