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Philosophy Kitchen

Lungo la via

ronzio di api

e i nostri passi

(F. Nun)


La prima parte di Waggle dances. Oscillazioni scodinzolanti si può leggere qui. Ciò che segue è un’intervista nata entro la cornice della residenza artistica “Merleau indiano_Filosofia per ambienti_” a Giovanni Impellizzieri, performer e dancemaker, e a Chiara Organtini, Project manager della Lavanderia a Vapore, luogo in cui il progetto è stato ospitato. L’intervista è di Emanuele Enria. Il progetto citato si iscrive nella ricerca di un incontro tra pratica filosofica e pratiche artistiche, innanzitutto quali pratiche corporee. Ringraziamo G. Impellizzieri e C. Organtini per essersi prestati all’intervista.


Che cos'è l'azione performativa?

Trisha Brown risponde in un’intervista: «La relazione sempre aperta tra regole ed espressione, stasi e dinamismo, vincolo e libertà. È un rovesciamento in cui il live precede e determina la coreografia».

Così in Dance Well la danza, l’eco del gesto che si fa parola, l’eco della parola che si fa gesto che trasuda il movimento del dialogo e della scrittura, determinano una coreografia. Confini, come margini su cui sostare. Limiti fisici che si trasformano in orizzonti, in uno spazio e un tempo altri a cui approdare. Situazione estrema del limite, quest’anno, come possibilità di lottare, creare, scuotere per scrivere col nostro proprio gesto uno spartito che definisca nuove traiettorie. Una composizione polifonica per stare al mondo, così veloce da non scorgere le differenze e così lenta da mostrare l’azione del gesto unico di ognuno. Libertà è non pensare? Il corpo pensa? La parola può danzare? La risposta: una nuova domanda, continua ricerca, continuo dialogare di corpi pensanti e pensieri danzanti. Riflessioni e flessioni fisiche che ci trasformano. Ricerca che si fa azione di resistenza all’abitudine, alla routine, che scardina pregiudizi, dove il possibile si realizza in forme di pensiero-corpo.

Seduti iniziamo a cercare la libertà, dov’è?

Portati dallo sguardo troviamo un appoggio per spiccare il volo; i piedi non sono d’accordo, ma con il cuore lo sforzo si fa più intenso. L’attrito tra pensiero, sentimento e volontà genera una risata liberatoria. Dalla sedia alla terra proviamo a seguire i fiori trasportati dall’aria, dalla terra al cielo i nostri fiori si incontrano. Che cos’è la libertà? Com’è la libertà?

«L’azione umana è soggetta a vari tipi di vincoli. Quello biologico: siamo membri di una specie animale e le nostre capacità emotive e intellettive sono tali in virtù della selezione naturale. Quello istituzionale/organizzativo: ognuno di noi si muove dentro spazi strutturati, con regole scritte e non scritte – laddove la più potente di tali realtà istituzionali è lo stato. Vi è infine il vincolo dato dalle norme morali. Quale spazio di manovra resta allora ai singoli, al fine di poter plasmare la propria esistenza in modo libero e autonomo? Tale spazio sorge e cresce dall’ascolto del desiderio, da un confronto con le proprie pulsioni – su questo terreno germoglia infatti non solo l’aspirazione al godimento e alla felicità, ma soprattutto la pulsione verso la libertà» (Leghissa, Il Vincolo e la Libertà).

(Bollettino Dance Well 25 aprile 2021) waggle dances

Il performer contemporaneo troverà l’appoggio per il nuovo balzo abitando la distanza con uno sguardo sempre sul prato, sul non previsto, sull’inciampo che prevede l’esposizione di una vulnerabilità. Dovrà praticare danze scondinzolanti, oscillazioni e un’attenzione fenomenologica verso i fenomeni come un tentativo di mettere in discussione la divisione stessa tra soggetto e oggetto, cioè come un tentativo di evidenziare la coemergenza di mente e mondo (Gallangher & Zhahavi, La mente fenomenologica. Filosofia della mente e scienze cognitive, Milano: Raffaello Cortina Editore). waggle dances

Giovanni Impellizzieri, credits Giovanni Impellizzieri

Sulla strada, mossa dalle domande sulla mia pratica e dalla tensione a immaginare nuovi intrecci tra pratica di danza e pratica di filosofia, incontro il lavoro dell’artista Giovanni Impellizzieri; un lavoro che nel suo procedere nella creazione, attraverso lo stratificarsi di pratiche riflessive e espressive già nel suo nominarsi Pratica Pratiche_Pratiche si interrogava su cosa sia danza, da dove si origini e che intendeva la coreografia come dispositivo di soggettivazione e de-soggettivazione, per generare ambienti e istruzioni per la pratica. Domande e procedure analoghe che guidavano anche il mio procedere nella pratica di filosofia e che ci hanno immessi in un processo di concatenamenti veloci tra visioni e concetti con il desiderio di osare un tentativo di ricerca di un Tra danza e filosofia che ha preso forma attraverso la residenza artistica MERLEAU INDIANO_filosofia per ambienti_ e che per me partiva dalla domanda Facciamo la stessa pratica?

Un’esperienza dalla quale ho provato con le parole a cogliere il nettare:

un evento di composizioni, un istante, un evento di pensiero che cercherà le parole per esprimere un nodo di concatenamenti, una possibile via di fuga.

Ripercorrere strade asfaltate per tracciare nuovi sentieri. Tuffarsi per andare a fondo nello spazio bianco. Tra utopie ed eterotopie pensare il futuro, essere archeologi nelloscillazione perché lì sta la filosofia, dappertutto e da nessuna parte; sulla soglia del desiderio abitare la distanza come linfanzia abita il mondo. Radicale meraviglia, tra curiosità e stupore, danzare il non sapere, disattendere il conosciuto. Farsi carne e ossa per tracciare linee di fuga, tra i millepiani del potere scavare con un ramo la conoscenza del possibile; fare di una pozzanghera un mare e nuotare la superficie; come oceano tra discorso e corpo domandare la meraviglia di uno spazio esteso per regalarci la cura di un tentativo di accordo, la cura del mondo tra visibile e invisibile. Sostare in una terra di mezzo dove immaginare il futuro, dove essere sempre ancora curiosi dellesistere per agire nuove nascite ancora e ancora; con impegno e ostinazione pensare col corpo e con le cose per farsi ambiente. Piovono pollini, semi di esistenza che nascono germogli di un divenire animale, di un divenire donna per liberare lumanità. waggle dances

Qui di seguito un’intervista di Emanuele Enria a Giovanni Impellizzieri e Chiara Organtini (Project manager della Lavanderia a Vapore). Sono punti di osservazione e azione legate al lavoro di residenza, che testimoniano di processi e pratiche in essere nello spazio del Terzo paesaggio. Luoghi e persone abitati nei miei voli di orientamento e raccolta.

Giovanni Impellizzieri, credits Giovanni Impellizzieri

Emanuele: Partecipando a una giornata della Residenza, ho osservato come tu abbia costruito una sorta di dispositivo da attraversare. C’erano stimoli vari, oggetti, suoni, libri, persino delle mini sequenze di esercizi di riscaldamento da ripetere. Ci racconti come hai concepito questo dispositivo e cosa ti aspettavi da questi stimoli? Waggle Dances

Giovanni Impellizzieri: Lo spazio della residenza è concepito come un ambiente di formazione e autoformazione per creare interazioni dal vivo dove la danza è vista come una forma di autonomia del vivente, una forma di intelligenza, di presenza, di intensità percepibile attraverso i corpi, di comportamento emergente; la coreografia, una forma di organizzazione di un certo materiale nello spazio e nel tempo. All’interno del dispositivo si indagano temi come percezione, immaginazione e potere connessi all’indagine sul movimento e la composizione istantanea mettendo in discussione le tecniche apprese dai mover attraverso le tecnologie del corpo, un discorso su tutte le operazioni necessarie per adattare le proprie strutture (cognitive e anatomiche) al tempo e allo spazio della danza da generare. A un allenamento intellettuale e somatico segue la trasmissione di pratiche corporee con lo scopo di sondare processi, sollecitare le possibilità espressive e adattive della materia corporea. Le pratiche si presentano come dei compiti da svolgere, istruzioni utili per fare emergere danze. La ricerca è sensibile verso la costruzione di paesaggi mediante il design e le relazioni tra corpi e ne indaga le potenzialità a partire da coordinate condivise quali tempo e spazio, propone una modalità di comporre in maniera estemporanea e promuove l’accettazione di ogni possibile azione come danza. Nel momento che precede l’azione danzante attraverso la trasmissione dei dati generativi, ci si chiede cosa so fino adesso? Le pratiche corporee condivise sono in primis pratiche dei saperi, ciascuna di esse sottende differenti attitudini, immaginari corporei, sollecitati a emergere attraverso l’adesione a un comportamento danzante in cui si attualizzano utopie concrete avvicinando anatomie reali ad anatomie fantastiche in un esercizio sperimentale di libertà. Foucault conclude il suo Utopie ed Eterotopie dicendo che ci piace tanto fare l’amore perché nell’amore il corpo è qui: noi diciamo che ci piace tanto danzare perché quando danziamo il nostro corpo è qui, o per meglio dire, noi siamo qui.

            Il corpo archivia ciò che la danza disarchivia come quella virtù che ridefinisce corpi e relazioni: è in questa archeologia del presente che emergono le presenze.

            Gli stimoli sollecitano in chi attraversa l’ambiente, sperimentando le pratiche, un ricoreografare il desiderio inscrivendolo in un processo in cui la sospensione del giudizio è necessaria per conoscere qui e ora ciò che ancora non si sa, danzando e generando imprevisti e jamais vu. Più che di aspettativa, parlerei di Speranza, speranza di essere nuovi attraverso un’esplorazione silenziosa dell’inatteso in cui fioriscono nuovi tentativi, slanci, sguardi, mondovisioni a partire dalla condivisione di un costruttivismo impregnato di valori plastici, eidetici, cromatici, sonori, etici, politici. È attraverso accordi muscolari che trasformiamo “io” in “noi”, è  danzando  che in un disegno del piacere apriamo, dispieghiamo, condividiamo forme, forme di esistenza come forme di presente, forme di possibilità di un futuro immaginato insieme. In questo tempo svincolato dal potere si colloca l’autonomo agire dove umano e post-umano coesistono aderendo ad una politica della gioia. waggle dances.

            La danza, come la poesia, sfida il silenzio nel suo farsi scrittura che accarezza l’atmosfera. waggle dances

Il danzatore e il filosofo, credits Giovanni Impellizzieri.

Credo che filosofia e danza traccino un ambito comune di ricerca. Entrambe si chiedono, domandano, desiderano. Ed è proprio il desiderio a introdurre la comune dimensione corporea: entrambe non esistono senza i corpi che desiderano e che danzano. Non credo che la filosofia possa solo esprimersi a parole, del resto traduciamo λόγος, non solo come parola, discorso, ma anche come strumento del discorso, intelligenza. Il corpo è strumento del pensiero, la danza il suo discorso, un discorso che non necessita di parole. Pensare è parlare in silenzio, danzare è pensare in silenzio. Attraverso il fenomeno danzante si verifica un doppio scioglimento del pensiero nella carne e della carne nel pensiero, in questo divenire forma che la materia cangiante assume (chiamo forma la direzione della materia), la danza offre allo sguardo visioni, materializzazioni del pensiero. Se la filosofia è l’arte di formare, di inventare, di fabbricare concetti (Deleuze e Guattari), per analogia il corpo indica l’idea, il concetto, e il suo linguaggio è la danza, questo indica idee e crea concetti attraverso il movimento, allora la danza si fa filosofia. La mente sta al pensiero come il corpo al movimento. Ma il pensiero è esso stesso movimento che si emancipa e si rende manifesto, così come il movimento si emancipa, si stacca dal corpo talvolta manifestandosi in danza. Questo movimento in primis interno è il desiderio o conatus. Parafrasando Lyotard (Perché la filosofia è necessaria?) possiamo dire che la filosofia è necessaria perché è necessario il desiderio; la danza, che è iperfilosofia in quanto evidente materializzazione di concetti attraverso i corpi, è necessaria perché espressione del desiderio che si esprime attraverso le loro intenzioni, movimenti, direzioni, emozioni plastiche. Se il mondo si esprime attraverso eventi danzanti in cui accordi ritmici e muscolari fanno apparire, vibrare e sparire corpi, la fenomenologia diviene riflessione sulla danza. Ed ecco che il danzatore e il filosofo si mettono accanto per espandere il senso, farlo slittare, attraverso una erosione delle rive.

Emanuele: Da quali interrogativi e riflessioni partono gli operatori del settore per ridisegnare luoghi, tempi e spazi per ridefinire il concetto di residenza artistica? Come le linee drammaturgiche sono guidate dalle teorie filosofiche contemporanee?

Chiara Organtini: Il tema delle residenze incontra sguardi e istanze a cavallo di discipline: credo che i ritmi accelerati e le logiche produttive e accumulative del paradigma liberista siano alla base delle crepe del sistema del presente e informino desideri e bisogni di persone e artiste e artisti nel trovare alternative possibili. Le residenze in Lavanderia sono una risposta a questi desideri, uno spazio-tempo dilatato e dedicato alla ricerca, in cui far respirare la sperimentazione senza un approccio deterministico che spesso è imbuto alla possibilità creativa, un ventaglio in cui concentrarsi nel processo creativo tenendo allo stesso tempo l’attenzione al circostante, l’ascolto al contesto e alle persone con cui generare incontri. Non a caso c’è una postura sempre più obliqua delle ricerche che ospitiamo allo sconfinamento nello spazio esterno alla sala e tesa alle dinamiche collettive e collaborative.

Le residenze in Lavanderia assomigliano a un polmone: sono spazi di concentrazione in sala e intimità, in cui proteggere la vulnerabilità del processo in fieri, costantemente cadenzati da aperture allo spazio circostante, alle persone e energie che necessariamente informano lo stare. Waggle dances.

Si parla oggi, anche in reazione alla crisi del concetto di residenzialità su più fronti, di permanenze: momenti di presenza temporanei che tuttavia respirano pienamente la dimensione che abitano lasciando tracce, perché tutto è irrelato.

Nella linea drammaturgica, ma anche operativa, che abbiamo disegnato, la nozione di cura è infatti legata profondamente alla visione del pensiero eco-femminista, da Haraway a Maria Puig de la bellacasa volta a rivelare la tessitura profonda che connette tutte le forme del vivente. waggle dances

Una visione che non è solo poeticamente formulata, ma che ha la volontà politica di riequilibrare le asimmetrie nelle relazioni di potere del presente: da cui alcune delle scelte non solo tematiche, ma anche strategiche fatte con le residenze per dare spazio a voci non ancora nominate dalla narrazione dominante o volte a creare condizioni abilitanti per artisti e artisti precarizzati.
In questo continuo intreccio di riflessione e azione, di visione e politica, filosofia e arti performative sono tentacoli complementari di uno stesso corpo: le arti performative sono epifanie e pensieri incarnati e che nel proprio manifestarsi, nutrono e fanno slittare il pensiero filosofico stesso.

Una circolarità quindi di pensiero e azione non più gerarchizzata dal dualismo occidentale: in questa rotondità per me subentra poi un terzo elemento che è l’immaginazione che rende possibile per le arti performative agire alternative possibili e mondi forse non ancora pensabili.

Gaia Giovine Proietti

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