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«È all’interno del lavoro che dobbiamo riscoprire le condizioni della nostra emancipazione. Non abbiamo scelta: […] da ciò che riusciremo a mettere in pratica nei luoghi di lavoro dipende in larga misura il nostro futuro politico»

Si può scegliere. Soffrire al lavoro non è una fatalità (Moretti & Vitali 2021) è il terzo testo di Christophe Dejours che compare in Italia negli ultimi anni. Traduzione di Le choix. Souffrir au travail n’est pas une fatalité pubblicato nel 2015 per i tipi di Bayard, segue Lavoro vivo (Mimesis 2020), una raccolta di pagine tratte dal secondo volume di Travail vivant (Payot 2021) che offrono un sunto della sua concezione del lavoro, e L’ingranaggio siamo noi. Lavoro e banalizzazione del male (Mimesis 2021), nuova edizione di Souffrance en France (Le seuil 2007). Con questo volume si amplia l’orizzonte disponibile ai lettori italiani sull’elaborazione teorica di Christophe Dejours, psicoanalista e psichiatra, fondatore della cosiddetta “psicodinamica del lavoro” e in Francia figura di riferimento per la psicologia del lavoro, la Teoria critica e la filosofia sociale.

lavoro

Due sezioni articolano Si può scegliere: la prima critica e diagnostica, la seconda costruttiva e normativa. Vi si trovano tre resoconti di indagini empiriche condotte da I. Gernet, F. Spira-Chekroun, D. Rolo, S. Le Lay, ricercatrici e ricercatori che collaborano con Dejours, o da lui stesso. Queste indagini, che riguardano «situazioni di lavoro» specifiche (un ospedale, un call center e un’impresa di pianificazione territoriale) e che sono condotte secondo la metodologia propria alla psicodinamica del lavoro (cfr. Dejours 2015), hanno valore esemplificativo, e Dejours si propone di farne emergere quegli aspetti che interessano anche quanto avviene in altri contesti e ambiti lavorativi, poiché «il lavoro di alcuni trasforma la situazione di tutti, cioè coinvolge l’evoluzione della nostra società intera e del nostro destino comune» (p. 24).

La cooperazione è il fulcro de Si può scegliere. Negli ultimi anni, tale tema è centrale per la Teoria critica francese, in quanto elemento chiave per l’elaborazione di un «concetto critico di lavoro» (cfr. Dejours et al. 2018). In vista di tale progetto, Dejours svolge qui un compito preliminare: prosegue l’elaborazione teorica della cooperazione avviata con Travail vivant, fornendo al contempo l’indispensabile «conoscenza clinica» (p. 151) sulla cooperazione e su quel che ne provoca la compromissione.

Per fornire tecnicamente la definizione della cooperazione, occorre prendere le mosse da uno dei presupposti della concezione del lavoro di Dejours, ovvero lo scarto fondamentale tra «lavoro prescritto» e «lavoro concreto». Per realizzare qualsivoglia mansione non è sufficiente seguire alla lettera le istruzioni; si incorre sempre in imprevisti e difficoltà che queste ultime non contemplano. Di qui la definizione di «lavoro vivo»: il lavoratore introduce, escogita, inventa un quid, frutto del suo zelo e del suo ingegno, per riuscire a svolgere bene il proprio compito, ma ciò non è né conforme né previsto dal lavoro prescritto. È la lezione dell’ergonomia francese: «se i lavoratori si attenessero strettamente alle prescrizioni […], la produzione sarebbe inevitabilmente bloccata» (p. 12). Ciò vale tanto a livello individuale quanto a livello collettivo.

Sotto tale aspetto, la «coordinazione prescritta» si traduce nella cooperazione, che è «l’intelligenza plurale ovvero lo zelo collettivo» (p. 14). Essa si basa, infatti, sulla «costruzione di regole che permettono di inquadrare e armonizzare le infrazioni che ciascuno commette» (p. 84). Si tratta di una regolazione resa possibile dal volontario coinvolgimento dei lavoratori nei cosiddetti «spazi di deliberazione», cioè in quei momenti, sia formali sia informali, dell’attività lavorativa «dedicati al confronto tra modi di operare degli uni e degli altri, allo scopo di operare insieme accordi e regole di lavoro che saranno messe in opera successivamente, e rispettate da tutti i membri dell’équipe» (p. 19). La cooperazione, in quanto autoregolazione da parte dei lavoratori necessaria perché il lavoro sia portato a termine con successo, è estremamente utile dal punto di vista della produttività. La sua portata però eccede la mera realizzazione del compito.

La qualità della cooperazione dipende dall’organizzazione del lavoro. Le indagini empiriche presentate in Si può scegliere permettono di avvertirne la fragilità. La cooperazione, infatti, «non è ‘‘naturale’’: è il risultato di una sottile costruzione, oltretutto precaria, che deve continuamente essere ricalibrata» (p. 125). Da questo punto di vista, l’introduzione dei dispositivi neoliberali di controllo del lavoro è estremamente nefasta: strumenti come la «valutazione individualizzata delle prestazioni» e la «standardizzazione dei metodi operativi» non tengono conto del suddetto scarto tra lavoro prescritto e lavoro concreto, non riconoscono, anzi osteggiano, le astuzie dei lavoratori e, pregiudicando i rapporti sociali tra i dipendenti della stessa azienda, distruggono gli spazi di deliberazione. Secondo l’analisi di Dejours, la manomissione della cooperazione avviene a discapito della produttività, confermando che non è quest’ultima l’obiettivo prioritario di un’organizzazione del lavoro, bensì il dominio.

A riprova di ciò, tali dispositivi sono deleteri anche per la salute dei lavoratori poiché provocano il disfacimento degli spazi di deliberazione. Qui, infatti, i lavoratori che condividono i medesimi compiti danno forma a quelle che Dejours chiama le «strategie collettive di difesa» (cfr. Molinier 2007), che sono argini costruiti di concerto per far fronte alla sofferenza che inevitabilmente esperiscono lavorando. A causa della sfiducia reciproca, dell’ostilità e della competizione, viziata oltretutto dall’impossibilità di riconoscere l’effettivo lavoro svolto da ciascuno, i lavoratori non possono più contare su tali formazioni collettive, bensì sono sempre più soli di fronte alla sofferenza. Tale condizione ne favorisce lo sviluppo patologico: lo attestano le patologie da sovraccarico, ma anche l’iperattivismo, sino ad arrivare ai suicidi sul luogo di lavoro, vera peculiarità della nuova organizzazione del lavoro introdotta dagli anni Ottanta (Dejours, Bègue 2009).

Dunque, la «conoscenza clinica» che offre Si può scegliere a proposito della cooperazione ne mostra la funzione preventiva rispetto all’insorgere di forme patologiche di sofferenza. D’altro lato, permette di descrivere come «patogena» l’organizzazione del lavoro manageriale. Se è vero che non si può lavorare senza soffrire, al contempo la sofferenza può essere trasformata in piacere e frenata; i dispositivi neoliberali favoriscono invece gli esiti deleteri del lavoro. Le pagine più ficcanti di Si può scegliere sono quelle in cui Dejours mette in luce la micidiale alchimia tra «le modalità psichiche di adattamento alla sofferenza» (p. 75) e i metodi di organizzazione del lavoro neoliberali: questi ultimi distruggono la solidarietà tra i salariati e provocano sofferenza; nondimeno, i lavoratori «reggono» e continuano a svolgere le loro mansioni, in condizioni peggiori e a prezzo di una salute psicofisica più fragile, che essi riescono a conservare solo grazie a difese psicologiche che li isolano, rendendo ancora più difficile formare un’opposizione produttiva di alternative.

Di questa alchimia si nutre il dominio: «il sistema, che oggi genera una sofferenza finora inedita nel mondo del lavoro, funziona grazie al nostro zelo e all’intelligenza che noi tutti impieghiamo per farlo persistere» (p. 13). Dejours sottolinea, però, che vale anche l’inverso: «se il sistema funziona grazie al nostro zelo, di cui non può assolutamente fare a meno, vuol dire che non è un sistema inesorabile. Il suo funzionamento dipende dal nostro consenso a servirlo» (p. 13). Frasi come queste sollecitano le interpretazioni «laboetiane» (Cfr. Emmenegger Gallino, Gorgone 2019) dei testi di Dejours e segnalano l’intento emancipatore della sua analisi, che non si ferma alle constatazioni diagnostiche.

In vista di un’organizzazione del lavoro diversa da quella neoliberale, la cooperazione è ancora il cardine su cui si incentrano le riflessioni di Dejours. In tal senso vanno le pagine della seconda sezione di Si può scegliere, in cui egli descrive gli otto compiti dei «nuovi manager» e traccia la proposta di un «modello di creazione del valore». Con questi capitoli, Dejours intende rivolgersi ai lavoratori e ai manager delle piccole e medie imprese che «mettono già in questione la finanziarizzazione» (p. 134) per fornire loro indicazioni per un’organizzazione del lavoro che abbia al proprio centro il lavoro vivo e la cooperazione. L’obiettivo, infatti, è rendere il lavoro, nei suoi spazi di deliberazione, un luogo di «pratica dell’esercizio democratico» (p. 152), perché da quel che avviene nell’ambito lavorativo dipendono le sorti politiche della società.

Dejours avverte però che il «rafforzamento dell’esercizio democratico all’interno di un’impresa» (p. 153) non produce automaticamente ricadute positive per la società. A suo avviso, perché ciò avvenga occorre una mediazione, che egli individua nell’elaborazione della cosiddetta «dottrina d’impresa», con cui i dirigenti della stessa riconoscono esplicitamente che le attività che essi organizzano non sono solo produttive ma hanno ricadute più ampie sulla società e sull’ambiente. Se questa soluzione non sembra molto stringente, nondimeno la proposta di Dejours resta una valida e invitante prospettiva che concepisce il lavoro come luogo di cooperazione e quindi di democratizzazione della società. Anzi, assunta l’organizzazione del lavoro quale “problema politico a pieno titolo” (p. 18), è un invito a indagare la possibilità, i limiti e la portata, di un’emancipazione tramite il lavoro.

di Armando Arata


Bibliografia

Dejours, C., Bègue, F. (2009). Suicide et travail: que faire?,Presses Universitaires de France, Paris.

Dejours, C. (2015). Travail: usure mentale, Bayard, Paris.

Dejours, C., Deranty, J-P., Renault, E., Smith, N. H. (2018). The Return of Work in Critical Theory. Self, Society, Politics, Columbia University Press, New York.

Emmenegger, C. ,Gallino, F., Gorgone, D. (2019). Entre complicité et souffrance. Penser la servitude volontaire dans le monde du travail, in “Travailler. Revue internationale de Psychopathologie et Psychodynamique du Travail’’, 42, 2, pp. 103-118.

Molinier, P. (2007). Les enjeux psychiques du travail. Introduction à la psychodynamique du travail, Payot & Rivages, Paris.


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