L’accattivante titolo Re Mida a Wall Street. Debito desiderio e distruzione tra psicoanalisi, economia, filosofia (Mimesis, 2015) costituisce una sorta di compendio lacaniano al tema del debito. Tenendo conto dell’enorme offerta di studi critici in circolazione, il tentativo del numero 5 di LETTERa, curato da Federico Leoni, è decisamente apprezzabile perché propone un’angolatura differente rispetto a quella dominante, prettamente economico-matematica. In che modo tratta il debito un analista? Come il Maestro? Élisabeth Roudinesco (1997, pp. 389, 397-398) racconta che Lacan aveva un debole per i soldi: gli analizzanti insolventi venivano inseguiti da una voce mielosa per ottenere il compenso pattuito. Il costo delle sedute era d’altronde carissimo: da ottimo freudiano sapeva che guarigione e prezzo sono direttamente proporzionali. I contributi raccolti, tra cui si elencano quelli di Jean-Luca Nancy e Elvio Fachinelli, aiutano a capire la complessa osmosi tra il discorso analitico e quello economico disponendo il dibattito attorno a due assi, l’uno simbolico e l’altro reale. Per la psicoanalisi – come Giancarlo Ricci giustamente sottolinea – il debito è simbolico. L’essere umano riceve dall’Altro una sorta di investimento iniziale di natura linguistica – un po’ come le imprese che ottengono un prestito per prendere avvio. Diversamente dalle aziende, per il soggetto sarà però impossibile sottrarsi: dal momento in cui entra nel linguaggio, dovrà fare i conti con qualcosa che gli è stato donato senza averlo richiesto. Anche disfarsene pare difficile. La catena di significanti in cui siamo catturati, se da un lato permette a ognuno di inserirsi nell’ordine dello scambio simbolico, cioè parlare, dall’altro può risultare un intralcio faticoso quando diventa una ripetizione arida, un equivalente dell’istinto senza essere animali. Come i giocatori d’azzardo patologici trattati da Nicolò Terminio, obbligati a scommettere aspettando che i soldi finiscano e venga così arginato il loro automatismo. Ci chiediamo: chi alza il braccio per muovere la leva della slot machine? È abbastanza chiaro quanto sia difficile essere liberi? Sebbene suoni sufficientemente reazionaria da non essere presa in considerazione, Goethe aveva suggerito una strategia per emanciparsi: riconquistare ciò che è stato ereditato. In tal modo si spera di possedere davvero il lascito senza esserne posseduti.
A ciò si deve aggiungere il lato reale della pulsione – la dimensione decisiva dell’analisi su cui si valuta la riuscita di una cura. Freud aveva intuito che l’uomo è refrattario alla salvezza, non vuole saperne di guarire, perché comporta l’abbandono del proprio godimento. L’aspetto assurdo è che l’uomo gode di oggetti ritenuti totalmente inutili, inessenziali, dal senso comune. È noto il parallelismo tra feci e denaro, lo è meno che l’escremento sia un oggetto causa del desiderio, un “plusgodere”. Elvio Fachinelli parla dell’oro come del «primo cocente amore del giovane capitalismo» (p. 16), e siamo dunque stupiti nel pensare che qualche banchiere sperduto a Wall Street strabuzzi gli occhi nel vedere una “montagna di merda”. La materia a cui si dà meno importanza risulta invece determinante. C’è una cosa curiosa, se si legge il contributo di Massimo Amato. Questi spiega che i soldi non valgono nulla, la moneta è fatta solo per sparire nella circolazione – allo stesso modo delle feci. Eppure, perché mai tanta gente si ostina ad accumulare il nulla? Come l’avaro di Molière che stipava tutto nel giardino e sovente andava ad assicurarsi che non mancasse niente, così molte persone controllano più volte al giorno con lo stesso tic osceno, per esempio, che il fondo obbligazione continui a rendere. Keynes aveva azzeccato la questione: occorre creare una moneta che in sé non si trattenga, perché se si lasciano le cose al loro corso, l’uomo si mostrerà stitico.
Un punto di sintesi teorica, tra quello che abbiamo chiamato il lato simbolico e quello reale, è il “discorso del capitalista”, proposto da Lacan nel 1972. Introdotti qualche anno prima, i “quattro discorsi” sono infatti dei dispositivi concettuali in grado di connettere sociale e individuale, linguaggio e godimento. Utili agli analisti per inquadrare la struttura dell’analizzante, a noi interessano per un diverso motivo. Nel suo intervento, Federico Chicchi nota come la soggettività più diffusa non si senta in colpa perché in debito, ma nel caso sia incapace ad accedere a nuovo credito. Insomma, una volta ci sanzionavamo perché ogni volta il godimento era troppo, ora ci accusiamo di non godere mai abbastanza. Tale ribaltamento è dovuto al fatto che nel discorso del capitalista si instaura un rapporto privilegiato con l’oggetto del godimento; si assiste quindi all’“industrializzazione del desiderio” (Lacan, 1978, p. 229). Visto che è nella natura degli oggetti essere sostituibili (dato il carattere metonimico del desiderio), comprendiamo anche perché l’individuo capitalistico non si accontenti mai e percepisca ogni limite come un’insopportabile privazione.
Andrea Mura si sofferma diffusamente su questi e altri aspetti, ma non accenna alla centralità della stupidità come fattore centrale dell’uscita dal discorso del capitalista. La coppia furbizia/stupidità ricorre spesso negli scritti degli anni ’70 di Lacan. Per esempio, nel testo del 1973 Excursus afferma: «per rendere veramente bene come analisti, si dovrebbe, al limite, riuscire a ridurre se stessi più stupidi che di natura» (ibidem). Nel seminario Les non-dupes errent, dell’anno seguente, si sosterrà che convenga essere il più allocchi possibile per non errare: se il capitalismo è astuto, ha successo e funziona, chissà cosa accadrà a contatto con la stupidità.
di Filippo Aguzzi
Bibliografia
Lacan J. (1978). Excursus, in Id. Lacan in Italia (1953-1978), trad. it. di L. Boni. Milano: La Salamandra.
Roudinesco É. (1997). Jacques Lacan. Outline of a life, history of a system of thought. New York: Columbia University Press.