Breve introduzione alla lettura di Tim Ingold
La conversazione che segue si è svolta il 27 maggio 2017 a Aberdeen, al termine di una settimana di incontri della piattaforma europea Knowing from the inside, animata da attori tanto della pratica quanto della teoria attorno alla questione di una conoscenza viva e immanente. Una questione che Tim Ingold elabora da diversi anni, per lo più in maniera collettiva. All’incrocio tra arte e ricerca, questo gathering ha tentato di praticare e pensare un paradigma epistemologico e deontologico che, insieme a varie di letture dei suoi scritti, ha suscitato in noi una serie di domande relative al comune, alla democrazia e all’attenzione. Tali domande sono emerse nel corso di tale settimana dall’osservazione del percorso verso una « conoscenza dall’interno » intrapreso da Tim e da chi lo accompagnava. Ecco ricapitolati alcuni punti di riferimento preliminari affinché chi non conoscesse l’universo ingoldiano, assai singolare, possa orientarvisi.
Corrispondenze con il mondo
« Gli uomini di scienza non s’interessano semplicemente alle forme finali delle cose », scrive l’antropologo scozzese, « Essi cercano di penetrare al cuore dei processi della loro formazione ». Per cogliere la fabbricazione di un cesto, la costruzione d’un nido d’uccello, l’interpretazione di continuo rinnovata di uno spartito al violoncello, Ingold ha scelto la via dello studio della percezione incarnata dell’ambiente. A partire dal presupposto che ogni gesto emerge in corrispondenza con il mondo, che non può esser il prodotto d’una vuota astrazione impressa su una materia inerte, Ingold ha fatto di un certo paradigma ecologico la colonna vertebrale di un pensiero le cui ramificazioni raggiungono gli ambiti del fare (making), dell’educare, dell’abitare. Fare con (un mondo di materiali-in-divenire), fare lungo (delle linee), tramarsi in (un mondo-metereologico).
Attizzare l’aria immobile
La lettura di Ingold fornisce l’impressione di assistere ad un corpo a corpo ontologico: la trasmissione delle rappresentazioni contro l’educazione dell’attenzione, l’occupazione contro l’abitazione, il trasporto contro l’itineranza, l’hylemorfismo contro la morfogenesi. Nei suoi scritti l’antropologo si scaglia (non senza una certa ostinazione) contro le posizioni concettuali che tenderebbero ad alienare, ovvero a non prestare attenzione all’implicazione d’un organismo nel suo ambiente, a reificare, ovvero a non prestare attenzione al continuo divenire del mondo, a imporre, ovvero a considerare il mondo come un dato, inerte e impassibile, una « superficie di letteralità opaca, piatta e gelata». Ingold invita ad attizzare e nel contempo abbracciare il medium attraverso il quale siamo in divenire, e pensare le continuità che spezziamo piuttosto che sognare cocci da ricomporre.
Controllo e prensilità
Poiché separare gli organismi dal loro ambiente — come abbiamo separato lo spirito dal corpo per poter sovrastare il reale — non ha soltanto implicato un’illusione di controllo delle cose, ma ci ha anche trascinato in un processo opposto di perdita della presa rispetto alle cose, processo che costituisce un perquisito ad ogni ex-powerment radicale. Questa perdita prensile pare esattamente costituire una dei tormenti di Ingold: alimentati da un’interrogazione circa le possibilità e le forme del fare, dell’abitare e dell’educare, i suoi testi rappresentano degli inviti a offrire una presa, a esporsi alle forze e ai materiali che strutturano i nostri ambienti per meglio situarvisi e intesservi le nostre stesse forze e energie.
Ecologie politiche
È qui, sul terreno della percezione ecologica e incarnata dell’ambiente, che sembra prodursi il lavoro propriamente estetico-politico di Tim Ingold. Spesso implicito, poiché inscritto all’interno di scontri epistemologici, esso è divenuto la materia della conversazione che abbiamo avuto con l’antropologo. Come pensa le lotte di potere l’ecologia delle linee? Quali rapporti la poetica dell’abitazione del mondo intrattiene con il pensiero democratico così caro a Ingold? Quali sono le forme d’impegno e le possibilità d’azione dell’antropologia e delle arti in questa lotta?
di Martin Givors e Jacopo Rasmi