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All’interno dell’amplissimo panorama degli studi dedicati alla fenomenologia husserliana, il testo di Dominique Pradelle Intuition et idéalité. Phénoménologie des objets mathématiques (Paris, Puf, 2020, pp. 550) si presenta diretto all’interrogazione di uno dei suoi punti capitali: la dottrina dell’intuizione in riferimento alla sua applicazione al campo degli oggetti ideali e in particolare alle idealità matematiche. Alla base di questa analisi vi sono, da un lato, delle ragioni interne volte al chiarimento di questo aspetto fondamentale della fenomenologia e, dall’altro, l’esame di una serie di questioni che provengono dal campo della filosofia della matematica. Com’è noto, la possibilità di individuare un’unità nel pensiero husserliano rispetto alle questioni logico-matematiche che ne attraversano tutta l’opera è lungi dal darsi in maniera evidente. In questo testo di D. Pradelle, una delle nozioni centrali di tutta la filosofia fenomenologica viene considerata alla luce di alcuni fra i principali casi concreti che hanno costellato la storia della logica e della filosofia della matematica dell’inizio del XX secolo. L’intento è di verificare la dottrina husserliana dell’intuizione categoriale in riferimento alle teorie matematiche e di interrogare quindi la pertinenza del metodo fenomenologico rispetto al particolare campo costituito dalle idealità matematiche. Da qui deriva il duplice contributo che questo testo è in grado di fornire, innanzitutto sviluppando e correggendo una serie di tesi husserliane tramite un’analisi estremamente accurata dello sviluppo del pensiero di Husserl e del rapporto con i suoi principali interlocutori in campo logico e matematico e, in secondo luogo, avviandosi lungo l’itinerario originale di un chiarimento fenomenologico dei modi di evidenza propri delle oggettualità matematiche, situandosi così all’interno di una filosofia della matematica di ispirazione husserliana che va ad aggiungersi alle altre voci presenti nel dibattito attuale. Si tratta quindi di un testo che fa un uso estremamente approfondito dell’intero apparato tecnico messo a disposizione dai testi husserliani per sviluppare un’analisi fenomenologica sistematica di alcune tappe fondamentali del pensiero matematico recente, sostenuto anche dall’apporto fondamentale delle riflessioni di Jean Cavaillès, Paul Bernays e Jean-Toussaint Desanti (fra i riferimenti principali).

Queste analisi mostrano, dal punto di vista della concezione generale dell’esercizio fenomenologico, la pertinenza e la fecondità di una fenomenologia che metta in primo piano il suo carattere regionale e sottolineano la necessità di attenersi strettamente al campo di oggetti che vengono di volta in volta messi a tema. Fra le tesi sostenute, merita senz’altro di essere sottolineata l’enfasi con la quale si insiste sulla prevalenza dell’orientamento noematico nelle analisi fenomenologiche, vale a dire nella considerazione, all’interno della sfera propriamente categoriale, del polo oggettuale come l’autentico filo conduttore della correlazione noetico-noematica. La nozione di evidenza viene in tal modo definita da Husserl a partire dalla considerazione del versante noematico, che significa far corrispondere a ciascuna regione oggettuale una specie fondamentale di coscienza originariamente offerente e un tipo fondamentale di evidenza originaria.[1] «Ritroviamo qui il principio anti-copernicano secondo il quale è l’essenza dell’oggetto che, per una legalità eidetica o in virtù di un a priori della correlazione, prescrive un proprio modo di datità a una coscienza possibile, quel che ne sia lo statuto ontologico» (p. 508; la traduzione delle citazioni tratte dal testo è opera nostra).

La specificità che determina lo statuto degli oggetti ideali della matematica comporta una messa in questione del loro modo di evidenza, che conduce a una necessaria dinamicizzazione della nozione di intuizione con cui possiamo averne accesso. Su questa linea si muove l’interrogazione della dottrina husserliana dell’intuizione categoriale, che viene in qualche modo messa alla prova di alcuni esempi cardine del pensiero matematico dell’inizio del XX secolo che hanno costellato il dibattito sui fondamenti della matematica (l’antinomia di Richard, la metamatematica di Hilbert, i teoremi di Gödel e di Gentzen, il teorema di Löwenheim-Skolem) e dei quali viene sviluppato di volta in volta un rigoroso studio fenomenologico.

Il punto di partenza è dato dalla dottrina husserliana dell’intuizione presentata al noto § 3 di Ideen I. In questo luogo Husserl stabilisce un’estensione della nozione di intuizione affermando che essa non riguarda soltanto gli oggetti individuali ma che esiste, al contrario, anche un’intuizione di essenze o oggetti generali, per caratterizzare i quali è necessaria una correlativa estensione della nozione di oggetto, che viene così compreso come “oggettualità” (Gegenständlichkeit). Questa tesi, che stabilisce una correlazione fondamentale tra oggettualità e modo di datità intuitivo, è sorretta da un’interpretazione univoca del concetto di intuizione e deve essere necessariamente messa in rapporto con un’altra caratterizzazione presente nei testi husserliani che sostiene al contrario una pluralità delle essenze cui è correlativa una pluralità degli atti categoriali a esse riferite. Più precisamente, al § 60 della Sesta ricerca logica Husserl espone una tripartizione della nozione di concetto che si pluralizza in concetti sensibili, concetti misti e concetti puramente categoriali.[2] A questa tripartizione della nozione di concetto è associata una tipologia degli atti noetici che vi si riferiscono: intuizioni sensibili, intuizioni di essenze miste e intuizioni categoriali. La posizione di essenze come oggetti generali e di un’intuizione di essenze che vi si riferisca pone immediatamente la questione seguente: qual è dunque il tipo di evidenza in cui ci sono dati tali oggetti generali? Esiste per gli oggetti generali qualcosa di equivalente alla datità di cui godono le essenze sensibili e che rende possibile il loro darsi nell’intuizione evidente? (p. 17). In secondo luogo, qual è la consistenza ontologica degli oggetti generali, in cui sono incluse le idealità logiche e matematiche: vi è qualcosa che possiede l’autentico tenore di oggetto e che non si riduca al semplice significato? In altri termini, vi è qualcosa che trascende il piano dei significati e che viene preso di mira attraverso il senso oggettuale, anche quando ci riferiamo alle idealità logico-matematiche, oppure esse si risolvono in significati privi di denotazione?

Per interrogare l’efficacia della dottrina dell’intuizione categoriale, è necessario vedere nel dettaglio in cosa consista il modo di datità proprio di quello che Husserl caratterizza come il terzo tipo di essenze corrispondente ai concetti puramente categoriali, cioè al campo a cui appartengono le idealità matematiche. Sul piano dell’interpretazione della posizione husserliana, si pone dapprima la questione di misurare la compatibilità tra la tesi dell’univocità del concetto di intuizione presentata come principio di tutti i principi al § 24  Ideen I con la pluralizzazione del concetto di intuizione che viene esposta per esempio al §60 della Sesta ricerca. Il paradigma dell’esposizione della dottrina husserliana dell’intuizione è offerto dall’intuizione sensibile. Questo comporta tre tratti caratteristici: 1) l’intuizione è concepita come una forma di rapporto immediato all’oggetto; 2) l’intuizione presenta una datità incarnata (leibhaftig) dell’oggetto; 3) l’intuizione possiede la struttura della “apparizione di” (Erscheinung von). La domanda da cui parte la costruzione del testo di D. Pradelle è quindi, in fondo, la seguente: questi tratti caratteristici dell’eidosdell’intuizione sono validi anche nel caso dell’intuizione categoriale degli oggetti matematici?

Come abbiamo già evidenziato, il principio seguito in questa analisi della specificità dell’intuizione categoriale degli oggetti matematici consiste nel sottolineare la necessità di un’adesione rigorosa ai campi oggettuali la quale conferma un’esigenza più generale del metodo fenomenologico, che conduce ad affermare un primato della fenomenologia regionale (pp. 465-466). In questa regola metodologica si esprime un fondamentale principio anti-copernicano, che stabilisce che è «l’essenza formale degli oggetti» a imporre un certo modo di datità intuitivo che si rivela quindi determinante per le strutture della soggettività trascendentale: «In altri termini, esiste un principio generale secondo il quale ogni tipo di oggetto impone alla coscienza una struttura regolatrice: lo stile generale dei suoi modi di datità, le vie tipiche secondo le quali può realizzarsi e i limiti che non può oltrepassare: si tratta qui di un principio di pluralizzazione dei modi d’evidenza o di regionalizzazione delle strutture noetico-noematiche» (p. 21).[3] Questa imposta prossimità ai campi oggettuali presi in considerazione è poi legata a una problematizzazione della nozione di oggetto nel caso specifico degli oggetti categoriali. In base a come Husserl pone la questione è possibile dubitare legittimamente del fatto che ci siano degli oggetti categoriali che siano le autentiche realizzazioni (denotazioni) dei significati ideali. Dal momento che, come gli oggetti categoriali sono legati da un rapporto di fondazione (Fundierung) agli oggetti della percezione sensibile, così lo sono i corrispondenti atti intenzionali (vale a dire, le intuizioni categoriali si fondano sugli atti della percezione sensibile), la questione che si pone è la seguente: «Tali intuizioni categoriali meritano veramente il nome di intuizioni? Sono veramente donatrici di oggetti categoriali, e si dà qualcosa di simile a tali oggetti categoriali?» (p.23). Appare inoltre immediatamente evidente come rispondere alla domanda sullo statuto ontologico degli oggetti categoriali che appartengono al campo della matematica costituisca una questione rilevante anche al di fuori del dibattito strettamente fenomenologico e per il quale il pensiero husserliano può senz’altro offrire degli strumenti concettuali raffinati. In particolare, esso permette di formulare delle obiezioni contro le posizioni riduttiviste, strumentaliste e formaliste che finiscono per negare che la matematica abbia a che fare con degli oggetti autentici.

Seguendo la via aperta dall’idea di una necessità di una pluralizzazione dei modi di evidenza in riferimento ai diversi campi oggettuali, il compito in cui si impegna questo testo consiste quindi in un’elucidazione delle strutture concrete dell’intuizione categoriale (p. 26). L’esame del modo di evidenza proprio degli oggetti formali conduce ad affermare la nozione fondamentale di riempimento categoriale mediato come necessaria riformulazione della dottrina dell’intuizione categoriale: «Il risultato centrale di questo lavoro ci sembra consistere nell’abbandono della nozione di intuizione categoriale in favore della sola nozione di riempimento categoriale, che deriva dall’abbandono del carattere di intuizione donatrice nel contesto degli oggetti categoriali: non esiste una datità (donation) immediata e senza resto delle idealità matematiche» (p. 469). In questo quadro, la dimostrazione è vista come un atto riempiente che determina un’evidenza mediata in riferimento agli oggetti formali. Il riempimento non avviene per esibizione ma è di natura puramente signitivo-discorsiva e consiste essenzialmente in un procedimento logico-matematico di validazione. «Poiché non esiste un’intuizione immediatamente e originariamente donatrice degli oggetti categoriali numero cardinale, numero reale, insieme, etc., esiste al contrario un insieme di procedure di attestazione, di validazione e di analisi concettuale dei significati categoriali di queste nozioni; si sostituisce così al concetto di intuizione categoriale donatrice di un oggetto formale, la nozione di riempimento categoriale come procedimento di validazione» (p. 470).

La messa in questione di un modo di datità immediato per quanto riguarda gli oggetti categoriali determina allora una generale deontologizzazione della nozione di oggetto. Questo vuol dire che, rispetto all’oggetto concepito come un’unità ferma e stabile, la nozione di oggettualità categoriale porta con sé l’idea di una costruzione progressiva che avviene attraverso una molteplicità di atti di predicazione fondati ogni volta sulla dimostrazione. In tal modo, l’intuizione sensibile cessa di fornire il filo conduttore analogico per la comprensione del riempimento categoriale. Una simile idea del riempimento categoriale come processo indefinito di teorizzazione (p. 444) possiede quindi una struttura infinitista che mette radicalmente in questione la possibilità di una datità incarnata dell’oggetto e comporta quindi una desostanzializzazione della nozione stessa di oggetto. Legando queste considerazioni alla posizione di J.-T. Desanti, viene sottolineato chiaramente come l’oggetto non sia affatto «un nucleo sostanziale che si offre in un atto di intuizione semplice, bensì il polo tematico di un cantiere di teorizzazione continua» (ibid.). La nozione di oggetto va compresa alla luce della storicità fondamentale che caratterizza l’esistenza anche nel caso delle idealità: «L’oggettualità possiede quindi un modo d’esistenza storico, correlativo alla progressività degli atti di teorizzazione» (p. 445).

Da ciò deriva anche una conseguenza fondamentale per la concezione generale della soggettività trascendentale. Ammesso che il principio del riempimento categoriale consiste nella relatività ai campi di oggetti e a una certa situazione teorica, la soggettività matematica si definisce come l’interiorizzazione di una serie di leggi immanenti ad un certo dominio di idealità. In tal modo, da un lato la coscienza matematica viene sottratta a qualsiasi esigenza di effettuabilità reale (come viene mostrato discutendo l’esempio dell’assioma di Zermelo e le sue critiche intuizioniste di Poincaré e Brouwer) risolvendosi nell’idea di intelletto in generale; dall’altro, in virtù della storicità costitutiva che caratterizza i campi di idealità, anche la struttura della soggettività va incontro a una radicale storicizzazione contro ogni pretesa di affermare una struttura invariante delle facoltà (pp. 514-515).

Il filo conduttore complessivo a partire dal quale è costruito il testo è offerto dalla stratificazione della logica formale in tre livelli proposto da Husserl in Formale und transzendentale Logik: morfologia pura dei significati, logica della non-contraddizione, logica della verità. Individuando il modo di riempimento categoriale tipico di ciascuno di questi tre livelli, appare evidente la necessaria pluralizzazione dei modi del riempimento categoriale. In tal modo, si esprime chiaramente il superamento e la parziale correzione del pensiero husserliano: «Noi abbiamo, di conseguenza, cercato di dare un’inflessione o di prolungare il pensiero husserliano là dove ciò ci è parso necessario, al solo fine di esplicitare una fenomenologia degli strati di senso che sviluppi il senso pieno delle nozioni di riempimento e oggettualità categoriali» (p. 472). Da questo punto di vista, va quindi sottolineato l’interesse che questo testo è in grado di suscitare non solo per una migliore lettura e comprensione di particolari aspetti del pensiero husserliano, ma anche per un suo proseguimento attuale all’interno di un ampio dibattito estremamente sfaccettato al quale viene senz’altro apportato un contributo importante.

di Andrea Ariotto

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Note

[1]    Cfr. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie, Bd. I, § 138, Hua III/1, Martinus Nijhoff, Den Haag, 1976, p. 321.

[2]    Cfr. Husserl, Logische Untersuschungen, III, Sechste Untersuchung, § 60, Hua XIX/2, Martinus Nijhoff, Den Haag, 1984, p. 713.

[3]    Cfr. Husserl, Cartesianische Meditationen und pariser Vorträge, § 22, Hua I, Martinus Nijhoff, Den Haag, 1973, p. 90.

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