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In una collana come quella del Nuovo Lessico Critico, proposta dall’editore Castelvecchi e la cui funzione nel momento politico e culturale odierno è particolarmente importante, Prisca Amoroso fa apparire il volume dedicato a un tema cruciale come quello dell’ecologia: l’autrice da anni si dedica a questi temi e il libro più importante che ha pubblicato, Pensiero terrestre e spazio di gioco. L’orizzonte ecologico dell’esperienza a partire da Merleau-Ponty, Mimesis, Milano, 2019, consiste in una reinterpretazione della filosofia di Merleau-Ponty che mette al centro la questione della Terra: questo volume ne costituisce una continuazione, ma anche un approfondimento importante, con la focalizzazione tematica che effettua, in modo ancor più stringente, sul problema dell’ecologia. Ecologia è corredato anche da un’eccellente scelta antologica di classici sul tema, in cui ogni brano è introdotto da uno studioso esperto dell’autore, e da una post-fazione di Davide Silvioli dedicata all’Art-Ecology.

L’ecologia è uno dei temi oggi più dibattuti, ma su cui, a livello teorico, come pure nel dibattito sui mass media e, in generale, nell’opinione pubblica, la confusione è massima: per la vaghezza dei vari termini che sono convocati (ecologia, per l’appunto, ambientalismo, natura, per citare solo i primi che vengono in mente) e per l’incertezza della collocazione disciplinare dell’oggetto: la cosa più frequente è che l’ecologia sia qualificata come un problema nettamente scientifico, cosa che dovrebbe dissolvere tutte le questioni e dubbi in proposito, poiché le conferirebbe lo statuto di certezza delle scienze naturali; salvo poi constatare che questa certezza non c’è affatto, e che, al contrario, ci troviamo di fronte a un dibattito confuso e poco produttivo. Da questo punto di vista il volume di Amoroso fa una scelta molto chiara e feconda fin dall’inizio, delineando fin dalle prime pagine una netta differenza fra ambientalismo (che è questione giustamente di competenza prevalente degli scienziati) e ecologia, che appartiene al campo della filosofia. Per citare le sue parole: 

Quando usiamo la parola “ecologia” in un contesto filosofico, non dobbiamo limitarci a cercarne il referente nella branca disciplinare che chiamiamo “filosofia dell’ambiente”, né dobbiamo avere in mente esclusivamente temi come la catastrofe climatica o l’equilibrio tra ambiente e organismi. L’ecologia in senso filosofico ha ragioni e potenzialità che eccedono gli ambiti ora detti: essa si determina non soltanto in senso contenutistico, ma anche come una delle possibili chiavi di attraversamento del pensiero (p. 11). 

In altri termini, si tratta certo di pensare le sfide che ci vengono dai problemi ambientali che stiamo vivendo, ma, al di là di questo, si tratta di vedere come questo non sia che un sottoinsieme di un problema più vasto: come, a partire da questa problematica, siamo indotti a trasformare l’idea stessa di pensiero, di filosofia? Che significa pensare ecologicamente? (p. 11). Così impostato, il discorso si apre non solo alla centralità della filosofia, ma anche al ruolo essenziale di altre discipline, come la letteratura e la mitologia, che non a caso hanno un vasto spazio in questo libro. 

Intanto, conviene soffermarsi sulla definizione che, da questa impostazione, Amoroso trae di ecologia: se, dal punto di vista dell’oggetto, l’ecologia ha come contenuto le interrelazioni degli organismi con l’ambiente, dal punto di vista del soggetto, cioè di un pensiero che si fa investire nella sua struttura stessa dall’ecologia, si tratterà di andar oltre questo puro relazionismo, pur continuando a mantenere centrale il concetto di relazione; dò di nuovo la parola all’autrice:

Questa seconda definizione manterrà il privilegio, già accordato dalla prima, all’idea di interrelazione, e anche […] coinvolgerà l’idea di un insieme di interrelazioni tra molti centri di esperienza, che possiamo chiamare, vincendo gli eccessi di prudenza, “soggetti” o “soggettività”.

Si tratta, cioè, di concepire la relazione come costitutiva degli stessi termini che essa mette in relazione, ma allo stesso tempo di concepire questi termini non come banalmente relativi, bensì come “centri”. Ecologia è un gioco di centri che coesistono (p. 11-12).

Duncan, George John C., Pre-Adamite Man; or the story of our old planet, etc (Flickr)

Il carattere di alta divulgazione che ha un testo pensato come una voce di un lessico critico non deve far sfuggire che qui l’autrice sta affondando l’analisi in una questione centrale nella filosofia contemporanea: il sottolineare come, per così dire dall’interno e senza metterne in discussione la relativa indiscutibilità, il relazionismo va limitato, che cioè c’è un punto in cui il gioco delle relazioni e dei rinvii si ferma, significa che si riapre il discorso all’ontologia: i vari termini messi in relazione mantengono una loro identità come centri; pensare ecologicamente significa non pensare semplicemente che tutto rinvia a tutto (secondo un modello che ricorda sia quello strutturalistico che quello, a esso legato, del decostruzionismo), ma sottolineare che è fondamentale che si mantenga una differenza qualitativa fra questi termini. Come già è esplicito nelle affermazioni di Amoroso che ho or ora citato, sono chiare le conseguenze che discendono da questa impostazione per una visione sia teoretica che pratica dell’ecologia: essa implica che il momento del locale, del differente, dell’infinitamente e irriducibilmente individuale – in un quadro in cui aspetti naturali e aspetti culturali sono altrettanto presenti – appartiene al nucleo più profondo e essenziale di un pensare ecologico. Su questo Amoroso ritorna varie volte, e specie nelle conclusioni, ma mi pare importante sottolineare già qui come questa idea di un’ontologia come relazione di centri che mantengono la loro radicale differenza abbia un nesso essenziale con il ruolo che viene a rivestire, in una filosofia ecologica, la Terra; un nesso essenziale, se vogliamo, con la coloritura materialistica (o, almeno, non immaterialistica) che viene qui ad assumere tutto il discorso: poiché i momenti relazionali, ideali qui non assorbono e cancellano l’identità di ciò che è basso, elementare, locale, ma sono un’espressione rispettosa della loro alterità o residualità o irriducibilità.

Nei capitoli che seguono, che riescono a delineare con efficacia sintetica gli aspetti fondamentali della problematica ecologica dal punto di vista precisato dall’autrice, diversi sono i punti notevoli, e che costituiscono a volte delle piacevoli sorprese per il lettore. Quasi in apertura, ad esempio, come rappresentante e precursore di un pensiero ecologico, troviamo Blaise Pascal, che la tradizione e l’abitudine hanno confinato in un filone interiorizzante e spiritualistico; un filone, cioè, che tutto farebbe pensare come assolutamente lontano da preoccupazioni per il terrestre e il materiale. Eppure, a ragione Amoroso fa osservare come, in un XVII secolo che è una straordinaria fucina filosofica e da cui, per l’ecologia filosofica, viene qui convocato anche Spinoza, la distinzione pascaliana fra spirito di geometria e spirito di finezza – presa di distanza dal suo grande predecessore Cartesio – rappresenti una mossa che a tutt’oggi è per noi valida e attuale: un pensare ecologico è infatti quello che rifiuta di ridurre tutto alle istanze della intellettualizzazione, della matematizzazione astratta, della quantificazione; e che riserva un pari rilievo a un momento intuitivo, che non va inteso nei termini di un qualche irrazionalismo, ma come rivendicazione, di nuovo, della differenza, della varietà del mondo, dell’infinito numero di cose che esso racchiude. Per chi conosce la cultura – non solo scientifica, ma anche religiosa – del Seicento non è certo una sorpresa trovare in Pascal questa sottolineatura: egli appartenne al secolo che si stupì per le meraviglie della natura e che seppe apprezzare Dio per la sua capacità di esprimere la sua ricchezza e infinità negli aspetti più minuti, più semplici ed elementari della natura (e ciò culminerà, in un certo senso, in Leibniz, altro grande esponente di un pensiero ecologico ante litteram). Ma, per tornare a Pascal, val la pena di riportarne il passaggio citato da Amoroso e il commento che ne fa:

«La diversità è tanto ampia quanto tutti i toni di voce, tutti i passi, tutti i colpi di tosse, tutte le soffiate di naso, tutti gli starnuti… Tra i frutti si distinguono le uve, e tra queste i moscati, e poi Condrieu, e poi Desargues, e poi il tale innesto. È tutto? Ha mai prodotto due grappoli identici? E un grappolo ha due acini uguali?» (Pascal, Pensieri, tr. it. Bausola, fr. 479).

Le osservazioni di Pascal costituiscono una grande lezione, proprio perché il filosofo insegna che la conoscenza presenta dei residui che oppongono resistenza all’analisi, e lo fa senza mai cedere all’irrazionalismo (p. 16).

Dove la sottolineatura del tema del residuo, anche in base alle considerazioni filosofiche più generali fatte sopra, è di indubbia importanza; così come è istruttivo il parallelismo – anch’esso sorprendente – fra queste posizioni dell’autore dei Pensieri e un celebre passaggio de Il pensiero selvaggio di Lévi-Strauss dove alla astratta scienza dell’ingegnere moderno viene contrapposta la scienza concreta che è rappresentata dal bricolage praticato dalle popolazioni premoderne (p. 16-17). Tutto questo rende più che giustificata l’affermazione conclusiva sulla centralità di queste posizioni pascaliane per un pensiero ecologico attuale:

Queste righe di Pascal potrebbero essere tratte da un manifesto del pensiero ecologico. Pensare ecologicamente significa tenere insieme spirito di geometria e spirito di finezza: non rinunciare alla vocazione razionale della filosofia e al contempo non accettare di perdere, nel pensiero, ciò che ad essa arriva attraverso l’intuizione, la sensibilità, la frequentazione quotidiana del mondo (p. 18).

In questo luogo vediamo comparire anche la connessione fra ecologia e valorizzazione della vita quotidiana che è un altro punto importante del discorso di Amoroso.

Nel seguito, campeggiano due temi: 1) quello della rivoluzione scientifica del XVII secolo (anche questa centralità ricorrente del XVII secolo nel discorso di Amoroso è fatto notevole), che è simboleggiato dal ricorso molto ampio alla figura di Bacone; 2) quello che definirei il fantasma di Adorno e Horkheimer, che accompagna costantemente le analisi sulla modernità che vengono condotte (la Dialettica dell’Illuminismo è esplicitamente citata, ma la presenza della sua impostazione è molto maggiore di quanto non indichino i rinvii effettivi). È interessante che questi due poli – quello della scienza, del baconismo e delle sue utopie, ecc. – e quello della sua critica, della messa in evidenza dei risvolti di barbarie che ha comportato la rivoluzione scientifica da parte dei francofortesi – sono tenuti in voluto equilibrio: al lettore (anche la scelta antologica che segue il testo di Amoroso ha un’impostazione analoga) non arriva nessun messaggio di critica unilaterale della scienza in quanto tale (così come del processo di modernizzazione in quanto tale): conformemente alla lezione più profonda del testo di Adorno e Horkheimer, quello che emerge è il fatto che scienza e modernizzazione sono un Giano bifronte, che sono segnate da una essenziale ambivalenza; e fa parte della definizione profonda di un pensiero ecologico collocarsi in questa vera e propria struttura antinomica: non rifiutarla, ma, in un certo senso, farsene attraversare.

Wendlandt, O. J.., Living Statuary; how it may be successfully produced by amateurs. (Flickr)

Riguardo alla centralità, nel testo, della letteratura e della mitologia (che sono ovviamente connesse), menzionerò solo, come parti che sono strategiche non meno di quelle più specificamente filosofiche, il pezzo su Robinson Crusoe, giustamente individuato come un mito sommamente esemplificativo del rapporto occidentale con la natura, della riduzione che gli occidentali fanno di quest’ultima a utile e strumentalità; e l’ampio capitolo su Prometeo, dove sono esaminate alcune delle numerosissime varianti di questa figura, fra cui il Frankenstein di Mary Shelley. È questa l’occasione, per l’autrice, per sottolineare i nessi dell’ecologia, oltre che con la questione femminile, anche con quella della condizione e dello statuto dell’animale: in un interessante paragrafo intitolato L’animale esce di scena, di nuovo sotto l’ispirazione della Dialettica dell’illuminismo, viene sottolineato come modernità e illuminismo significhino la spoliazione della corporeità degli animali: l’allevamento intensivo è il luogo di visibilità del carattere della cultura moderna come «cancellazione del mistero, dello spessore dei significati in favore di un sapere ‘sterilizzato’» (p. 42). 

Quella del rapporto dell’ecologia con l’animalismo è una questione che è insieme filosofica e politica ed è importante – nel momento in cui la questione ecologica viene sterilizzata in luoghi comuni che la presentano unilateralmente come il più innocuo dei greenwashing – che sia messo in evidenza questo risvolto, che impone veramente un ripensamento radicale della società industriale e del modello occidentale della relazione con la natura.

Un altro profilo importante del testo, dal punto di vista filosofico, è quello più propriamente fenomenologico: se la corporeità e il terrestre sono la dimensione fondamentale per costruire un pensiero ecologico, non stupisce che ad essere convocato sia lo Husserl del famoso testo sul Rovesciamento della dottrina copernicana… Il filosofo che, di contro all’intellettualismo che vorrebbe sostituire il copernicanesimo al naturale tolemaismo del nostro corpo, rivendica l’ineludibilità della nostra percezione quotidiana, di una visione centrata nel nostro corpo e nella terra: una vista dal basso e dall’interno di contro a una prospettiva kosmotheoros, disincarnata e dall’alto. Ed è interessante anche come Amoroso documenti come alla cartografia astratta, che ha accompagnato la conquista dello spazio da parte dell’umanità occidentale, se ne stia sostituendo un’altra, che cerca di restituire tutta la concretezza e la densità della materia terrestre: il riferimento è a Terra forma, lavoro di Frédérique Aït-Touati, Alexandra Arènes e Axelle Grégoire, che hanno elaborato sette diversi tipi di carte tentando di ripopolarle, cioè «disegnando, non il suolo senza i viventi, ma i viventi nel suolo, i viventi in quanto parti costitutive del suolo, le loro tracce, i loro corpi» (p. 28): sette modelli che non si escludono, ma si integrano, e che, al “punto di vista”, prospettico e geometrizzante, che si è instaurato almeno a partire dal nostro Rinascimento, contrappongono, riprendendo uno spunto di Emanuele Coccia, dei “punti di vita” (p. 29).

Nel paragrafo che chiude il saggio, intitolato Tentare di vivere, Amoroso sintetizza tutti i temi che in precedenza ho messo in rilievo prendendo spunto dal film di animazione WALL•E, il cui protagonista è un robottino che si aggira su una Terra ormai abbandonata dagli uomini e ridotta a un’immensa discarica, in cui i resti più significativi sono le carcasse di macchinari del periodo dei Trenta Gloriosi. Alla distruzione causata dal modello di industrializzazione occidentale, il secondo tempo del film contrappone uno sviluppo che prenderà le mosse da un germoglio e seguirà il ritmo, assolutamente rispettoso della Terra, di una crescita vegetale. Ma, fa notare Amoroso, 

L’aspetto più profondamente ecologico del film, più incisivo della stessa narrazione del processo di risanamento della Terra e dell’esplicito monito a calibrare il nostro impatto su di essa, è la restituzione della vita materiale alla sua centralità affettiva. È la coscienza di questa affettività che connota il nostro rapporto con le cose – anche e soprattutto nella sua dimensione quotidiana – a rivelarci la Terra in quanto casa e a permetterci di ritrovare la fede in «questo mondo» (p. 84).

Centralità affettiva della vita materiale, rivalorizzazione della semplice e non finalizzata vita quotidiana – due temi che, con termini più tecnicamente filosofici, possono definirsi come la riscoperta della fede percettiva come risposta alla falsa alternativa dello scetticismo e del razionalismo astratto: sono questi i risvolti fondamentali di un’ecologia definita, fin dalle prime pagine, come coesistenza di centri eterogenei la cui relazione non ne cancella la differenza. E giustamente Amoroso conclude il suo lavoro richiamando, come espressione politica attuale di questo modello filosofico, le lotte dei Kichwa, dei Lenca e dei Mapuchi in America Latina, in cui il pensare locale si mostra azione globale. L’agile, e insieme profonda, sintesi teoretica del saggio approda dunque anche a indicazioni pratiche, il che dimostra tutta l’attualità del lavoro sulla tradizione filosofica, scientifica, letteraria che è stato mobilitato.

Manlio Iofrida

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