Andrea Pinotti ha pubblicato l’anno scorso, per Johan & Levi, l’esito di un ventennio di ricerche sul tema del monumento e del nonumento. La quantità di informazioni che si traggono dal libro, la precisione della tassonomia in esso proposta e la riflessione teoretica che l’accompagna susciterebbero nel lettore l’impressione di una certa monumentalità – se non fosse che il titolo sta lì a infastidire la pronuncia di chi vorrebbe dire «monumento», con la «m». Nonumento. Un paradosso della memoria, smonta la categoria di «monumento» (e le aspettative che più comunemente si associano a essa) e, allo stesso tempo, costruisce quella di «nonumento».
Pinotti ha abituato il pubblico ad analisi in cui fenomeni contemporanei vengono inquadrati in un contesto storico e teorico capace di illuminarli[1]. Dell’attualità del «nonumento» – in una prima caratterizzazione, un monumento che nega la monumentalità – può accorgersi facilmente chi rifletta sui corsi e ricorsi della cosiddetta cancel culture. Gli attivisti di Black Lives Matter che abbatterono la statua di Edward Colston (1636-1721) nel giugno 2020 a Bristol difficilmente avevano altro in mente che eliminare il monumento di un cittadino tanto illustre quanto compromesso dal passato schiavista. Alle inevitabili polemiche seguite al gesto iconoclasta[2] sarebbe seguita la proposta ironica di Banksy [fig. 1] per un monumento capace di soddisfare le esigenze sia degli attivisti sia di chi avrebbe voluto rimettere la statua al suo posto. Pinotti propone di leggere lo schizzo di Banksy come «pienamente nonumentale» (p. 218), prendendone sul serio la proposta. Laddove il monumento pretende di scrivere la storia – dal punto di vista, almeno, di chi pensa e dispone il monumento –, il nonumento di Bansky creerebbe «quella che con Walter Benjamin potremmo chiamare “immagine dialettica”: un’immagine capace di incorporare dinamicamente istanze differenti, persino confliggenti e contraddittorie» (p. 218). L’esempio mi sembra offrire un buon accesso alla ricerca di Pinotti, per varie ragioni. Innanzitutto ne evidenzia l’attualità e il potenziale critico – cioè, di discernimento – rispetto a un panorama in evoluzione; mostra, inoltre, quanto la relazione fra «monumento» e «nonumento» sia intima e costitutiva. Quest’aspetto, con le sue ragioni e le sue implicazioni, è centrale.
Il testo è quadripartito. L’introduzione fornisce lo schizzo del quadro storico e teorico all’interno del quale, nel Novecento, la categoria di monumento è entrata in crisi; allo stesso tempo, introduce l’emergere del nonumento – o delle strategie nonumentali – quale refuso di quella memoria divenuta inaccessibile al monumento. L’intersecarsi di monumento e nonumento è così introdotto fin dai primi passi. Seguono, poi, due parti analitiche. La prima parte, dedicata al monumento, articola i casi molteplici della messa in crisi del monumento, mostrando come la categoria stessa di monumento includa i principi del suo dissolvimento. La seconda parte, la più corposa, è dedicata al nonumento. Pinotti offre una tassonomia nonumentale, in cui all’analisi di casi singoli s’intreccia lo sviluppo della prospettiva teorica. Il libro incede con un ripetuto esercizio di avvicinamento a singoli nonumenti e allargamenti ai presupposti e alle implicazioni teoriche. Lo si potrebbe per questo cogliere come un caso di attenzione morfologica, in senso lato. La forma del nonumento non si dà, e non può che essere studiata, attraverso lo studio dei suoi sviluppi concreti – ma è l’emergere di quella forma, allo stesso tempo, a illuminare i casi concreti. Le Conclusioni con cui termina il volume ne ricapitolano le linee principali e affrontano il potenziale critico del nonumento, in cui il suo potenziale critico e la crisi del monumento si uniscono.
Il primo aspetto da sottolineare a proposito della crisi novecentesca del monumento è, pertanto, che essa ha una doppia valenza: sia storica che teorica. Il primo aspetto coincide con il diffondersi, nel secondo Dopoguerra, di casi di contro-monumenti e anti-monumenti. I primi, legati alla difficoltà di costruire memoriali per la Shoah; i secondi, definiti in base alla costruzione di un memoriale che si oppone a un altro memoriale. Ma l’aspetto storico si connette con lo sviluppo teorico. Nel corso del Novecento la riflessione sulla funzione memoriale si radicalizza: è il secolo in cui si consolida la comprensione del passato (e del rammemorato) come (ri-)costruzione del presente, in cui diventa evidente che dietro a ogni tradizione si cela un tradimento. E il monumento, scrive Pinotti, «è la materializzazione di questo gesto operativo» – ma, «insieme, il suo occultamento» (p. 9). Il dipanarsi della crisi storica del monumento coincide con l’emergere teorico delle contraddizioni interne al monumento, attraverso cui rammemorare diviene dimenticare. La Prima parte, quindi, mostra l’insidiarsi di queste contraddizioni in tutte le categorie («la verticalità, la visibilità, la permanenza, la materialità, la fissità, la magniloquenza, la transitività, ecc», p. 248) con cui cerchiamo, normalmente, di pensare il monumento: ognuno degli approcci tentati finisce in una impasse che Pinotti deduce quasi more geometrico. Più che di fronte a categorie in grado di definire e spiegare il monumento nelle sue forme ci troviamo di fronte a retoriche che girano attorno a un vuoto, il bisogno di monumento. È proprio lo scarto fra bisogno di monumento e bisogno di ricordare a spiegare il passaggio dal monumento al nonumento. Se il primo subisce quei paradossi, il secondo li assume. Ciò che accomuna i nonumenti, oltre le specifiche differenze, è «l’esperienza del commemorare come esercizio paradossale» (p. 100): essi, per dir così, esercitano attivamente il paradosso che è loro proprio.
L’aspetto più generale – nel rapporto fra storia e teoria – dell’incidere ancipite del libro, in cui dai casi si risale ai loro presupposti, e alle loro implicazioni, appare anche nel modo in cui è ricavata la stessa definizione di nonumento. Il refuso (della memoria) che trasforma il monumento in nonumento ricorda – e trasforma – un conio linguistico di Gordon Matta-Clark, uno dei primi artisti considerati nella Seconda parte del volume di Pinotti. Matta-Clark aveva introdotto le espressioni di Non.u.mental e Non-ument per riflettere su lavori quali Conical Intersect (1975, Parigi): da un lato, l’esclusione degli interessi del fruitore dall’architettura (not.u, cioè: not you), dall’altro, la negazione della grandeur monumentale (not-monumental, cioè: non-umental). Siamo, fin qui, nell’ambito dei rimandi intrinseci a un’opera, esplicitati attraverso l’analisi dell’opera e delle riflessioni dell’autore (e critiche, in particolare di Judith R. Kirshner). Ma Pinotti nota che vi è un’ulteriore paradosso iscritto nelle opere di Matta-Clark. Esse, infatti, «sono andate distrutte: ne restano solo le documentazioni fotografiche o i video» (p. 117). Si passa così da una dinamica interna alle sue opere a una dinamica che ha implicazioni più generali, nonumentali. L’operazione di Matta-Clark insiste sulla nozione di monumento invertendone di segno i valori storici relativi e involontari, trasformandoli in «una sorta di valore monumentale volontario e intenzionale» (p. 118). Potremmo dire, parafrasando Aby Warburg, che il nonumento funziona quasi come un’inversione energetica del monumento, in cui ciò che appare proprio del monumento, ma è invero inaccessibile, può realizzarsi in forme consapevolmente problematiche. Siamo così già passati al livello teorico: alla definizione del nonumento nella sua polarità costitutiva col monumento, che ha implicazioni ad ampio raggio e che sostiene la tassonomia delle strategie dei lavori nonumentali («immergenti, invisibili, effimeri, atmosferici, aumentati, performativi, interattivi, riappropriati, intransitivi», p. 248).
Il «paradosso della memoria» a cui fa riferimento il sottotitolo del volume sembra, attraverso l’analisi di Pinotti, insinuarsi nelle fibre di ogni «monumento» e «nonumento»: la polarità fra monumento e nonumento appare così come una caratteristica ineludibile per entrambi. L’obiezione più immediata che potrebbe venire in mente – i monumenti sono ben esistiti prima dei nonumenti! – è utile per approfondire un aspetto assai rilevante di questa polarità: la crisi interna della monumentalità non esaurisce infatti la definizione del nonumento, per quanto il nonumento abbia costitutivamente a che fare con quella crisi. Il paradosso attorno a cui si muove Pinotti non va quindi rintracciato nella crisi del monumento (che appare paradossale, ma manifesta consequenzialità logica), presa per sé; né nella definizione del nonumento. Il paradosso più proprio appare essere, piuttosto, quello del rapporto che viene così disegnato fra i due poli stessi: monumento e nonumento.
Il primo capitolo conclude dichiarando che l’esito della ricerca sul nonumento, in conformità al suo oggetto, non può che essere aporetico. Non solo per la problematicità intrinseca del nonumento, ma per la stessa forma polare della «dialettica immanente al problema del nonumento, che si può riassumere nella formula spinoziano-hegeliana omnis determinatio est negatio (e reciprocamente, omnis negatio est determinatio). Chi nega pone, insomma, e se è vero che il monumento, come abbiamo visto nella prima parte, è insieme dispositivo di rammemorazione e macchina di oblio, la sua negazione o decostruzione nel nonumento non sembra potersi sottrarre a questa fatale polarità» (p. 118). Che fare, allora, in questa situazione? Pinotti, sembrerebbe, cerca di assumere l’aporia, di attivarla.
Come il monumento esiste entrando in crisi, così il nonumento esiste manifestando la crisi del primo; e questa manifestazione rende paradossalmente possibile la rammemorazione che al monumento deve finire per sfuggire. È qui l’aporia. Il monumento presuppone un gesto rammemorativo che diventa reperibile solo attraverso la sua negazione, mentre il nonumento presuppone un oggetto – il monumento – che rende impossibile e che, allo stesso tempo, vivifica.
Nella prospettiva sviluppata da Pinotti l’ipotesi forse decisiva è allora che le immagini («per rimanere nell’ambito che più ci interessa qui, quello delle immagini …» (p. 195)), certo prese in senso lato, siano capaci di negazione. Ma quale negazione? È una domanda che questa ricerca permette di riformulare.
Attraverso il lapsus calami che insinua un «non» nel «monumento», la negazione articola l’oggetto stesso dell’indagine – il rapporto polare fra monumento e nonumento, in ultima analisi – e la sua aporia. Non si tratta però di una negazione il cui raggio d’azione possa essere limitato alla sfera del solo discorso. La forma dell’aporia individuata da Pinotti, infatti, sembra essere quella di una negazione di cui proprio l’immagine sarebbe eminentemente capace. (Si tratta qui, certo, della «immagine» nonumentale: ma sarebbe possibile un’estensione, se non all’immagine in generale, almeno ad altri casi? E che ne è del rapporto fra immagine e discorso?) Attraverso il rapporto fra nonumento e monumento sembra profilarsi, per l’immagine, la possibilità di una negazione in cui ciò che viene negato non è per ciò stesso escluso, ma nemmeno riassorbito dal negante. Una storia di fantasmi, forse – il paradosso della memoria.
Davide Mogetta
[1] Fra gli altri lavori recenti, cfr. A. Pinotti, Alla soglia dell’immagine. Da Narciso alla realtà virtuale, Einaudi, Torino 2021; e, inoltre, il progetto AN-ICON (https://an-icon.unimi.it/).
[2] Dopo una discussione su varie ipotesi di musealizzazione temporanea e permanente (https://www.artnews.com/art-news/news/toppled-slave-trader-edward-colston-statue-expected-to-be-permanently-installed-in-bristol-museum-1234696195/) la statua è oggi esposta allo M Shed Museum di Bristol (https://www.bbc.com/news/uk-england-bristol-68569148).