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Filosofia del gesto
Recensioni / Giugno 2021Diceva Peirce che il pensiero di uno scrittore vivente risiede maggiormente nelle copie stampate dei suoi libri piuttosto che nel suo cervello (CP 7.364). Ovviamente, con questa formulazione, Peirce non voleva affatto mettere in luce la mera dimensione quantitativa della produzione di un autore, quanto piuttosto sostenere che è nella pratica di scrittura – condivisa, corporea, intersoggettiva e proprio per questo valutabile e aperta al dibattito – che si discutono le idee, che i pensieri acquisiscono corpo e che diventa possibile saggiarne la consistenza e l’effettività pratica. La filosofia del gesto di Giovanni Maddalena, nella versione italiana appena pubblicata, conferma in qualche modo questa idea del pragmatista americano. Mentre The Philosophy of Gesture, uscito nel 2015 per la prestigiosa casa editrice McGill, si presentava come un testo più corposo e tecnico, la versione italiana è invece più agile e diretta e nasce dall’esigenza di far arrivare la proposta teoretica di questo testo ad un pubblico più ampio di quello degli studiosi e degli specialisti del pragmatismo. Giovanni Maddalena è professore ordinario di filosofia teoretica all’università del Molise e si occupa principalmente di pragmatismo americano, della semiotica di Charles Peirce, della logica della continuità e dello studio dei grafi esistenziali.
Per inquadrare agilmente la struttura di questo testo, si potrebbe dire che è suddiviso in due parti. Con un piccolo nota bene però: che con questa operazione – e dunque con questo gesto – si è già tradita in qualche modo la complessità e la sinteticità di questo nuovo modo di intendere la pratica gestuale, dove teoria e prassi, mente e corpo, comunicazione e pensiero sono già da sempre coinvolti in un’unità dinamica e creativa.
Nella prima parte Maddalena discute, sul versante teoretico, in quale senso quello del gesto sia un nuovo paradigma di ragionamento sintetico. Nella seconda parte, invece, l’autore fornisce un ventaglio di applicazioni pratiche entro cui questo nuovo paradigma di ragionamento può muoversi e contribuire, dalle riflessioni sulla tecnologia alla religione, dal diritto alla pedagogia.
Sin dalle prime pagine, questo testo presenta le ragioni per cui è necessario pensare ad una filosofia del gesto: l’obiettivo polemico di questo nuovo paradigma di ragionamento è infatti il come della distinzione kantiana tra analitico e sintetico. Nella Critica della ragion pura, Kant definisce analitico quel giudizio che, basandosi sul principio di contraddizione, presenta le caratteristiche di necessità e universalità; definisce invece sintetico quel giudizio che, basandosi sull’esperienza, permette di acquisire nuove conoscenze. Di più: partendo da questa distinzione, Kant si chiedeva se fosse possibile trovare dei giudizi che fossero allo stesso tempo universali, necessari e sintetici. Secondo Kant, i giudizi della matematica e della geometria (si ricordi il famoso esempio 7+5=12) incarnano la struttura dei giudizi sintetici a priori, poiché permettono di conoscere un contenuto nuovo senza però dover rinunciare alla necessità e all’universalità. La critica che Maddalena rivolge a Kant è che i giudizi sintetici a priori, per come vengono intesi e esposti da Kant, hanno caratteristiche di universalità e necessità ristrette. Si applicano cioè solamente ad un certo tipo di spazio e di tempo. In breve, “la sintesi a priori kantiana si appoggia su uno schema tutto-parte che è identico a quello dell’analitica…La sintesi dunque funziona, cioè mantiene universalità e necessità, perché è analitica” (p. 26).
Oltre a Kant, vi è poi un altro obiettivo polemico di cui occorre fare menzione per comprendere il quadro teorico entro cui si colloca la filosofia del gesto. Dopo un breve storia della gestualità volta a scardinare l’idea antica e moderna che i gesti costituiscano un linguaggio primordiale e incoativo, Maddalena si confronta con i gesture studies e quindi con la classificazione dei gesti di Adam Kendon. Secondo Kendon, i gesti si suddividono in 1) gesticolazione, 2) gesti language-like, 3) pantomine, 4) emblemi, 5) lingue segnate.
Maddalena riconosce il contributo di autori come Kendon e Austin nell’averci insegnato che si possono fare cose con le parole, ma intende, attraverso gli strumenti concettuali della teoria segnica di Peirce, mostrare la necessità di allargare questo paradigma di ragionamento, assumendo un diverso approccio per trattare la complessità delle pratiche gestuali: “i problemi classici dello studio dei gesti, i tipi vecchi e nuovi di parallelismo e continuismo, possono in questo modo essere compresi senza creare alternative: la gesticolazione è un modo di conoscere ma l’aspetto simbolico-linguistico riveste una parte fondamentale affinché tali gesti giungano a una completezza” (p. 94).
È vero che in questo testo le sottili analisi della semiotica di Peirce sono maggiormente lasciate sullo sfondo rispetto al precedente Philosophy of Gesture; è altrettanto vero che sarebbe impossibile prescindere dal progetto peirciano per comprendere la struttura di questo testo. Uno dei meriti di questo testo sta proprio nel vedere la teoria del segno di Peirce come un punto di rottura con la filosofia kantiana e in particolare, con la distinzione tra fenomeno e noumeno, così come tra sintetico e analitico.
Per descrivere al meglio in cosa consista questo nuovo paradigma di ragionamento, Maddalena, in contrasto con Kant, ci invita a guardare la sintesi non come “il rovesciamento dell’analisi ma come un processo originale per cui conosciamo mentre facciamo e mentre comunichiamo” (p. 9).
Il ragionamento, sostiene Maddalena, non è bipartito ma tripartito e pendolare e comprende l’ambito analitico, quello sintetico e, infine, quello vago. Sintetico è il ragionamento che riconosce l’identità nel cambiamento mentre invece quello analitico è il ragionamento che la perde. Il giudizio vago rappresenta la transizione tra l’analitico e il sintetico, il confine liminare tra il riconoscimento e la perdita dell’identità nel cambiamento. Delinea dunque una zona del ragionamento ancora inarticolata. La nozione di identità in mutamento è fondamentale per comprendere la critica che Maddalena rivolge alle filosofie della coscienza così come per strutturare questo nuovo paradigma gestuale. In ambito matematico, il termine mutamento si traduce con “continuo” ed è per questo motivo che i punti da tenere fermi per capire l’urgenza di ragionamento sintetico gestuale sono l’identità e il continuo.
Entrando nel vivo della strutturazione del gesto, Maddalena ne distingue due aspetti, uno semiotico e uno fenomenologico: più nello specifico, per quanto riguarda il versante semiotico, il gesto, secondo la celebre tripartizione peirciana, si compone di icona, indice e simbolo. Iconico è quel segno che rappresenta il proprio oggetto per similarità, indicale quello che lo rappresenta per connessione diretta mentre simbolico è quel segno che richiede una mediazione interpretativa per poter rappresentare il suo oggetto. Sul versante fenomenologico (o, come direbbe Peirce, faneroscopico), il gesto si articola in firtsness, secondness e thirdness. Queste tre categorie traducono sul piano fenomenologico i tre modi del segno prima accennati “ma ne sottolineano la trasmissione del significato” (p. 39). La dimensione fenomenologica permette di intendere simultaneamente le modalità del segno e la pratica comunicativa che le istanzia.
Un gesto è completo quando produce una sintesi, cioè quando operano in completa sintonia sia gli aspetti semiotici che quelli fenomenologici, permettendo di acquisire un nuovo significato. Un gesto è invece incompleto quando non vi è una piena collaborazione di questi aspetti e dunque non è possibile produrre una sintesi completa. Ovviamente, precisa Maddalena, seppure incompleti, tali gesti non sono però inutili; anzi, “coincidono con gran parte delle nostre azioni ed hanno una funzione” (p. 37).
A questa gran parte delle nostre azioni occorre accennare, facendo così emergere la trattazione applicativa di questo nuovo paradigma di ragionamento, fondato sulla struttura semiotico-fenomenologica dei gesti completi e incompleti. Anche se il focus del testo è rivolto alla distinzione tra analitico e sintetico e alla sua riformulazione, non bisogna dimenticare la terza partizione del ragionamento, ossia la vaghezza. Il ragionamento vago è infatti un costituente irriducibile del gesto poiché rappresenta il punto di partenza di ogni azione e dunque di ogni pratica gestuale. La dimensione vaga mette in luce l’orienza del significato, la potenziale qualità differenziantesi che, in the long run, condurrà alla costituzione di una generalità significante. Certo la conoscenza umana è fallibile, sempre in difetto e correggibile: in breve, in cammino. Quello che però non bisogna omettere da questo racconto è che il nostro rapporto quotidiano con il mondo è costantemente regolato da un groviglio di certezze, di abiti cristallizzati e di pratiche per lo più non tematizzate che ci permettono un incontro gestuale e corporeo con esso. Uno dei contribuiti a mio parere più interessanti di questo testo sta nel riconoscere che “il nostro modo di affrontare, conoscere e comunicare la realtà è innanzi tutto vago” (p. 47). L’origine del significato è vaga poiché è praticamente certa, o meglio, stabilizzata da una parte della conoscenza che “ha a che fare il corpo, con l’esistenza, con l’azione” (p. 7).
In questo senso occorre considerare le riflessioni di Maddalena sul lavoro, inteso come “modo quotidiano di ragionare sinteticamente” (p. 81), capace di offrire una comprensione della propria identità e di quella altrui grazie alla prospettiva simbolica che accompagna lo sforzo del lavoro. Oppure l’analisi che l’autore rivolge al mondo della tecnologia e del digitale, vedendo la tecnologia come il motore del pensiero e gli strumenti tecnologici come prolungamenti macchinici dei nostri gesti.
In conclusione, concluderei questa recensione con una citazione di Nietzsche, tratta dallo Zarathustra e dedicata ironicamente ai dispregiatori del corpo, che ben sintetizza l’impianto e la tonalità pragmatista di questo libro: “V’ha maggior ragione nel tuo corpo, che non ne contenga la tua miglior sapienza. E chi sa mai perché il tuo corpo ha proprio bisogno della tua miglior sapienza?”.
di Rocco Monti