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Start up: le radici
Serial, Start up / Giugno 2017Varcata la soglia dello spazio, cattura l’occhio del visitatore un grande albero “fatto a mano”, co-creato dai primi abitanti del luogo con pezzi di legno di varie dimensioni. L’albero è abbastanza imponente: i rami “spingono in su” il soffitto, quasi volessero aprire un varco nel muro. Si diramano a destra e a sinistra in una libertà costretta dall’architettura. Le radici, di dimensioni più contenute, si posano su un pavimento in vetro. Elemento di natura antropizzata, l’albero è un curioso oggetto da incontrare in uno spazio di lavoro.
Questa presenza potrebbe valutarsi in modo assai semplice: siamo di fronte, né più né meno, che a elemento di design coerente con l’estetica di uno spazio di co-working molto cool. Tuttavia, l’albero merita, per alcune ragioni che saranno esposte, di essere preso sul serio. Logicamente, è utile collocare questo artefatto in relazione allo spazio e al tempo in cui esiste, proponendo, come chiave di lettura dello stesso e di ciò che evoca, una riflessione sull’atto, molto umano, di mettere radici, collocarsi e quindi prosperare. In generale, se studiato quale metafora di desideri, memoria e potere, l’albero fornisce un pretesto per dire alcune cose in merito al discorso dell’innovazione e alla trasformazione antropologica che a esso si accompagna, temi di cui si è parlato qui. Queste sono le coordinate spazio-temporali che autorizzano a individuare in esso un testo, evitando di liquidare la faccenda come poca cosa.
Come interpretare, dunque, questo oggetto in relazione ai soggetti che lo hanno creato e che ne sono guardati? Per prima cosa, iniziando col riconoscere che gli oggetti alle volte occupano il ruolo di veri e propri mediatori nella formazione di legami sociali (Latour, 2005) e se non altro, incorporano narrazioni, codici e informazioni rilevanti per un collettivo (Leghissa, 2014). A quest’ultimo gruppo appartiene l’albero, il quale simbolicamente condensa su di sé desideri di stabilità e di manifesta vivacità e intraprendenza rispetto al futuro.
Proseguendo, sappiamo che un discorso è cosa assai pericolosa, e che il soggetto in questo gioco di verità è definito e si definisce, è agito e agisce mediante alcune tecnologie (Foucault, 1988). In tal senso, il discorso dell’innovazione non può che riguardare il campo della formazione del soggetto, nonostante quest’ultimo si mostri spesso restio a riconoscere qualsiasi presa o influenza sul proprio sé da parte del mondo esterno, ancor più se si sostiene che una porzione del mondo esterno, per esempio un dato culturale o una cosa, sia stato interiorizzato. Se la soggettività è un campo di battaglia e in virtù di un’analogia tra lo sviluppo del singolo e della collettività il cui esito è dato da una persistente contesa tra Io, Es e Super io (Freud, 1929), l’albero consente di osservare queste tensioni da un’angolazione interessante. Semplificando molto e riprendendo il diario del campo etnografico, «se interpreto l’albero, comprendo un po’ di più la soggettività start-up», qui intesa come un buon esempio di soggettività contemporanea frammentata poiché in formazione.
Lo spazio di cui è parte è un luogo speciale e archetipico della condizione neo-liberale: tutto, dal successo negli affetti alla raccolta differenziata, dipenderà dal modo in cui si producono beni e ricchezze. In tale stato sociale naturalizzato, ad alcuni soggetti è demandato questo compito di inventiva: l’imprenditore start-up, l’innovatore, il creativo, l’artigiano digitale. A coloro insomma che sono il proprio capitale, produttori di sé stessi e fonte dei propri redditi (Foucault, 2004, p. 186-187).
Avviatasi con il post-fordismo, questa trasformazione antropologica ha conosciuto un’accelerazione nella seconda metà degli anni Novanta e nei primi anni Duemila, per poi intensificarsi e mostrarsi in modo più evidente in seguito alla crisi economico-finanziaria del 2008. Su questo sfondo, il faticoso farsi di una nuova soggettività ha richiesto nuove tecniche: procedure, spazi, linguaggi, segni e - fatto assai importante - una riconoscibilità pubblica. A questi è seguita comprensibilmente l'esigenza di nuovi ancoraggi nello spazio e nel tempo, nuove radici che funzionino nel presente senza che tuttavia ai soggetti sia possibile sottrarsi al confronto diacronico con il passato[1]. D’altronde, sappiamo che, come il sapere psicoanalitico insegna, con le proprie radici, non si potrà che dolorosamente fare i conti. In questo senso, si può dire che l’albero sia sintomo di un desiderio - legittimo - di ancorarsi, affermarsi, radicandosi in uno spazio, ma al contempo, esso rappresenta la proiezione di un nuovo sé e in questa veste, un'istanza difensiva. A questo proposito, l’albero è piuttosto esplicito nel suo parlare. Nello spazio di lavoro osservato, esso si colloca all’ingresso e da quella particolare posizione nell’economia spaziale, informa il visitatore incuriosito su ciò che “c'è da fare”: «entra nella tua nuova casa, impegnati in progetti sostenibili, collabora con persone elettrizzanti, condividi e vivi l’entusiasmo di chi desidera cambiare il mondo». Beninteso, il desiderio di "cambiare il mondo" è una dichiarazione politica, in rottura - si può ipotizza-re - rispetto a un passato che al fondo si giudica colpevole. Per questa precisa ragione, sarebbe fruttuoso cimentarsi in un esercizio di critica à la Foucault (che richiede prima di tutto una rigorosa e sincera auto-osservazione) e interpretare i pensieri onirici latenti piuttosto che accontentarsi del contenuto manifesto del sogno raccontato (Freud, 1966): l’aspirazione di costruire un mondo radicalmente nuovo e migliore. Questo senza, tuttavia, scivolare in una “ginnastica” critica d’antan che rischia di perdere di vista il perno umano, e non già metafisico, su cui poggia l’utopia neoliberale: i soggetti pensanti e capaci di auto-osservarsi, ai quali non va svelato granché.
di Anna Paola Quaglia
Bibliografia
Foucault, M. (1988), “Technologies of the Self”, Technologies of the Self. A Seminar with Michel Foucault (a cura di Martin L.H., Guttman H. e Hutton P.H.,), London, Tavistock Publications, pp. 16-49.
Foucault M., (2012), La Nascita della Biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979), Milano, Feltrinelli.
Freud, S. (1966), “L’interpretazione dei sogni (1899)”, Opere 1989 (Opere di Sigmund Freud a cura di Mussatti C.L.), pp. 637.
Freud S. (1978), “Il disagio della civiltà (1929)”, Opere 1924-1929. Inibizione, sintomo e angoscia e altri scritti (Opere di Sigmund Freud a cura di Mussatti C.L.), pp. 555-630.
Latour, B. (2005), Reassembling the Social. An Introduction to Actor-Network Theory, New York, Oxford University Press.
Leghissa, G. (2012), Neoliberalismo. Un’introduzione critica, Milano-Udine, Mimesis.
Leghissa, G. “Ospiti di un mondo di cose. Per un rapporto postumano con la materialità”, La condizione postumana (a cura di Leghissa G.), aut aut, 361, 2014, pp. 10-33.
[1] Si rimanda ad una prossima pubblicazione a cura della Rivista Geografica (n. 125, 2017) in cui verranno presentati alcuni saggi relativi al seminario “Dialoghi sul concetto di radice”, organizzata a latere della VI Giornata di studio “Oltre la globalizzazione” Società di Studi Geografici dal titolo “(S)radicamenti”. In tale occasione, sono intervenuti i geografi Paolo Giaccaria e Giuseppe Dematteis, il filosofo Giovanni Leghissa e l’antropologo Francesco Remotti. Quest’ultimo, nell’ambito del suo contributo, ha evidenziato il confronto, continuato e insito nella metafora di radice, tra passato e presente, tra mobilità e fissità, precisamente con riferimento ai bananeti e alle tombe arboree dei BaNande.
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PK#1 \ Il prisma trascendentale. I colori del reale
Rivista / Settembre 2014Non occorre un grande impegno teorico per mostrare come si possa fare filosofia senza ricorrere alla nozione di “trascendentale” ‒ oppure, in maniera più profonda, senza assumere la posizione trascendentale. Lo mostra, banalmente, la storia del pensiero filosofico novecentesco. Dalla filosofia analitica alla filosofia ermeneutica, non si contano le tradizioni filosofiche che hanno reso persuasiva l’idea secondo cui l’interrogazione filosofica potesse ‒ e, anzi, dovesse ‒ articolarsi senza ripetere il gesto fondativo, ovvero senza declinare la domanda sulla fondazione in modo tale da dover passare attraverso la questione trascendentale.
Si fa prima se si interrogano i saperi che descrivono ‒ o spiegano ‒ l’esperienza. Si fa prima se si imposta il discorso filosofico immettendolo nell’alveo del discorso scientifico, il quale parla direttamente dell’esperienza. Un po’ come quando si deve insegnare a qualcuno come si nuota. Gli si mostrano i gesti del nuoto stando sulla riva? No, lo si butta in acqua, magari in acque poco profonde, e gli si insegna, dentro l’acqua, a nuotare. Così, appunto, si fa prima. Assumere la posizione trascendentale, in tale prospettiva, non risulta essere altro che un’inutile perdita di tempo.
Tuttavia, è lecito almeno sollevare un dubbio: si può davvero accordare alla filosofia il ruolo di sapere critico, che interroga i propri fondamenti, quelli degli altri saperi e, più in generale, il fondamento del rapporto tra sapere ed esperienza, senza passare attraverso la nozione di trascendentale? Si può davvero fare a meno di chiedersi sia come è fatto, in generale, il soggetto che fa esperienza del mondo, sia come sono fatti quei mondi ai quali si rapporta ogni esperienza possibile?
Se tale domanda, tale dubbio, risulta anche solo vagamente plausibile, allora si vede bene che perseguire l’obiettivo di praticare una filosofia in qualche modo definibile come “trascendentale” non si configura più come una semplice perdita di tempo.
Tutta la difficoltà sta, ora, nel mettersi d’accordo su ciò che l’espressione “in qualche modo” indica. Lo scopo di questo primo numero consiste nel mettere alla prova alcune possibili letture e declinazioni di tale espressione
A cura di Philosophy Kitchen
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DOI: https://doi.org/10.13135/2385-1945/1.2014
Pubblicato: settembre 2014
Indice
Lato I
Giovanni Leghissa - Il trascendentale, ovvero il rimosso della filosofia. Proposte per una terapia [PDF It]
Rocco Ronchi - Puro apparire [PDF It]
Jean-Christophe Goddard - La Wissenschaftslehre. Une contribution décisive à l'anthropologie de la modernité [PDF Fr]
Lato II
Claudio Tarditi - Oltre il trascendentale, il trascendentale. In dialogo con Husserl [PDF It]
Paolo Vignola - La stupida genesi del pensiero. Trascendentale e sintomatologia in G. Deleuze [PDF It]
Lato III
Alberto Andronico - Custodire il vuoto. Uno studio sul fondamento del sistema giuridico [PDF It]
Emanuela Magno - Dal pensiero alla vacuità. La critica nāgārjuniana e il trascendentale [PDF It]
Carlo Molinar Min - Il ritmo della decostruzione. Un'esperienza quasi-trascendentale [PDF It]
Lato IV
Alessandro Salice, Genki Uemura - Naturalizzare la fenomenologia senza naturalismo [PDF It]
Traduzioni
Bernard Stiegler - Tempo e individuazione tecnica, psichica e collettiva nell’opera di Simondon [PDF It]
Claude Romano - Il problema del mondo e l'olismo dell'esperienza [PDF It]