Nei primi anni Trenta del Seicento, René Descartes scrive un trattato sull’uomo (è l’ultima parte di Le Monde ou Traité de la lumière), ma rinuncia a pubblicarlo; l’opera apparirà postuma assai più tardi, nel 1664. L’autore vi descrive il funzionamento del corpo umano come se fosse quello di una macchina. Il cervello gli appare composto da un reticolo di tubicini, che convergono verso una ghiandola, dotata di notevole mobilità: si tratta del conarium, ossia l’epifisi o ghiandola pineale. Essa, secondo il filosofo, costituisce «la sede dell’immaginazione e del senso comune» (Descartes, 2012e, p. 851; trad. it. 1986, p. 124). Dal conarium fuoriescono gli «spiriti animali», che trasmettono attraverso i nervi gli impulsi motori al corpo e nel contempo danno «all’anima l’occasione di sentire il movimento, la grandezza, la distanza, i colori, i suoni, gli odori, e altre simili qualità; e anche […] il solleticamento, il dolore, la fame, la sete, la gioia, la tristezza e altre simili passioni» (ibidem). Quindi tutto il complesso sistema di interazioni fra psiche e corpo è regolato da una minuscola ghiandola. Nel 1641, Descartes pubblica una delle sue opere principali, le Meditazioni metafisiche. Fra i vari temi in essa affrontati, c’è anche quello del modo in cui dev’essere concepito il rapporto fra l’anima e il corpo. Il filosofo li considera due entità essenzialmente differenti: il corpo, per sua natura, è sempre divisibile, mentre l’anima è indivisibile. Lo dimostra il fatto che se l’uomo viene mutilato, per esempio, di un braccio o di un piede, nessuna perdita ne risulta per l’anima. Questa, infatti, «non viene influenzata direttamente da tutte le parti del corpo, ma soltanto dal cervello, o forse anche solo da una sua parte molto piccola» (Descartes, 2012c, p. 331; trad. it. 2001, p. 285). Il riferimento allusivo è alla ghiandola pineale, cui Descartes attribuisce la funzione di trait d’union fra anima e corpo. Anzi, quando comunica in forma privata ed epistolare, egli si spinge fino a sostenere che «questa ghiandola è la principale sede dell’anima, e il luogo in cui si producono tutti i nostri pensieri» (Lettera a Lazare Meyssonnier del 29 gennaio 1940 in Descartes, 2012a, p. 1066; cfr. anche le missive a Marin Mersenne datate 1 aprile e 30 luglio 1640 in Descartes, 2012a, pp. 1070-1072 e 1077).
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A cura di:
Giuseppe Zuccarino è critico e traduttore. Ha pubblicato vari saggi: La scrittura impossibile, Genova, Graphos, 1995; L’immagine e l’enigma, ivi, 1998; Critica e commento. Benjamin, Foucault, Derrida, ivi, 2000; Percorsi anomali, Udine, Campanotto, 2002; Il desiderio, la follia, la morte, ivi, 2005; Il dialogo e il silenzio, ivi, 2008; Da un’arte all’altra, Novi Ligure, Joker, 2009; Note al palinsesto, ivi, 2012; Il farsi della scrittura, Milano-Udine, Mimesis, 2012. Tra i libri da lui tradotti figurano opere di Mallarmé, Bataille, Klossowski, Blanchot, Caillois e Barthes.