Forse il malevolo recensore è vittima dell’apoftegma di Bergson secondo cui un filosofo degno di questo nome non ha mai detto che una sola cosa: o meglio ha cercato di dirla, più di quanto non l’abbia mai veramente detta; o forse tale detto è semplicemente da intendersi come principio di individuazione omogeneizzante per orientarsi nel molteplice della produzione filosofica che di volta in volta ereditiamo. Fatto sta che “la sola cosa” della raccolta di scritti di Reza Negarestani, Complicità e astrazione, edita da Kaiak, a cura di Matteo Caparrini e Vincenzo Cuomo, sfugge al lettore. Le ragioni sono varie. In primo luogo, la difficoltà di reperire la totalità dei contributi su rivista o su blog dell’autore, connessa con il continuo rinvio della pubblicazione di “Abducting the Outside” - opera che riunirà gli scritti, rivisti e spesso estesi, di Negarestani dal 2003 al 2018 in volume unico -, ha sicuramente reso disagevole il confronto con la globalità della sua produzione e la relativa scelta degli articoli da presentare al pubblico italiano. In secondo luogo, il carattere poliedrico e occasionale dell’opera di Negarestani, sembra rendere inutile ogni tentativo di antologizzazione che non pretenda l’esaustività per giustapposizione cronologica.
La raccolta consta di cinque articoli: Inferno solare, scritto del 2010 per un’installazione dell’artista Pamela Rosenkranz; La sposa cadavere, originariamente comparso su “Collapse IV – The Concept Horror” (2008); Contingenza e complicità, pubblicato in “The Medium of Contingency” (2011); La psiche e la carogna rielaborato ed esteso a partire da una conferenza tenuta alla Duke University nel 2018; infine Frontiere della manipolazione, di cui circolava una trascrizione di un intervento allo “Speculations on Anonymous Materials Symposium” del 2014, anch’esso rivisto e abbondantemente esteso per comparire in “Abducting the Outside”. L’elenco che precede ha una funzione informativa e permette di orientarsi cronologicamente tra i vari saggi; unico appunto che può essere fatto ai curatori è quello di non aver fornito tali riferimenti ai lettori. Non tanto per spirito di catalogazione, quanto per rendere manifesti, o facilmente raggiungibili, alcuni nessi con il panorama culturale che anima il pensiero di Negarestani (dalla collaborazione con Robin Mackay, la rivista Collapse e la casa editrice Urbanomic, all’attività presso il New Centre for Research and Practice) e che tendenzialmente risultano ignoti al lettore italiano.
L’introduzione scritta da Vincenzo Cuomo tenta di ricostruire il fil rouge della raccolta intorno ai due assi portanti dell’opera di Negarestani: “Cyclonopedia”, pubblicato nel 2008 (e recentemente tradotto e pubblicato presso LUISS University Press) e “Intelligence and Spirit”, opus magnum del 2018, sfortunatamente inedito in Italia. Ne esce una prospettiva distinta in due momenti, uno di catabasi, caratterizzato dalla complicità necrofila con i materiali anonimi e uno di anabasi, contraddistinto dal lavoro del pensiero nel trascendere le proprie condizioni genetiche. Queste salite e queste discese del pensiero non devono essere intese come finalizzate al raggiungimento di un fantomatico “luogo del pensiero”. Si tratta piuttosto dello sforzo di mediazione tra i molteplici e discontinui piani che costituiscono la realtà: micro/macro, locale/globale, intensivo/estensivo, alienazione/emancipazione, ecc. Intorno a cosa gravita questo lavoro del pensiero? All’interno dell’opera di Negarestani esistono molteplici modi di nominare questo centro; si può parlare di contingenza cosmica (Inferno solare), di degrado e astrazione (La sposa cadavere), di complicità con i materiali (Contingenza e complicità), di volontà aliena e autocoscienza (La psiche e la carogna), di organizzazione e manipolazione (Frontiere della manipolazione). In quest’ottica il titolo della raccolta non deve essere letto come un mero accostamento, bensì è da intendersi come un’endiadi che coordina e articola un unico concetto. Se l’interpretazione che viene proposta è sensata lo scioglimento della figura retorica del titolo potrebbe essere sia “astratta complicità” sia “complice astrazione”.
Affinché questa duplice formulazione acquisti un minimo di senso è necessario partire dall’assunzione che il polo del reale sia, in sostanza, contingente. E che la conoscenza del reale consista in un’interazione complice e astraente con la contingenza. Ma che cos’è la contingenza? «La contingenza è la concomitante espressione di possibilità (qualsiasi possibilità indipendentemente dalla sua necessità razionale) e di nessuna possibilità – tutto può accadere, ma allo stesso modo, potrebbe non accadere mai nulla; è la sospensione tra le infinite probabilità e il loro inspiegabile congelamento» (pp. 73-74). È bene tenere a mente che tale caratterizzazione della contingenza non implica né la completa arbitrarietà delle possibilità né l’impossibilità di arrivare a definire un qualche discrimine tra criteri conoscitivi. Questo per almeno due ragioni: 1) la definizione dello spazio del possibile presuppone un qualche intervento perturbativo, una qualche asimmetria che permetta di orientarsi nel territorio. Detto in altri termini, lo spazio del possibile è vincolato; 2) la conoscenza procede attraverso la costruzione e la manipolazione di modelli. I modelli non sono copie del reale né sono isomorfi con esso. Il reale, il contingente, non è né già dato, né indipendente dal pensiero; esso si manifesta nel contrasto tra modelli diversi in concorrenza tra loro, o all’interno di uno stesso modello nel momento in cui diventa necessario modificarlo per conservarne l’affidabilità. Il pensiero procede in maniera autonoma, utilizzando «procedure logiche che non prevedono una verità o una veridicità (trueness) canonica, ma che insieme preservano e mitigano l’ignoranza» (p. 123).
Alla luce di queste considerazioni, il momento catabatico – la complicità – può essere inteso come il riconoscimento e il conseguente intervento sui limiti della nostra ignoranza. Che si tratti di fare i conti con la schiavitù eliocentrica (Inferno solare) o la volontà aliena che assume le sembianze di un principio di morte (La psiche e la carogna), la posta in gioco è sempre la medesima: destituire di senso le spiegazioni che si pongono come fattuali o incontrovertibili sacrificando l’autonomia del pensiero. Di contro a un vitalismo pluralista – sempre più in voga nel panorama filosofico contemporaneo – che insiste sulla confusione tra i piani e i termini in gioco, dall’identità tra pensiero e vita all’equivalenza tra morte e necessità cosmiche, Negarestani oppone uno scetticismo sistematico, un lavoro dell’indagine che abbraccia «la contingenza attraverso una modalità di chiusura attorcigliata e rigorosa» (p. 76) che considera la pluralità dei livelli organizzativi del reale e i conseguenti vincoli materiali. Ciò conduce, senza soluzione di continuità, al lato anabatico – l’astrazione. Nella sua forma più complessa, e perciò più vera, l’astrazione è «la concorrente organizzazione della materia attraverso la forza del pensiero, e il ri-orientamento del pensiero attraverso le forze materiali. Essa è la mutua penetrazione e destabilizzazione del pensiero e della materia secondo i loro rispettivi meccanismi di regolazione e controllo» (Negarestani, Torture concrete, 2014, p. 5). Ciò che precede non deve essere limitato a considerazioni teoretiche, ma ha immediate ricadute etiche. Né dogmatismo né rassegnazione, bensì continua messa in discussione e reinvenzione della realtà da parte del pensiero. Pensiero che persino nel riconoscimento della sua dipendenza da cause inconsapevoli, non può che co-costituire il polo inconscio per trovare una via di fuga dalle illusioni generate dal sé o dagli altri. Abbracciare la contingenza in maniera rigorosa significa anche liberare il possibile dai vincoli eterodiretti che impediscono di immaginare una vita e una realtà diversa.
In un’epoca di apparente deriva della filosofia – sia che la si ritenga rinchiusa nello specialismo impotente delle nicchie accademiche, sia che la si ritrovi dosata e addomesticata in versioni adatte all’intrattenimento culturale – il pensiero di Negarestani ha sicuramente il pregio di porsi come radicale. Non tanto da un punto di vista di convinzioni politiche (che detto tra parentesi sono difficili, ma non impossibili da immaginare), quanto piuttosto da un punto di vista strettamente filosofico. Di fronte alla catastrofe ecologica, di fronte alla crisi dei paradigmi di organizzazione economica e sociale che abbiamo ereditato dal XX secolo, di fronte all’incapacità della politica, della scienza, del diritto di affrontare l’intreccio tra locale e globale che costituisce il reale, l’operazione di Negarestani è quella di non cedere a forme di amore per l’indeterminatezza, ma di ricercare ostinatamente una configurazione adeguata e desiderabile di «navigazione nel reale». Ed è su questa formula che vorremmo chiudere poiché se il discorso che precede ha una qualche coerenza e attinenza con il pensiero di Negarestani, è possibile descrivere la sua impresa filosofica come una navigazione nel reale «con estremo pregiudizio. Vado dove mi porta il concetto. Cammino per i sentieri generati dalla frizione tra la mappa e il territorio. Se la frizione non basta, manipolo i miei modelli e le mie mappe per scoprire le strade e i passaggi nascosti» (p. 122). Questo, in estrema sintesi, è il nucleo di ciò che Negarestani recentemente ha denominato illuminismo scientifico. Una proposta filosofica capace di considerare l’integrazione, l’aderenza e la complessità dei vincoli organizzativi, siano essi materiali o concettuali, in frizione costante con la contingenza del reale. Finalmente il lettore italiano può confrontarsi con alcuni dei testi principali di questo autore, forse ancora estraneo alla nostra tradizione e difficilmente ascrivibile a canoni pregressi, ma non perciò alieno dai problemi locali e globali con cui la filosofia non può che fare i conti.
di Luca Cabassa