Il primo libro di Jacques Derrida interamente dedicato a un poeta appare nel 1986 e concerne Paul Celan. Si tratta del testo di una conferenza pronunciata due anni prima a Seattle, nel corso di un convegno internazionale. Cominciamo con l’esplicitare il titolo del volumetto, Schibboleth. Esso riprende quello di una poesia celaniana, ma il vocabolo – come il filosofo non manca di ricordare – ha origini assai più remote, che risalgono all’Antico Testamento. In un passo del libro dei Giudici, si narra ciò che avvenne dopo una battaglia vinta dai Galaaditi contro gli Efraimiti: «E Galaad bloccò i guadi del Giordano agli Efraimiti, in modo che quando qualcuno dei fuggitivi di Efraim diceva: “Fatemi passare!” gli uomini di Galaad gli chiedevano: “Sei tu di Efrata?” ed egli rispondeva: “No!”. Però quelli insistevano: “Di’ Schibboleth”; l’altro invece rispondeva “Sibboleth!” poiché non riusciva a pronunciarlo bene. Allora lo afferravano e lo sgozzavano nei guadi del Giordano, tanto che in quel giorno caddero uccisi quarantaduemila Efraimiti». Ecco come una parola in apparenza innocua (schibboleth in ebraico significa «spiga» o «torrente») può assumere risonanze sinistre, dato che la sua pronuncia scorretta, in una particolare circostanza bellica, fu sufficiente a causare una morte immediata e cruenta. Più tardi, però, nella cultura europea, il senso del vocabolo è cambiato, venendo ad assumere l’accezione più ampia e neutra di «segno di riconoscimento», «parola d’ordine». Così, per limitarci a ricordare due autori ben noti a Derrida, Hegel può scrivere che «l’odio per la legge, per il diritto legalmente determinato, è lo schibboleth con cui si rivelano il fanatismo, l’imbecillità e l’ipocrisia», oppure Freud può indicare nella distinzione tra coscienza e inconscio il «primo schibboleth della psicoanalisi».
Nel libro viene introdotto subito il tema che sta particolarmente a cuore al filosofo, ossia quello del rapporto tra la scrittura poetica e i richiami al tempo cronologico. Questo fa sì che a Derrida appaia inopportuno «dissociare da una parte gli scritti di Celan a proposito della data, quelli che nominano il tema della data, e dall’altra i tracciati poetici della datazione». La frase richiede qualche chiarimento, nel senso che non esistono testi di Celan incentrati sul tema della data, benché qualche accenno ad esso compaia nei rari pronunciamenti pubblici del poeta; inoltre conviene specificare che, parlando di «tracciati poetici della datazione», Derrida non allude soltanto al fatto che, nella loro versione manoscritta, le liriche di Celan sono spesso datate con precisione, ma anche ai riferimenti a date (antiche o recenti, private o storiche) che compaiono all’interno dei suoi versi.
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