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La casa editrice Mimesis propone – con prefazione di Roberto Masiero e attenta postfazione di Marcello Ghilardi – il testo della lezione inaugurale del filosofo e sinologo François Jullien per la Chaire sur l’altérité presso la Fondation Maison des sciences de l’homme di Parigi. Il testo, intitolato Contro la comparazione. Lo “scarto” e il “tra”. Un altro accesso all’alterità, rappresenta un prezioso contributo per la comprensione del cantiere aperto da Jullien tra gli universi culturali europei e cinesi.
Si deve riconoscere a questo fortunato pensatore francese un notevole virtuosismo concettuale e una vitalità dell’intelligenza degna del Maître à penser. Da qualche tempo nel suo cantiere si assiste a costruzioni articolate, geometrie variabili, strutture pensili in grado di proiettare il pensiero in dimensioni altre. Convinto da tempo che la Cina rappresenti un’alterità radicale al pensiero europeo – sia greco sia ebraico – con il suo lavoro cerca di superare «l’indifferenza che essi intrattengono tradizionalmente l’uno rispetto all’altro» (p. 32) per potersi finalmente chiedere «che cosa accade al pensiero se, uscendo dalla grande famiglia indo-europea, s’interrompe tutt’a un tratto la parentela linguistica, se non ci si può più appoggiare a prossimità semantiche o risalire all’etimologia, se si rompe la continuità degli effetti sintattici nei quali il nostro pensiero si è forgiato e sviluppato?» (pp. 32-3).
La risposta a questa domanda è multipla e in continuo movimento ma si basa sulla constatazione di fatto che è necessario eliminare ogni pregiudizio perché «non c’è nessuna cultura primaria, a monte, nessuna cultura declinata al singolare che possa fungere come base identitaria comune, di cui le diverse culture che si incontrano nel mondo, al plurale, non sarebbero che variazioni» (p. 38). La cultura è fluida, in continuo mutamento, in perenne trasformazione e questo costituisce il suo specifico (p. 39).
Per mantenere viva l’analisi culturale è dunque necessario per Jullien abbandonare il concetto di differenza, che ha in concreto dominato tutto il pensiero filosofico occidentale, perché «parlare della diversità delle culture nei termini di differenza disinnesca in anticipo ciò che l’altro dell’altra cultura può apportare di esterno e di inatteso, al tempo stesso sorprendente e sconcertante, disorientante e incongruo. Il concetto di differenza ci colloca fin dall’inizio in una logica di integrazione – di classificazione e di specificazione – e non di scoperta. La scoperta non è un metodo avventuroso» (p. 41).
Alla pratica pigra del pensare per differenze Jullien propone di affiancare – e anche di sostituire – quella dello scarto (écart). Di cosa si tratta? Jullien ne parla come di un movimento continuo e sinuoso che invece di contrapporre le differenze in maniera statica le integra in dinamiche di attrazione che maturano attraverso il disturbo (dérangement) e l’esplorazione (p. 43). Una messa in tensione che genera fecondità e alimenta la curiosità: «fare uno scarto significa uscire dalla norma, procedere in modo inconsueto, operare uno spostamento rispetto a ciò che ci si aspetta e a ciò che è convenzionale. In breve vuol dire rompere il quadro di riferimento e arrischiarsi altrove, temendo altrimenti di arenarsi» (pp. 45-6).
Jullien pare intenzionato ad aprire una porta per il pensiero asfissiato nella camera chiusa e sovrappopolata della filosofia della discriminazione a ogni costo. Quella filosofia che da Platone ai giorni nostri non fa che pensare a categorie di determinazione e modellizzazione (pp. 48-9). Per Jullien infatti la «grandezza di una filosofia si misura sulla base dello scarto che riesce a produrre per aprire e riconfigurare il campo del pensabile; ovvero per dispiegare, smarcandosi [en s’ècartant] dal pensiero istituito, altre risorse che non sono state esplorate o coltivate in quello stesso pensiero» (p. 49).
La filosofia sviluppata in Grecia, per Jullien, è una piega del pensiero sviluppatasi imponendo certe coerenze (p. 51) e questo significa che può essere rinnovata e fecondata da altre coerenze che provengono da un’alterità che può fornirle lo spazio per accedere al proprio impensato. Per Jullien: «i Greci sono stati travolti e affascinati dalle Estremità che si distaccano l’una dall’altra, con caratteristiche che si possono distinguere e di cui s’individuano le differenze, che si costituiscono come essenze e permettono la definizione; hanno dovuto tralasciare la via di mezzo tra il flusso e l’indistinto della transizione che sfugge alle assegnazioni fisse» (pp. 59-60).
Se i Greci sono stati maestri indiscussi nel pensare le differenze, nell’individuare gli estremi, non sono stati capaci per Jullien di cogliere la pienezza del tra, la forza delle trasformazioni silenziose, il potere del non agire. La forza del tra consiste nel suo non essere determinato, diastematico, aperto, apre la tensione tra due elementi e li mette in tensione dinamica: «allude a una disposizione dell’ethos, a ciò che ne costituisce la vitalità. Esso significa che ci si “evolve” a proprio agio, lasciando operare del tra, in noi e tra noi, restando disponibili e in grado di respirare» (p. 67).
Jullien preferisce la distanza e lo spaesamento, e contro la retorica della prossimità a tutti i costi – esasperata dal mito della connettività sociale assoluta e dalla logica della trasparenza – vuole lavorare su ciò che rende il simile diverso. Ciò che è comune per Jullien si attiva solo attraverso gli scarti perché «lo specifico del culturale è il fatto che, mentre tende a omogeneizzarsi, non smette mai di eterogeneizzarsi; mentre tende all’unificazione, non smette di pluralizzarsi; mentre tende a confondersi e a conformarsi, non smette di smarcarsi, di dis-identificarsi; mentre tende ergersi come cultura dominante, non smette di essere travagliato dalla dissidenza» (p. 75).
Ha ragione Marcello Ghilardi a rilevare come lo sforzo di Jullien possa servire a «riconfigurare le questioni, ri-attualizzare le domande e costruire nuovi concetti per nominare i soggetti sociali» (p. 93). Le trasformazioni planetarie sono così enormi e profonde che ci costringono tutti a un lavoro di fecondazione di nuove categorie, al ripensamento radicale dei nostri punti di vista consolidati e ritenuti, per così dire, universalmente validi. Jullien è forse uno dei pensatori più adatti per leggere la mutazione in atto e lo studio dei suoi testi è sempre utile per irrorare il pensiero di linfa vitale. Un pensiero che sempre più necessita di superare l’indifferenza verso l’altro, per comprenderne le ragioni profonde e per costruire un avvenire più dignitoso per tutti.
di Pietro Piro