Vi sono dei momenti nella storia del pensiero saggistico in cui lo studio di un autore o l’esegesi di un’opera sanno trasformarsi in un racconto sapiente capace di srotolare e riannodare, quasi d’improvviso, il filo di idee ritenute immutabili. Nell’ultimo lavoro di Carlo Ginzburg (Nondimanco. Machiavelli, Pascal, Adelphi, Milano, 2018, pp. 242, € 18,00), assistiamo alla storia silenziosa ma incisiva di una parola sottile, larvata, che passo dopo passo guida e rivela al lettore gli intrichi nascosti nel cuore del pensiero politico e filosofico rinascimentali. Formalmente il volume raccoglie nove saggi più un’Appendice. Alcuni di questi, già precedentemente pubblicati, sono stati sottoposti a un processo di riscrittura o traduzione sostanziale da cui scaturisce un’opera per larga parte inedita, dotata di spirito unitario e armonico. Il primo dei saggi raccolti nel volume (Machiavelli, l’eccezione e la regola. Linee di una ricerca in corso) contiene forse quella che può definirsi la novità più dirompente degli ultimi studi machiavelliani. La scoperta riguarda proprio il termine che dà il titolo all’opera: nondimanco. Parente quattrocentesco dell’odierno “nondimeno”, questa semplice congiunzione appare, in realtà, lo specchio di un messaggio potente e arcano. Come un rintocco incalzante, essa fa capolino nei passaggi più intensi delle principali opere machiavelliane, scandendo lo svolgersi dei paragrafi, il susseguirsi dei pensieri, ma soprattutto enfatizzando il ruolo che oppone la regola all’eccezione, la norma generale alla singolarità del caso.
Un semplice esempio può apparire chiarificatore. In un breve inciso dei Discorsi (iii, 40) concernente l’uso che dell’inganno si fa nelle circostanze di guerra, Machiavelli scrive: «Ancora che lo usare la fraude in ogni azione sia detestabile, nondimanco nel maneggiare la guerra è cosa laudabile e gloriosa».
L’opposizione è chiara: esiste una regola, che ordinariamente va seguita, ma esiste anche l’irruzione del reale, il suo scarto, la sua dinamica intrinseca di eccezionalità, che impone, come contro-regola, la violazione stessa del principio generale. I due argomenti, si badi, viaggiano insieme, ma il secondo («laudabile e glorioso») prevale sempre sul primo.
Ecco dunque che quello che può sembrare un dettaglio insignificante nello stile narrativo di Machiavelli – un avverbio dotato di semplice funzione oppositiva – diviene in realtà il centro di una serie di interrogativi fondamentali. Da dove nasce, infatti, quest’uso? Cosa rappresenta filosoficamente la congiunzione “nondimanco” nell’argomentare specifico di Machiavelli? E quale valenza politico-giuridica assume nell’economia complessiva del suo pensiero?
Ginzburg risolve l’enigma con un gesto preciso e geniale. Analizzando la biblioteca dei volumi di casa Machiavelli, e soffermandosi in particolare sul libro mastro degli acquisti di Bernardo – il papà di Niccolò –, Ginzburg rinviene l’esistenza di un testo misterioso e dimenticato, la Novella intitulum de regulis iuris (nota anche come Quaestiones mercuriales). Opera principale del giurista medievale Giovanni D’Andrea, in essa è racchiuso un breve passaggio in cui l’autore distingue tra princìpi generali (ad esempio, l’usura è condannabile) e deroga ai princìpi imposta dalle circostanze (l’usura è ammissibile). Incredibilmente, nella commedia La Mandragola, Machiavelli utilizzerà questo stesso identico approccio per poi farlo rimbalzare, quasi del tutto intatto, nel corpo testuale de Il Principe.
Ecco così originarsi, da questa semplice ma rivoluzionaria scoperta, il vero fuoco dell’analisi di Ginzburg. “Nondimanco” non opera più come una semplice congiunzione, bensì come termine-concetto, come una soglia capace di incorporare l’eco lontana di un pensiero giuridico-medievale intriso di casi, di eccezioni, di deroghe. Più radicalmente, nondimanco marca l’operare stesso di una cesura: quella che oppone princìpi generali e anomalie, regole e caso serio, canone e precetto pratico. Il giovane Niccolò, erede quattrocentesco di questa tradizione, assimilò appieno lo spirito degli antichi trattati medievali trasmutandone la diegesi casuistica. Ciò che ne scaturirà, come noto, sarà una filosofia di aspetto profondamente diverso, più vigorosa e nervosa forse, di certo pronta per risuonare nelle tumultuose vicende della politica prerinascimentale italiana, ma pur sempre raccolta nel ricordo pulsante della sua antica origine giuridico-canonista.
Ma Nondimanco non è soltanto un saggio che rivolta dal di dentro il pensiero machiavelliano. Esso è anche la storia di una virgola, quella che campeggia nel sottotitolo del volume e che congiunge (o meglio, oppone) la figura del pensatore fiorentino a una, per certi versi, molto più inaspettata.
Nelle Provinciali, testo ricolmo di sottilissime ambiguità, sarà infatti proprio Pascal – o meglio il suo alter-ego, Louis de Montalte – a entrare in feroce polemica con la casistica medievale, arrivando financo a sbeffeggiare beffardamente la stessa opinione che si possano dare eccezioni vive contro regole morte. Eppure, intersecando la biografia di Pascal con i suoi più celebri Pensieri, Ginzburg riesce a rilevare l’intima similarità che accomuna il pensatore francese agli insegnamenti machiavelliani. Come si legge in un noto passaggio, «[g]li stati perirebbero se non si facessero piegare spesso le leggi alla necessità, ma la religione non ha mai ceduto a questo e non ne ha approfittato. Perciò occorrono questi adattamenti [accommodements] oppure dei miracoli» (Pensieri, 263). La salvezza di uno stato è consustanziale alla sua emergenza, si potrebbe chiosare. L’exceptio, o gli accommodements, sono ciò che riempie di senso vivo il guscio vuoto e privo di concretezza della regula juris. Anche per Pascal, lontano estimatore di Machiavelli, il miracolo diviene allora il caso serio, il gesto improvviso che squaderna una volontà superiore e dirompente: un emblema dell’eccezione, si potrebbe forse dire, tale e quale a quello che raffigurerà, secoli dopo, Carl Schmitt nella sua Teologia politica (1922; 1934).
Proprio per questo motivo quella piccola virgola incisa impercettibilmente nel sottotitolo del saggio diviene, per Ginzburg, qualcosa di più di una semplice interpunzione. Esattamente come la parola nondimanco, essa racchiude la storia di un’alchimia intellettuale, di un dialogo tra gli anni smarrito e poi ritrovato, condotto nell’esegesi dei documenti antichi, nel perdersi dei cataloghi, degli archivi, delle pagine apparentemente interrotte. In questo incontro mancato ma reso oggi nuovamente possibile, Pascal e Machiavelli sembrano ricomparire sul comune terreno della casuistica e, da lì, dialogare in un rinnovato intrecciarsi di posizioni, di tensioni, di conflitti.
Il merito ultimo del volume di Ginzburg, si può forse concludere, sta nell’incorporare sapientemente la corrispondenza nascosta tra schemi del pensiero, tra autori e filosofie apparentemente inconciliabili, per riordinarli poi attraverso un percorso diverso, non visto, non percepito, eppure da sempre silenziosamente operante. Quello che resta sul tavolo è un saggio denso, articolato e allo stesso fondamentale – un’opera in cui la storiografia critica sa farsi racconto appassionante e l’analisi dei testi e dei documenti antichi abbrivio per una ricerca nuova, coraggiosa, e forse ancora del tutto inesplorata.
di Mauro Balestrieri