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Enzo Melandri – L’inconscio e la dialettica
Recensioni / Gennaio 2019Logica, assenza della logica, impossibilità di rinunciare alla logica, conversione alla dialettica e all'analogia. Sono questi i passaggi cruciali compiuti da Enzo Melandri nel saggio L'inconscio e la dialettica, pubblicato per la prima volta nel 1983 e oggi riproposto dalla casa editrice Quodlibet. Melandri ci pone di fronte a una questione decisiva e quanto mai attuale: quella della contraddizione come oggetto. La domanda è duplice: a) si danno oggetti contraddittori, cioè stati di cose che violano il principio di non contraddizione? b) come possiamo conoscere questi oggetti, e quindi formulare un discorso non contraddittorio su di essi? Ogni forma filosofica di dialettica nasce esattamente dal tentativo di rispondere a tali questioni. Il confronto con la psicoanalisi diventa così un banco di prova di estrema importanza, perché «l'inconscio non è semplicemente qualcosa di illogico, d'irrazionale; ma è contraddittorio in sé» (p. 8).
L'incipit del saggio è una constatazione. Mentre la logica formale e le scienze naturali per sopravvivere debbono escludere la contraddizione dal loro oggetto, le scienze sociali tendono ad includere la contraddizione nel loro oggetto, come dimostrano marxismo e psicoanalisi. Non è dunque un caso che il prosieguo del saggio sia una lunga analisi dell'opera dello psicanalista cileno Matte Blanco, che più di ogni altro si è confrontato con il problema della contraddittorietà dell'inconscio cercando nella matematica dell'infinito una risposta convincente a tale enigma. La posizione di Blanco è chiara: «[...] solo se si è sicuri della formulazione perfettamente corretta del nostro concetto, cioè che non trasmetta contraddittorietà per infezione, si potrà eventualmente esaminare quali siano le risultanze di un oggetto intrinsecamente contraddittorio sul piano ontologico» (p. 10) com'è l'inconscio. Per Blanco, la soluzione del problema sta nella possibilità di una traduzione dell'inconscio in termini matematici.
Melandri si accosta al problema compiendo tre digressioni. La prima concerne l'applicazione della matematica e la distinzione di tre forme / gradi di applicabilità della matematica alla realtà: debole (statistica), forte (misura, calcolo, sistema ipotetico-deduttivo, come in fisica) e raffigurativa (la matematica usata in senso metaforico, analogico). La seconda digressione riguarda invece i rapporti tra matematica e psicologia. Secondo Melandri, la matematizzazione in senso forte della psicologia è possibile, ma va compresa in maniera specifica. Una strada è quella dell'applicazione della matematica alla psicologia attraverso la fisica postulando quindi un parallelismo psico-fisico. Le opzioni di fondo sono due: o conformiamo la psicologia alla fisica e al principio di non contraddizione, ma così perdiamo l'essenza della psicologia, ossia la contraddittorietà dell'inconscio; oppure conformiamo la fisica alla psicologia, modificando la nostra visione del mondo fisico-matematico e lasciando entrare in essa la plausibilità della contraddizione.
La terza digressione riguarda la nozione di inconscio in Freud (sezione 7). L'origine della psicoanalisi sta – dice Melandri – nella sintesi tra la comprensione dei fenomeni isterici, l'interpretazione dei sogni e l'analisi delle manifestazioni neurotiche in generale. Il concetto di inconscio nasce proprio per dare una spiegazione unitaria a questi fenomeni che hanno la caratteristica comune di essere assurdi, paradossali. Per questo l'inconscio – inteso sia in senso aggettivale che sostantivale – non potrà mai designare una sostanza né un oggetto. «Prendiamo dunque l'inconscio come l'obiettivo di un certo sistema di incongruenze, comprendente al limite anche le più incorreggibili contraddizioni» (p. 24). L'inconscio non è illogico perché sede di conflitti o tensioni tra forze. L'illogicità è un tratto strutturale dell'inconscio. In altre parole, l'illogicità dell'inconscio è causa formale, non efficiente. Un conflitto energetico non è di per sé contraddittorio. L'inconscio è invece intrinsecamente contraddittorio.
Si giunge così a un'alternativa, quella tra inconscio soggettivo e inconscio oggettivo. Il primo – dice Melandri nella sezione 11 – è qualcosa che appartiene alle profondità del soggetto in quanto “cattivo soggetto” o alter ego, e che quindi soltanto attraverso una “sapienza poetica”, di natura linguistica e retorica, può essere portato alla luce. Il secondo è invece concepito in maniera naturalistica, trascendente, e dipende da una teoria fisica delle neurosi. In entrambi i casi l'inconscio produce contraddizioni. Di qui il problema: «Una volta stabilito che l'oggetto è autocontraddittorio, esso non risulta individuabile se non negativamente: possiamo solo dire che cosa esso non è. E da ciò deriva la conseguenza, epistemologicamente deleteria, per cui non abbiamo più alcun criterio per mantenere libero da contraddizioni il nostro rapporto conoscitivo con un oggetto del genere» (p. 49). La psicoanalisi non può non tenere conto di questo punto cruciale, e drammatico. Il lavoro di Blanco ne è l'esatta riprova: una formulazione matematica dell'inconscio resta ancora nel dominio della logica. Non riesce veramente a cogliere quel radicale al di là della logica cui ci pone di fronte l'inconscio.
Dall'analisi critica dell'impostazione di Blanco emerge quindi la posizione melandriana sullo statuto della psicoanalisi. Sapere del complementare, la psicoanalisi è dialettica. La dialettica unisce razionale e irrazionale; essa tematizza l'irrazionale a partire dal limite del razionale, aprendo il razionale a quel limite. L'illogicità dell'inconscio è il riflesso dell'incapacità del pensiero logico-linguistico (nel senso della logica classica) di afferrarlo e articolarlo. Per pensare l'inconscio occorre un sapere che non è logico-linguistico in senso classico. Occorre un sapere ermeneutico e archeologico. Occorre aprirsi all'irrazionale, che non è l'illogico. In effetti, l'illogico è ancora una categoria logica, che dipende dal principio di non contraddizione. L'irrazionale è qualcosa di più profondo e ambiguo. Avvicinarsi ad esso vuol dire a) aprire il proprio orizzonte teoretico abbandonando ogni forma di dogmatismo; b) tematizzare il non-conosciuto quale complementare al conosciuto. L'analogia, che è una forma di complementarietà, è il risultato di questa operazione. L'inconscio e la dialettica riporta quindi in primo piano i temi dell'opus magnum di Melandri, La linea e il circolo (1968), e la sua lettura non può essere disgiunta da quest'ultimo.
di Luca M. Possati