In Verso il concreto (1932), Jean Wahl intravedeva nella filosofia a lui contemporanea, con grande spirito di previsione, un nuovo corso realista, votato a una comune reazione nei confronti dell’astrattezza della dialettica hegeliana: Heidegger, Husserl, Bergson, James, Whitehead e Gabriel Marcel – solo per citare alcuni nomi – sembravano ai suoi occhi riorientare il pensiero filosofico verso la concretezza dell’esperienza a partire da tre assi principali: 1. la convinzione che esista un fondo della realtà “non relazionale”, situato al di là di tutte le relazioni che pure costituiscono e vivificano il mondo empirico; 2. la conseguente e inevitabile reimmissione – nel cuore di forme anche radicali di realismo – di una sorta di “idealismo magico” che determina un’impossibilità de facto di raggiungere gli aspetti più profondi del reale; 3. l’apertura a istanze non strettamente filosofiche, ma anche letterarie, poetiche ed artistiche, in grado di riuscire nell’impresa conoscitiva là dove la razionalità del concetto fallisce. Se l’operazione di Wahl è stata a tutti gli effetti seminale nell’influenzare un’intera stagione della filosofia continentale francese (e non solo) in un percorso che giunge sostanzialmente sino al progetto deleuziano dell’empirismo trascendentale, si potrebbe altresì mostrare come le tre caratteristiche intraviste all’opera da Wahl nel pensiero degli anni ’30 siano perfettamente presenti anche nella cosiddetta Ontologia orientata agli oggetti (spesso abbreviata in OOO), a cui è dedicato il primo volume in lingua italiana, curato da Vincenzo Cuomo ed Enrico Schirò, Decentrare l’umano. Perché la Object-Oriented Ontology (a cura di V. Cuomo e E. Schirò, Kaiak Edizioni, 2021).
Sarebbe tuttavia arduo tratteggiare con precisione storia e sviluppi della OOO, movimento ibrido e assolutamente eterogeneo, legato in primis alla figura e al pensiero di Graham Harman, ma nato in seno a un complesso intreccio di rinnovati realismi sorti tra la fine del Ventesimo Secolo e il primo decennio del Ventunesimo, dallo speculative realism di Quentin Meillassoux, etichetta teorica più generale al cui interno si possono forse far rientrare tali realismi, al new materialism, passando per alcune forme dell’accelerazionismo e per il più laterale Nuovo Realismo difeso in Italia da Maurizio Ferraris. Certo, è possibile trovare cifra comune di tale svolta realista nella denuncia del cosiddetto “correlazionismo”, ossia dell’imprigionamento e del ridimensionamento della realtà (e dunque dei suoi oggetti) all’interno dello schema duale soggetto-oggetto, in un percorso moderno che da Cartesio giunge sino Kant; tuttavia l’eterogeneità di tali riflessioni, tale per cui ogni autore afferente a questa svolta professa in fondo una sua personale posizione, è confermata dalla parte antologica del volume, nella quale due dei nomi più prestigiosi associati a questo tournantesibiscono visioni sostanzialmente antitetiche: da un lato il neo-aristotelismo di Harman, il quale elabora una filosofia che dà consistenza alle forme sostanziali e individuali della realtà, da lui battezzate “oggetti” (p. 86); dall’altra il “(neo)platonismo” di Levi R. Bryant, che pare voler abbandonare la staticità dell’ontologia harmaniana in favore di una metafisica processuale della piega e del differenziale di chiara ascendenza deleuziana (pp. 48-53).
I testi presenti nel volume, tanto nella sua parte antologica quanto nella sua parte critica, introducono il lettore di fronte alle principali innovazioni teoriche prodotte dalla OOO. A emergere è innanzitutto la creatività del lavoro interpretativo harmaniano a partire dal corpus delle opere heideggeriane e husserliane: attraverso l’estensione del Dasein e dell’intenzionalità da presupposti di natura correlazionale e soggettivistica a principi insiti nella realtà nel suo complesso, Harman estrapola dalla tradizione “fenomenologica” una filosofia che difende strenuamente la dignità degli oggetti (p. 16) dalla loro riducibilità a componenti/parti (undermining) e/o a effetti/relazioni (overmining). Sono infatti gli oggetti – reali e sensuali – i veri protagonisti del pensiero harmaniano, i quali fungono da grimaldello risolutamente anti-olista attraverso il quale fuoriuscire dall’antropocentrismo insito nella tradizione filosofica moderna, per rilanciare di conseguenza una vera e propria metafisica. A partire da qui si rende comprensibile il denso inventario concettuale elaborato da Harman e ben riassunto dall’introduzione al volume firmata da Enrico Schirò: dal ritiro degli oggetti reali rispetto alle pretese del soggetto conoscente (withdrawal) alla natura piatta e radicalmente antigerarchica dell’ontologia (flatness), fino alla complessa natura della causalità, quasi un contatto senza contatto tra oggetti reali (vicarious causation). Seguendo la strada inaugurata da Harman, Timothy Morton – attraverso uno stile letterario tanto evocativo quanto espressivo – ha poi condotto la OOO verso nuovi orizzonti ecologici attraverso l’analisi delle eterogenee scale temporali (p. 68) dischiuse dai cosiddetti “iperoggetti”: l’importanza delle questioni ambientali – riconosciuta peraltro proprio da Harman, nell’intervista condotta da Thiago Pinho, come più cogente rispetto a una critica del capitalismo (p. 92) – traghettano così la OOO verso alcune delle più pressanti sfide della contemporaneità
Tra i punti di forza del volume, vi è certamente il suo sguardo non apologetico (p. 11): se è vero che la OOO ha effettivamente riaperto i giochi della filosofia continentale in seguito al declinare della stagione postmoderna, ciò non significa che la sua proposta teorica sia esente da criticità. Oltre alla già citata critica di Levi Bryant alla “staticità” della OOO, non va per esempio passata sotto silenzio, secondo Jean Claude Leveque, l’interpretazione harmaniana di Heidegger, certo creativa, ma non priva di imprecisioni (pp. 158-159) né la difficoltà di riconfigurare l’Ontologia orientata agli oggetti in un’ottica di critica del presente (pp. 170-171). Buona parte dei rilievi presenti nel volume si concentra però sulla problematicità di un realismo che, nell’insistere sull’irriducibilità degli oggetti ai modi in cui a essi si può accedere, costruisce una complessa dualità – più (post)kantiana di quanto Harman non voglia ammettere – tra ciò che è “in sé” e ciò che è “per noi”, come sostiene Levi Bryant (p. 43). In questo modo si slitterebbe senza soluzione di continuità verso forme di idealismo che Felice Cimatti – autore del contributo più critico presente nel volume – liquida in fondo come teologiche (p. 202). Non avendo fatto davvero i conti l’eredità trascendentale da un lato e con il linguistic turn dall’altro, la OOO ipostatizzerebbe secondo Cimatti la natura degli oggetti (o iperoggetti) a figure mistiche e divine (p. 230).
Non meno importante – per comprendere appieno il valore della proposta della OOO – è misurarne le concrete applicazioni ai diversi campi del sapere: come sottolinea Leveque, buona parte delle più interessanti proposte teoriche contemporanee ha fatto fortuna ben al di là del ristretto campo dei dipartimenti di filosofia (p. 151). La OOO non fa eccezione: si pensi a titolo di esempio all’influenza esercitata sulla programmazione informatica e in special modo videoludica, mediata dalla figura del teorico e programmatore Ian Bogost, o sulla teoria architettonica e il design (Harman insegna filosofia alla Southern California Institute of Architecture). Ma è anche la filosofia della mente a poter trovare nella OOO un buon alleato: come mostra Marco Mattei, si può tentare di collegare le riflessioni di Harman sugli oggetti tanto alla tradizione panpsichista quanto ad alcuni fondamentali contributi provenienti da certo cognitivismo contemporaneo (G. Tononi, A. Chalmers), in nome di una vera e propria “psicologia speculativa”. La OOO sembra poi poter fornire una convincente interpretazione etico-politica della tecnica, come evidenzia Claudio Kulesko attraverso un’affascinante analisi “accelerazionista” dei film Gremlins e Gremlins 2: eradicando l’utensile dall’orizzonte di un accesso soltanto umano e ridonandogli così compiutamente agency, Harman, secondo Kulesko, dischiude la possibilità di pensare un orizzonte tragico nel quale «la “dromosfera” diviene il luogo di una potenziale carneficina» (p. 286).
È però probabilmente il campo della teoria estetica quello nel quale le intuizioni della OOO sembrano poter dare i contributi più significativi. Harman stesso, nel mostrare l’impossibilità di un accesso umano e immediato agli oggetti, rivaluta infatti la potenza euristica del “non letteralismo” proprio per esempio della metafora e considera l’estetica come una vera e propria “filosofia prima” (p. 38). È a partire da queste considerazioni – messe in pratica per la prima volta da Harman nel suo libro dedicato a H.P. Lovecraft – che si muove il contributo di Cuomo, il quale, appoggiandosi al pensiero di Harman e integrandolo con alcune intuizioni decisive di Morton sull’algoritmo culturale agrilogistico (p. 255), mostra con chiarezza come sia possibile concepire un’estetica OOO che colga nell’idea di bellezza un accesso a quella “danza delle cose” (p. 269) situata al di là dell’orizzonte sensuale nel quale percezione e cognizione sembrerebbero dover restare inevitabilmente relegate. In questo modo Harman e Morton sarebbero in grado di confrontarsi con l’eredità kantiana, riprendendo e al tempo stesso rovesciando le principali definizioni del bello presenti nella Critica del giudizio.
Non si può – per concludere – se non salutare con entusiasmo l’uscita di Decentrare l’umano: da un lato perché dà voce a un movimento filosofico passato a lungo inosservato nel panorama filosofico italiano e dall’altro perché ne mostra senza retorica pregi e difetti, capacità di comprensione del presente e aspetti problematici. A emergere dalle pagine del volume è però anzitutto l’aspetto a parere di chi scrive più significativo della OOO, ossia il coraggioso tentativo di rilanciare un pensiero di natura metafisica – una “teoria del tutto” – capace di opporsi a quella liquidazione della filosofia prima che ha purtroppo caratterizzato buona parte delle riflessioni sviluppate nel Ventesimo secolo.
di Giulio Piatti