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Ancient Women Philosophers. Recovered Ideas and New Perspectives, a cura di Katharine R. O'Reilly e Caterina Pellò, è un'aggiunta particolarmente stimolante e gradita al campo di studi dedicato ai contributi delle donne alla storia della filosofia. Con rigore e tenacia, gli autori e le autrici si sono impegnati a ricostruire il pensiero e a trasmettere l'eredità filosofica di donne filosofe di epoche e tradizioni diverse (mondo greco-romano, Cina, India). Rifiutando di rassegnarsi alla scarsità di testimonianze e al carattere parziale e per lo più indiretto delle fonti relative a queste filosofe, gli autori e le autrici, i cui dodici contributi sono qui riuniti, condividono il progetto comune, dichiarato a più riprese, di influenzare la riflessione contemporanea riportando la voce di queste donne all’interno del canone filosofico a pieno titolo. Si tratta di una voce che deve riconquistare il suo posto nella ricostruzione dei dibattiti antichi, anche oltre il mondo greco-romano, e nell'insegnamento accademico odierno della filosofia. L'obiettivo di questo volume è quello di porre fine al silenzio che per lungo tempo è stato imposto su queste figure che tuttavia sono state parte integrante del pensiero antico e hanno contribuito alla sua trasmissione e fioritura, così da realizzare ciò che Anna B. Christensen sostiene a proposito di Macrina, ispirandosi a una frase di Gregorio di Nissa, che potrebbe riassumere il progetto delle curatrici: «The evidence suggests she was not silent during her life. We should not allow her to remain silent in death» (p. 171).

Il libro è composto da una corposa introduzione, seguita da dodici capitoli corrispondenti ai singoli contributi, quindi da una bibliografia e da un indice che chiude il volume. L'introduzione è dedicata a un'attenta e informata discussione sul valore e le accezioni delle singole parole che compongono il titolo, oltre che a giustificare la scelta di questo tema e a presentare il duplice obiettivo del libro, che è quello di chiarire e rivalutare i contributi delle donne filosofe antiche e di presentare l'approccio metodologico adottato dagli autori e dalle autrici per raggiungere questo obiettivo. Dopo una breve rassegna della letteratura critica esistente, le curatrici affrontano successivamente le principali sfide con le quali devono misurarsi gli specialisti e colgono l'occasione per fissare alcuni principi metodologici essenziali, che vengono poi illustrati nel corso del volume: la decisione di concentrarsi sulle idee piuttosto che sulla vita delle donne filosofe, e l'adozione di un approccio inclusivo nell’indagine sullo sviluppo delle teorie filosofiche, allontanandosi dalla frequente, e in parte fuorviante, focalizzazione sulle “grandi menti” che hanno creato le dottrine, per dare invece maggiore rilievo alle scuole e alle comunità filosofiche. Segue una sintesi di tre pagine di tutti i contributi, disposti in ordine cronologico.

Il primo capitolo è dedicato da Frisbee C. C. Sheffield a una figura centrale dell'universo platonico, Diotima, di cui analizza la rappresentazione per suggerire l’idea che Platone sfidi le tradizionali categorie di genere nella sua filosofia dell'eros. Sebbene Diotima sia presentata come una donna in un contesto maschile, il suo discorso trascende, infatti, le opposizioni binarie e riflette un eros genderqueer. Con l'aiuto di un dettagliato esame filologico, l'autrice prende posizione contro la lettura di Halperin, che associa le metafore relative alla procreazione per descrivere la creatività umana a una specificità femminile, sostenendo che l'eros riguarda tutti gli esseri umani, indipendentemente dal loro sesso. L'interazione tra Socrate e Diotima sottolinea invece l'importanza della fluidità dell'eros, facendo di Diotima una figura capace di condurci verso una visione non binaria del mondo.

Anche Sulabha, figura del Mahabharata a cui Brian Black dedica il secondo capitolo del libro, ci invita ad andare oltre le dualità insite nella distinzione di genere. Dopo aver sottolineato l'importanza di considerare la dimensione filosofica di questo testo e della forma dialogica in generale, l'autore mostra come le parole di questo personaggio, siano esse attribuibili o meno a una persona storicamente esistita e siano o non siano state composte da un uomo, offrono una prospettiva autenticamente femminile e hanno importanti implicazioni per la comprensione delle donne filosofe nel contesto indiano. L’articolo analizza, in particolare, i contributi innovativi di Sulabha sul tema della retorica e del dialogo come strumento per il riconoscimento dell'illuminazione accessibile sia alle donne che agli uomini, nonché su quello della rinuncia, da Sulabha sostenuta, e del genere.

Tenendo conto della sovrapposizione tra i campi della medicina e della filosofia nell'antichità classica, Sophia M. Connell esplora, nel terzo capitolo, ciò che possiamo sapere sulle donne medico nell'antichità dagli scritti, principalmente ippocratici, e da alcune tracce epigrafiche. Analizzando e contestualizzando le fonti, l'autrice individua le prove dell’esistenza di un sapere medico proprio alle donne e formula ipotesi sul suo contenuto, rivelando l'autorità di cui le donne-medico godevano e mettendo in luce la natura teorica delle loro conoscenze e delle loro competenze nel campo della salute e della riproduzione femminile, che non si limitavano a quelle proprie al ruolo di ostetrica, l’uno che spesso gli si è, erroneamente, attribuito. 

I quattro capitoli che seguono esplorano i tratti delle figure femminili appartenenti ad alcune delle principali scuole filosofiche dell'antichità. Le prime a essere prese in considerazione, nel contributo di Kelly Arenson, sono le donne epicuree, la cui rappresentazione, che dobbiamo agli autori anti-edonisti, è segnata da una sessualizzazione che mira ad essere degradante. L'autrice si sforza di estrapolare da numerose fonti latine e greche informazioni sulle donne della scuola epicurea, in particolare su Leonzia e Temista, liberandole dal manto polemico in cui questi testi le avvolgono, per sottolineare come vi furono esponenti femminili che parteciparono attivamente alla vita della scuola, al punto che alcune di esse furono molto rispettate al suo interno e forse scrissero opere filosofiche.

Il quinto capitolo è dedicato da Katharine O'Reilly ad Arete di Cirene, figura di spicco della scuola cirenaica di cui viene esaminato il ruolo nella catena di trasmissione filosofica, avvalendosi di fonti che, tuttavia, la citano solo come figlia di Aristippo il Vecchio e madre di Aristippo il Giovane. L'autrice richiama così l'attenzione sull'importanza filosofica di quelle donne che venivano tradizionalmente presentate come anelli di una catena intellettuale – di una stirpe filosofica – senza che si facesse cenno alla natura del loro contributo, o alla sua potenziale originalità, e chiude l'articolo proponendo metodologie per andare oltre agli ostacoli posti da un resoconto storico impoverito.

Nel sesto capitolo, Kate Meng Brassel esamina la mancanza di tracce dell’attività filosofica delle donne nel canone stoico, anche all'interno di una scuola talvolta considerata proto-femminista. Dopo aver messo a confronto la teoria e le prove storiche, l'autrice si concentra sul tema della voluntaria mors, evidenziandone la presenza problematica nel racconto della morte di Seneca, prima di proporre una lettura originale del dialogo tra Megara e Licio nell'Ercole furioso di Seneca. In questo caso, la finzione ci aiuta a vedere le donne ritratte come mogli degli stoici o come loro vicine, come persone che erano esse stesse filosofe e conducevano una vita in linea con la scuola stoica.

Nel settimo capitolo, Rosemary Twomey esplora il contributo delle donne pitagoriche alla filosofia antica, basandosi sulle lettere e sui trattati a loro attribuiti, finora relegati ai margini degli studi filosofici perché affrontano temi domestici spesso trascurati dalla tradizione filosofica maschile. L'autrice difende l'idea che questi testi, sebbene la loro attribuzione a donne sia discussa, meritino di essere presi sul serio come contributi filosofici: essa critica una visione ristretta della filosofia che esclude le discussioni domestiche, evidenziando il modo in cui questi scritti forniscono una prospettiva complementare a quelle di Platone, Senofonte e Aristotele. Le donne pitagoriche, come Perictione, Teano ed Esara, affrontano i temi della phronêsis, della sôphrosynê e della gestione della casa, sottolineando la diversità e la complementarietà dei ruoli nella vita familiare, in contrasto con la visione aristotelica incentrata sul capofamiglia: offrono così una valida analisi filosofica dell'importanza della casa per una vita virtuosa e una società giusta.

L'ottavo capitolo è dedicato da Giulia de Cesaris e Caterina Pellò, autrice del volume Pythagorean Women pubblicato nel 2022 dallo stesso editore, al trattato Sulla saggezza attribuito a Perictione, una filosofa pitagorica il cui contributo, studiato anche nel settimo capitolo del volume, è stato spesso trascurato, anche a causa della parziale sovrapposizione di questo testo con un trattato dello pseudo-Archita. Sostenendo la necessità di uno studio approfondito del suo contenuto filosofico, le autrici analizzano i frammenti giunti fino a noi attraverso Stobeo per ricostruire il pensiero filosofico di Perictione contestualizzando le sue argomentazioni all'interno della tradizione platonica e peripatetica.

I tre capitoli successivi sono dedicati alle donne filosofe della tarda antichità, a partire da Macrina, sorella di Gregorio di Nissa, che racconta la conversazione avuta con lei mentre era sul letto di morte nel 379 d.C., nel De Anima et Resurrectione. Anna B. Christensen dedica il nono capitolo del volume alla contestualizzazione di questa figura e all'analisi del dialogo, in cui la filosofa consola il fratello addolorato con riflessioni sulla natura dell'anima e sulla morte, l'immortalità e la sopravvivenza. Passando in rassegna le principali obiezioni che si oppongono al riconoscimento a Macrina di reali capacità filosofiche, l'autrice sottolinea l'originalità di questa rappresentazione in un'epoca, il IV secolo d.C., in cui il silenzio era invece sempre più riconosciuto come una virtù femminile.

Il decimo capitolo riguarda due figure storiche delle scuole neoplatoniche della tarda antichità, Sosipatra di Efeso e Ipazia di Alessandria. Jana Schultz analizza la loro rappresentazione alla luce degli ideali di femminilità propri al neoplatonismo della tarda antichità, tenendo anche conto dell'influenza che le scelte degli autori delle fonti possono aver avuto su queste rappresentazioni. Sembra che, sebbene le fonti non forniscano informazioni sulla loro filosofia e non ci permettano di valutare il loro contributo, esse siano state persone influenti, apprezzate come insegnanti e commentatori. In aggiunta a ciò, la loro rappresentazione consente di gettare luce sulle posizioni neoplatoniche sul genere e sulla femminilità.

L'undicesimo capitolo, l'ultimo ad essere dedicato a una singola donna filosofa, tratta dell'opera di Ban Zhao, figura di spicco della filosofia cinese del II secolo d.C., di cui Ann A. Pang-White ci invita a rivalutare il contributo filosofico. L’autrice analizza i suoi scritti da una prospettiva ispirata a Jacques Derrida e Hélène Cixous, proponendo un approccio che supera alcuni limiti della tradizione filosofica occidentale per cercare di andare oltre le interpretazioni riduttive dell’opera di Ban Zhao. L'autrice esamina non solo le Lezioni alle donne, la sua opera più famosa e più diffusa, che inaugura la scrittura “delle donne per le donne” in Cina, ma anche le sue poesie e i suoi memorandum, mettendo in luce la sua capacità di sovvertire sottilmente le norme di genere del suo tempo.

Infine, il dodicesimo capitolo chiude questo percorso con uno studio sulla ricezione del passo della Repubblica di Platone in cui si suggerisce la presenza di regine filosofe nella città ideale (540c). La fortuna di questo testo, spesso citato nei dibattiti sulle donne in filosofia, permette di avere una visione della sua ricezione in diverse epoche e in diversi contesti: quelle di Proclo nell'Atene tardo-antica, di Ibn Rushd (Averroè) nella Spagna islamica medievale e di Lucrezia Marinella nel Rinascimento italiano. Peter Adamson esplora le risonanze tra le loro interpretazioni e quelle più recenti e evidenzia come questi filosofi abbiano talvolta attinto all'opera di Platone per proporre la riforma delle società sessiste. Sebbene lontane dal femminismo moderno, le loro letture, arricchite da esempi successivi di conquiste femminili nel campo della filosofia, valorizzavano le donne e ne sostenevano la realizzazione individuale, aprendo la strada alla rivalutazione del ruolo delle donne nella sfera intellettuale che è necessario perseguire oggi.

Claire-Emmanuelle Nardone

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