Nel primo periodo del suo insegnamento Lacan mette l’accento sulla funzione simbolica del linguaggio e della parola. Parte dalla constatazione che la psicoanalisi post freudiana del suo tempo aveva in realtà deviato dal sentiero tracciato da Freud: quelli che Freud aveva individuato come concetti fondati su una logica rigorosa erano invece stati presi in modo immaginario, burocratico, cosa che li aveva resi vuoti, banali, privi di logica. In questo primo periodo Lacan svalorizza gli aspetti immaginari per risituare l’esperienza dell’analisi sul suo asse simbolico. Vale a dire che al centro dell’analisi non c’è il significato, il senso. Il senso nascosto dei sintomi di cui parla Freud non è un significato predeterminato, in cui “x vuol dire y” e y sarebbe qualcosa di “rimosso”, nel senso di nascosto in un baule che dovrebbe essere tirato fuori. Non si tratta di questo, questi sono aspetti immaginari che non permettono che si produca dell’inconscio (che è propriamente la finalità di un’analisi). Il simbolico ha invece a che fare con la parola nella sua dimensione significante – termine che Lacan usa mutuandolo dalla linguistica di De Saussure –, cioè slegata dal significato.
Freud lo dice bene affermando per esempio che il sogno funziona come un rebus. A caratterizzare il rebus è il fatto che le parole valgono non per il loro significato, ma per il loro suono, per le lettere che le compongono. Ebbene, l’inconscio funziona proprio così. D’altra parte la regola fondamentale dell’analisi, l’associazione libera – l’invito a dire qualunque cosa venga in mente senza censure –, si fonda proprio su meccanismi significanti. L’interpretazione in analisi non è allora un’interpretazione di senso ma sul piano significante, e l’analisi permetterebbe – secondo l’elaborazione del primo insegnamento di Lacan – la simbolizzazione anche degli aspetti che non sono di per sé di stoffa significante, cioè di parola, come gli aspetti libidici e pulsionali, che toccano da vicino il corpo. In questa logica, la famosa frase di Lacan non esiste rapporto sessuale – che naturalmente non vuol dire che non si compiano atti sessuali – significa allora che non c’è la possibilità che il rapporto tra i sessi sia simbolizzato, che non esiste parola che lo dica appieno, che tra uomo e donna rimane sempre “qualcosa che non va”, uno iato. Si può anche dire che il rapporto tra i sessi non può essere ridotto a formula, a pura logica. Man mano che Lacan procede nel suo insegnamento, prende però sempre più valore un altro aspetto, relativo al godimento. È la parte della sua elaborazione in cui, pur prendendo le mosse dall’opera di Freud, Lacan è sicuramente andato al di là.
Che cos’è il godimento?
Prima di tutto non va confuso con il piacere. Possiamo parlarne come di un’esperienza di soddisfacimento che riguarda ciascun essere umano. Su questo punto, Lacan riprende da Freud diversi elementi. Innanzitutto, il piccolo essere umano, quando viene al mondo, si trova in uno stato di indigenza e sconforto, cui corrisponde una prima esperienza di soddisfacimento, tramite l’intervento di una persona esterna, grazie a un oggetto (per esempio il seno materno). Lacan dice in più occasioni che se osserviamo un neonato dopo la poppata potremo vedere un’espressione di pienezza e soddisfazione assoluta, di godimento appunto.
Ci sono però altri aspetti in gioco: per esempio, già Freud aveva notato che anche un sintomo che fa soffrire può produrre nel soggetto del soddisfacimento. Ne aveva parlato per esempio nel caso dell’Uomo dei topi, in cui notava sul volto del paziente, che riportava il racconto che aveva udito di una tortura praticata in Oriente, racconto che suscitava in lui il più vivo orrore ogni volta che gli veniva in mente, un’espressione di “orrore di un proprio piacere a lui stesso ignoto”. Cogliamo qui che il concetto di godimento ci proietta decisamente al di là di una logica del bisogno: il neonato che aveva fame e si è saziato, con la sua espressione beata, ci dice che si è prodotto, rispetto al semplice soddisfacimento del bisogno, un di più, ed è alla ripetizione di questo “di più” che da quel momento il soggetto tende; non si tratterà più solo di placare la fame. Il godimento quindi tocca in primis il corpo, e alla fine degli anni ’60 Lacan dice che «un corpo è fatto per godere, godere di se stesso». Se inizialmente aveva ipotizzato che la dimensione corporea del godimento potesse essere del tutto riassorbita dal simbolico, in seguito coglie che ciò non è possibile: anche al termine di un’analisi questa dimensione permane, per quanto non immutata. Infine – ce lo insegna per esempio l’espressione che Freud individua sul volto dell’Uomo dei topi – il godimento può coesistere con l’orrore, ma anche con il dolore. La persona soffre, ma al tempo stesso è invasa da un godimento che neanche riconosce come tale; è l’analisi che può permetterle di riconoscerlo, e di separarsene almeno un po’. Il godimento però, nell’esperienza umana, non è mai completo e durevole. Per l’essere umano esso è perduto da sempre, interdetto; quello che ne possiamo esperire nella nostra vita sono briciole, frammenti, attimi, e questo spinge ogni volta di nuovo alla ricerca di soddisfacimento, tramite la parola o gli oggetti. Sì, perché la parola non è fuori da questo gioco. La parola stessa produce un godimento.
L'elaborazione di Lacan è molto importante perché offre degli strumenti per comprendere i fenomeni clinici (con “clinici” possiamo intendere tutto ciò che, della vita quotidiana, viene portato in analisi) del nostro tempo, che sono in parte diversi da quelli di cui ha parlato Freud, perché diverso è il discorso dell’epoca. Nei primi del ‘900 così come oggi sono in gioco, per gli esseri umani, sia l’interdizione (castrazione) sia il godimento, ma mentre all’epoca di Freud era la dimensione dell’interdizione, della regola, della rinuncia, e quindi del desiderio, a ordinare la vita soggettiva, familiare e sociale, oggi godi! è l’imperativo cui tutti siamo sottoposti senza sosta. Viviamo nel mondo degli oggetti che possono soddisfarci e renderci tutti belli, giovani, sani, performanti; ciò ha assunto la valenza di un obbligo: puoi godere, quindi devi godere! Il sesso non sfugge a questa logica.
Ma allora, che ne è oggi del rapporto sessuale?
Anche sul piano del godimento, possiamo affermare che non c’è rapporto sessuale. C’è differenza tra il versante maschile e il versante femminile, ma per nessuno dei due il godimento “fa rapporto”, produce condivisione. Il godimento, anche quello dell’atto sessuale, resta non condivisibile. Ciascuno gode sempre dalla sua parte. Il godimento non produce rapporto sessuale perché il corpo “si gode”. Per questo Lacan può dire che «due corpi non possono fare uno». Solo nell’illusione dell’amore si può fare uno con l’altro ma, come ciascuno sa, è un’illusione di breve durata. L’amore è un velo sull’inesistenza del rapporto sessuale, e come ogni velo ricopre ma al tempo stesso lascia intravedere quel che c’è sotto.
Lo statuto del corpo in psicoanalisi assume un valore diverso dall’organismo vivente nella sua funzionalità biologica. Freud sin dall’inizio si è preoccupato di sottolineare come l’inconscio abbia effetti sul corpo, e con l’isteria, attraverso l’osservazione dei sintomi presentati nel corpo, giunse alla costruzione della teoria delle pulsioni per spiegare l’eccesso di eccitazione nel corpo e la ricerca di una soddisfazione che si ottiene al di là del soddisfacimento di un bisogno.
Nel testo Introduzione alla Psicoanalisi (1989) Freud scrive: «Una pulsione si differenzia da uno stimolo per il fatto che trae origini da fonti di stimolazione interne al corpo, agisce come una forza costante e la persona non le si può sottrarre con la fuga, come può fare di fronte allo stimolo esterno. Nella pulsione si possono distinguere: fonte, oggetto e meta. La fonte è uno stato di eccitamento nel corpo, la meta l’eliminazione di tale eccitamento; lungo il percorso dalla fonte alla meta la pulsione diviene psichicamente attiva» (p. 205). Già in Pulsioni e loro destini (1976) affermava che «la pulsione ci appare come un concetto limite tra lo psichico e il somatico, come il rappresentante psichico degli stimoli che traggono origine dall’interno del corpo e pervengono alla psiche, come una misura delle operazioni che vengono richieste alla sfera psichica in forza della sua connessione con quella corporea» (p. 17). Lacan riprenderà la teoria delle pulsioni di Freud articolandola, però, al linguaggio; infatti egli sottolineò come il significante entri nel corpo rendendolo corpo vivente, che diventa quindi sostanza godente. Pertanto, avviene un effetto di scrittura che il significante esercita sulla superficie corporea, e il significante stesso può farsi veicolo di godimento introducendo del godimento supplementare nel corpo vivente. Dunque, quando parliamo di corpo non ci riferiamo all’organismo, a quello che ci viene dato; inoltre è necessario distinguere il corpo dall’organismo biologico e dal soggetto. Uno degli effetti del linguaggio è di separare il corpo dal soggetto; questo effetto di divisione, di separazione tra il soggetto e il corpo è possibile solo attraverso l’intervento del linguaggio: il corpo deve costituirsi, non si nasce con un corpo. Vale a dire che il corpo si costruisce secondariamente, essendo effetto della parola.
Le prime teorie di Lacan sul corpo risalgono al 1949, alla teoria dello stadio dello specchio, in cui egli sostiene che il corpo è determinato dalla sua immagine. Nello stadio dello specchio, Lacan ci mostra che, affinché si riconosca come un corpo intero e unificato, al soggetto è necessario un altro, dunque è solo per identificazione con l’immagine dell’altro che il bimbo acquisisce l’immagine del proprio corpo. Ciò nonostante la condizione per l’identificazione immaginaria è il suo accesso alla struttura del linguaggio, ossia al registro simbolico. Perciò la costituzione dell’immagine corporea è un effetto che viene dal simbolico. L’immagine del corpo è ciò che dà consistenza all’Io che quindi si costituisce per il tramite dell’immagine del corpo. Già Freud nel testo L’Io e l’Es (1977) aveva messo in connessione l’Io con il corpo affermando che l’Io è un’entità corporea ed è il luogo su cui si proiettano le sensazioni provenienti dalla superficie del corpo (cfr. p. 488). L’Io è un Io-corpo dice Freud (ivi, p. 490). Il corpo immaginario è una forma completa, senza fratture, e ciò avviene per mezzo della rappresentazione di sé che il bambino intercetta nello specchio.
Nel 1972-73, nel Seminario XX Ancora (2011), Lacan torna alla questione del corpo intrecciandola con il godimento; infatti introduce il concetto di corpo come sostanza che gode: «[…] non sappiamo che cos’è un essere vivente, sappiamo soltanto che un corpo è qualcosa che si gode», introduce cioè il corpo nella sua dimensione più pulsionale. Il soggetto dell’inconscio, costituito dal significante, lascia il posto al parlessere ovvero a un essere attraversato dal linguaggio e toccato dal godimento del corpo. Il corpo parlante ha due godimenti, il godimento della parola e il godimento del corpo. Nel parlessere, c'è contemporaneamente godimento del corpo e godimento che si relega fuori corpo, godimento della parola.
Nel 1975 Lacan affronta di nuovo il concetto di corpo nel Seminario XXIII, Il Sinthomo(2006) definendo il corpo come supporto dell’immaginario, rimarcandone però la sua posizione nello spazio e quindi la sua consistenza. Lacan utilizza il termine di pelle per indicare che ciò di cui si tratta è una superficie, ma nel senso di sacco, pelle come sacco che avviluppa, che contiene al suo interno gli organi corporei uniti (cfr. p. 61). Il corpo non è soltanto l’immagine, al punto che l’immaginario implica il godimento, il reale. Il reale, il godimento, che è al di fuori del senso, ma non al di fuori del corpo, è la consistenza del parlessere. Il corpo come sostanza godente, luogo del godimento e per godere, è il supporto del parlessere. Il corpo, dunque, come tempio del godimento, e perché sia tempio del godimento, e non tempio del puro significante, il corpo deve essere vivente. Ma che cosa vuol dire corpo vivente? è la domanda di Jacques-Alain Miller nel suo testo Biologia lacaniana. Egli dice che non si tratta unicamente del corpo immaginario (non si tratta cioè del corpo che è operativo nello stadio dello specchio), ma non si tratta neppure del corpo simbolico. In questo contesto, parti del corpo umano possono essere elevate alla dignità di significanti. Come il fallo per Freud e il seno per Melanie Klein. Non si tratta dunque né di un corpo immagine, né di un corpo simbolizzato. Per Miller (2000), si tratta invece di un corpo vivente, e «[…] il godimento stesso è impensabile senza il corpo vivente: il corpo vivente è la condizione del godimento» (p. 20).
Bibliografia:
S. Freud (1989). Introduzione alla psicoanalisi. In Id., Opere, vol. 11: Torino: Bollati Boringhieri
Id. (1976). Pulsioni e loro destini. In Id., Opere, vol. 8. Torino: Bollati Boringhieri
Id. (1977). L’Io e l’Es. In Id., Opere, vol. 9. Torino: Bollati Boringhieri
J. Lacan (2011), Il seminario, Libro X, Ancora (1972-73). Torino: Einaudi
Id. (2006). Il seminario, Libro XXIII, Il Sinthomo (1975-76). Roma: Astrolabio
J.-A. Miller (2000). Biologia Lacaniana ed eventi di corpo, “La Psicoanalisi” (28)
Jacques-Alain Miller (2006a), nel commento al Seminario XXIII – Il sinthomo di Lacan (2006a), sottolinea che, da un punto di vista psicoanalitico, «il corpo è paragonabile a un ammasso di pezzi staccati. Non ce ne rendiamo conto tanto che restiamo catturati dalla sua forma, tanto che la pregnanza della sua forma impone l’ideale della sua unità» (p. 13). Lo statuto primitivo del corpo, contrariamente all’evidenza del visibile, è infatti di essere in pezzi staccati e, affinché il bambino possa percepire il proprio corpo come una unità, occorre che sia passato attraverso quello che Lacan (2002a) considera un vero e proprio «crocevia strutturale» (p. 107) nello sviluppo. Nel 1936, riprendendo le ricerche sperimentali sulla percezione compiute da Henri Wallon, Lacan indica con il nome di stadio dello specchio quella fase in cui il lattante, tra i sei e i diciotto mesi, ancora immerso in uno stato di frammentazione, impotenza e di prematurazione fisiologica, risponde in modo giubilatorio alla vista della propria immagine riflessa nello specchio. L’immagine speculare permette al bambino un primo riconoscimento, una prima identificazione e, contemporaneamente, segna uno iato incolmabile poiché egli non potrà mai ricongiungersi all’immagine che lo specchio gli rimanda. Scrive Lacan (2002b): «questa Gestalt […] simbolizza la permanenza mentale dell’io e al tempo stesso ne prefigura la destinazione alienante» (p. 89). In questo passo, possiamo già trovare l’idea del soggetto lacaniano come strutturalmente diviso ed è per questa via che Lacan (2002a) sottolinea la dimensione tragica dello stadio dello specchio, la cui essenza è quella di essere una «lacerazione originale» (p. 110) in cui l’essere del soggetto è per sempre separato dalla sua proiezione ideale.
Da una parte, dunque, lo stadio dello specchio permette quell’operazione simbolica che offre al soggetto la possibilità di individuarsi come un “io” mentre, dall’altra, è ciò che lo divide irrimediabilmente dalla sua immagine. È a questo livello che si pone la «Spaltung tra il moi che viene a costituirsi e il soggetto dell’inconscio je, che non si lascia reperire nell’immagine speculare, e che troverà modo di presentarsi nei punti di vacillamento dell’io» (Cosenza, 2003, p. 23-24). Nell’analisi di questo momento così importante nella costituzione dell’immagine del corpo Lacan evidenzia il ruolo fondamentale e preliminare svolto dalla madre: ella è colei che tenendo in braccio l’infans gli indica che l’immagine che lo specchio rimanda è la sua. È quindi attraverso l’azione operata da un elemento terzo – in questo caso la madre – eterogeneo alla dimensione della similarità, che «il soggetto si pone come operante, come umano, come io (je), a partire dal momento in cui appare il sistema del simbolico» (Lacan, 2006b, p. 66).
Quanto detto mette in rilievo come il corpo si strutturi a partire dall’apporto dell’immagine e l’esperienza del corpo in frammenti, di cui testimoniano i soggetti schizofrenici, si pone come caso paradigmatico degli effetti provocati dal non accesso alla funzione unificante dell’immagine speculare. Per Eva, una ragazza schizofrenica, per esempio il corpo è piuttosto il luogo di un ritorno nel reale della libido: Eva in certi momenti di vacillazione deve cingere la testa con una fascia perché possa avere la tranquillità «che tutto ciò che è all’interno della testa resti dentro». Quando il bambino viene al mondo, viene già al mondo nel campo dell’Altro simbolico ed è il simbolico che per Lacan costituisce uno dei tre registri, oltre all’immaginario e al reale, che presiede alla nascita e alla formazione del soggetto. Il simbolico, in particolare, è ciò che umanizza il soggetto sottraendolo alla condizione di puro vivente per immetterlo nel legame sociale.
Nelle Due note sul bambino, Lacan (1987) ci dice che il bambino diventa soggetto solo tramite il desiderio dell’Altro, cioè a partire dal modo in cui la madre, il suo Altro primordiale, ne ha fatto causa del proprio desiderio. Da ciò si coglie che il corpo per l’essere parlante non è più solo un organismo, prodotto di puri bisogni biologici, ma è la risultante della relazione che intercorre tra l’organismo di un vivente e l’Altro del linguaggio. È quindi il simbolico a trasformare l’organismo in corpo e il parlare di corpo implica una trilogia che comporta, oltre al corpo, la parola e l’essere. Per un verso, l’entrata nel campo del linguaggio fa pertanto perdere all’umano lo statuto di essere naturale ma, contemporaneamente, fa guadagnare al corpo uno statuto inedito perché diviene tempio della pulsione: «Come tempio della pulsione il corpo è libidicamente erotizzato, sublimato, sessualmente portatore di una differenza che fa problema, sede di un desiderio che ha fonte in quella perdita di godimento che è correlativa alla iscrizione stessa del simbolico. Ma il corpo è anche ciò che patisce di “quello che non va” e che Lacan chiama “il reale”. È questo reale che si manifesta nel sintomo e che insiste rendendo sofferente il corpo come un impossibile da sopportare ma di cui però non si riesce a fare a meno: “godimento”, lo chiama Lacan» (Miller, 2006b, p. 8).
Bibliografia:
Cosenza, D. (2003). Jacques Lacan e il problema della tecnica. Roma: Astrolabio.
Lacan, J. (1987). Due note sul bambino. La Psicoanalisi, 1, 22-23.
Id. (2006a). Il seminario. Libro XXIII. Il sinthomo (1975-1976). Roma: Astrolabio.
Id. (2006b). Il seminario. Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi (1954-1955). Torino: Einaudi.
Id. (2002a). Aggressività in psicoanalisi (1948). In Id., Scritti. Vol. 1. Torino: Einaudi.
Id. (2002a). Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’io In Id., Scritti. Vol. 1. Torino: Einaudi.