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Da diversi anni Anthony Grafton si dedicava allo studio della magia rinascimentale, preparandosi a scoprirne gli altarini. A più di vent’anni dalla collettanea Der Magus: seiner Ursprünge und seine Geschichte in verschiendenen Kulturen, edita in collaborazione con Moshe Idel e di cui Grafton aveva curato l’introduzione, lo storico statunitense torna ad analizzare la cangiante figura del mago erudito nel volume Magus. The Art of Magic from Faustus to Agrippa, distribuito per il pubblico europeo dalla Penguin Books per conto della Harvard University Press.

Attraversando i decenni a cavallo tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, Grafton offre una vivida ricostruzione del fermento scientifico, intellettuale e culturale che caratterizzava l’Europa di quegli anni: una fase in cui le tradizionali divisioni tra discipline, arti e professioni si assottigliano o scompaiono del tutto, donando così nuova linfa allo spirito creativo dell’epoca. Come ricordato nell’introduzione, il mago erudito o magus è rappresentante e frutto di questo contesto socio-culturale, al pari di altre categorie intellettuali moderne quali l’artista, lo scienziato, l’umanista di stampo erasmiano, il riformatore protestante. A differenza di queste, tuttavia, il profilo del magus è offuscato da un affastellarsi di correnti, interessi e suggestioni eterogenee che – unite al costante sospetto che in fin dei conti il mago erudito non sia altro che un ciarlatano molto convincente – rendono difficile inquadrarne la figura in dei parametri precisi. L’oggettiva difficoltà nel delineare dei contorni ben definiti del tema studiato viene in realtà trasformata dall’autore in un’occasione per dimostrare l’eccezionale versatilità del magus. Non solo le sue conoscenze affondano le radici in una moltitudine di tradizioni differenti, non solo ciascun mago è in grado di specializzarsi nei campi che più lo interessano: è anche capace di presentarsi in maniera accattivante a studiosi, persone di potere o semplici popolani. Come ogni performerche si rispetti, il magus si adatta alla sensibilità del proprio pubblico, adotta il registro linguistico più opportuno, evidenzia gli elementi di maggior richiamo per chi lo ascolta senza, tuttavia, scoprire tutte le sue carte: nel momento in cui i segreti vengono rivelati, a venir meno non è solo l’alone di mistero, ma il potere stesso del mago erudito.

Date queste premesse, non stupisce che uno studioso del calibro di Grafton abbia resistito alla tentazione di offrire nel suo libro una disamina completa della figura del mago rinascimentale – operazione che avrebbe richiesto ben più delle quasi trecento pagine che compongono il volume, dovendo trattare a fondo non solo la notevole varietà di interessi scientifici e filosofici a cui si è già fatto cenno, ma anche lo smisurato numero di pensatori che si sono fregiati del titolo di magus tra XV e XVI secolo. L’obiettivo di Magus. The Art of Magic from Faustus to Agrippa, come lascia intendere il sottotitolo, è piuttosto quello di presentare una serie di casi esemplari, una galleria di illustri maghi rinascimentali e identificare, attraverso la loro vita e le loro opere, alcune caratteristiche ricorrenti dell’arte della magia a cavallo tra Quattro e Cinquecento. I pensatori scelti per questo affresco d’epoca non sono certo nomi sconosciuti ai più: sulla vita e le opere di Giovanni Pico della Mirandola, Marsilio Ficino, Johannes Trithemius e Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim la letteratura è sterminata. L’originalità del volume di Grafton, in effetti, consiste in un nuovo approccio, una diversa prospettiva sul pensiero di questi quattro umanisti: l’intento dell’autorenon è quello di trattare esaustivamente le teorie di intellettuali su cui tanto si è già scritto, ma di evidenziare come ciascuno di essi abbia interpretato in maniera specifica e personale il proprio ruolo di mago erudito, a riprova dell’estrema flessibilità che caratterizza la categoria. Questi quadri d’autore sono pensati per offrire uno scorcio sull’attività dei singoli magi e al contempo ricordare che si tratta solo di una delle possibili declinazioni: l’arte della magia è talmente composita che è impossibile rappresentarla in maniera esauriente attraverso l’opera di quattro pensatori, per quanto noti e influenti. E, in effetti, uno dei maggiori pregi di questo volume consiste proprio nel riuscire a sviluppare degli specifici filoni tematici senza rinunciare a una prospettiva di ampio respiro: la sensazione che si ha è quella di scrutare da vicino alcune tessere di un grande mosaico, ma tenendo sempre a mente la composizione nel suo insieme.

Questo effetto di visione panoramica costante è reso possibile dalla struttura estremamente efficace dell’intero volume: prima di immergersi nel dettaglio delle teorie dei quattro autori principali, al lettore viene offerta nell’introduzione e nei primi due capitoli una vivace sintesi della storia dell’arte della magia, della sua ricezione, degli elementi di rottura e di continuità tra l’epoca tardo-medievale e quella rinascimentale e dei macro-temi che ne guidano lo sviluppo e la fortuna dal Quattrocento in poi. Alcuni di questi aspetti vengono ripresi e sviluppati nei capitoli successivi, dedicati a Pico, Ficino, Trithemius e Agrippa di Nettesheim; altri elementi vengono introdotti successivamente, prendendo spunto dalle opere e dalle attività dei quattro umanisti. Grazie a questo progressivo allargamento di prospettiva, il volume riesce a rappresentare il tema nella sua complessità, senza però che il lettore si senta smarrito di fronte a una notevole mole di informazioni.

E quello del magus e dell’arte della magia è un terreno su cui è estremamente facile perdersi, proprio per quell’assenza di contorni definiti e quella varietà di campi affini e contigui che costituiscono lo sfuggente profilo del mago erudito e della sua materia. Nonostante queste difficoltà intrinseche e le premesse tutt’altro che favorevoli, il testo riesce a costruire un percorso solido e lineare, che il lettore segue con facilità, per quanto molti dei nodi concettuali menzionati nell’opera non siano approfonditi, ma solo accennati: la scelta consapevole dell’autore è senz’altro quella di mettere in risalto l’intreccio di discipline e tematiche legate alla figura del magus, a scapito di uno studio dettagliato dei singoli aspetti, per quanto interessanti. Da sempre al crocevia tra filosofia naturale, alchimia, astrologia e le nuove forme del sapere scientifico della primissima modernità, la magia rinascimentale è stata oggetto di numerosi studi di valore, che Grafton ha tenuto in considerazione nella costruzione del percorso del volume: come dichiarato esplicitamente nell’introduzione, tra i testi che l’autore ricorda come fonte d’ispirazione per la propria ricerca figurano il celeberrimo Giordano Bruno e la tradizione ermetica di Frances Yates, Spiritual and Demonic Magic: From Ficino to Campanella di Daniel P. Walker, il contributo di Paolo Rossi su Francesco Bacone: dalla magia alla scienza e alcuni saggi di Eugenio Garin (Interpretazioni del Rinascimento, Magia e astrologia nella cultura del Rinascimento e Considerazioni sulla magia). Benché questi testi forniscano senz’altro una cornice storiografica imprescindibile per lo studio del mago e della sua attività, in Magus ritornano molti dei personaggi e dei temi già trattati da Grafton in opere precedenti. Dalla costellazione di concetti che ruotano attorno al mago rinascimentale emerge, ad esempio, la centralità della riflessione sull’inventio, sul ruolo delle arti e della tecnologia, campo in cui gioca un ruolo fondamentale Leon Battista Alberti, esperto anche di codici cifrati (Grafton 2003). Altro tema ricorrente nella produzione di Grafton è l’interesse per la scrittura come mezzo di diffusione del sapere, con libri a stampa e manoscritti al centro di una fitta rete di trasmissione di conoscenze arcane; e ancora, ritornano temi fondamentali de Il signore del tempo (Grafton 2002), con la profonda commistione tra astrologia, in quanto tecnica divinatoria, e magia – e pure il suo protagonista, Girolamo Cardano, fa una rapida apparizione in Magus per denigrare il sistema criptografico di Trithemius. Infine, trovano spazio anche eclatanti esempi di contraffazione, alcuni ricordati anche in Falsari e critici (Grafton 1996), come quello del teologo domenicano Annio da Viterbo, che dà alle stampe una serie di testi sulla storia dell’antico Egitto, dei Caldei e dell’Etruria narrando fatti totalmente inventati.

Accanto a questi echi di studi precedenti, il volume raccoglie numerosi ulteriori spunti, digressioni e analisi dei vari aspetti legati all’emergere e all’affermarsi della figura del mago erudito. La tipica ambivalenza del magus medievale, che oscilla tra la pratica di arti diaboliche e riprovevoli e l’esercizio della magia naturale, è evidenziata attraverso le riflessioni di Niccolò Cusano, che condanna anche l’attenta riflessione sull’astrologia da parte di autori come Alberto Magno e Ruggero Bacone. Quest’ultimo anticipa anche un elemento fondamentale che contraddistingue il mago rinascimentale rispetto alla sua controparte tardo-medievale: la convinzione che l’uomo abbia la capacità – attraverso determinate discipline e artes – di intervenire sulla natura, plasmarla a piacimento o addirittura superarla nel processo creativo. Benché Bacone non avesse alcuna intenzione di associare la scientia experimentalis alla magia, è da questo retroterra che attingono artisti, inventori, uomini di ingegno (ingeniatores) – figure determinate a mettere in mostra il proprio intelletto padroneggiando i segreti della natura e sfidandola al suo stesso gioco. Il confine tra magia e scienza, tra conoscenza arcana e sapere tecnologico è tutt’altro che nitido: molti ingeniatores intrecciano la propria attività con le arti magiche, in maniera più o meno dichiarata, accompagnando schemi di pompe idrauliche, marchingegni mobili e architetture impossibili a studi di idromanzia, di proprietà naturali occulte e di operazioni demoniche. Per quanto erudito, dunque, il mago rinascimentale non basa le proprie capacità unicamente sullo studio dei corpi celesti, degli spiriti vitali, dei rapporti di simpatia e antipatia e delle fonti antiche e tardo-antiche arabe, ebraiche e latine.

Senza dubbio nel magus convivono un aspetto di miglioramento personale, di ascesa spirituale (Ficino docet) e un’attenzione alla sperimentazione, testando il funzionamento di talismani, incantesimi e rituali e verificando le proprietà effettive del mondo naturale. Tuttavia, uno dei risvolti più affascinanti che emerge da questo volume è che le attività pratiche del mago non si fermano ai semplici controlli empirici della teoria: in un contesto spumeggiante come quello quattro e cinquecentesco, essere un magus significa anche uscire dai propri studioli e dimostrare le proprie abilità in pubblico, alla ricerca di prestigio sociale e, soprattutto, di ricchi mecenati e protettori. Già Alberti lamentava la sciocca tendenza degli umanisti a nutrire sogni di gloria, ma rinchiudersi poi nelle biblioteche «dove le loro gambe si assottigliano, gli occhi si fanno arrossati e questi diventano totalmente incapaci di corteggiare una donna o di fare una buona impressione su un uomo di potere» (p. 54). Il mago rinascimentale si trova spesso a esibire la propria arte, a mettere in mostra conoscenze e capacità al limite dell’umano per attirare a sé i giusti protettori o per tenere in pugno l’audience. Ogni mezzo è utile per il successo, dalla semplice persuasione all’uso di macchine sceniche e camere oscure: Faust intrattiene una platea di studenti a Erfurt evocando, nello sbalordimento generale, le ombre degli antichi eroi omerici tramite un complesso sistema di proiezione di immagini; i morti tornano in vita attraverso l’uso di congegni meccanici che fanno muovere scheletri; gli idoli – ovvero statue-automi appositamente progettate – come negli antichi testi ermetici parlano, si spostano, addirittura piangono sangue. In queste performance si mischiano conoscenze reali e poteri fittizi, basi meccaniche rivestite di spiritualità, di interventi demoniaci o angelici, di allusioni a segreti che non possono essere svelati. E l’importanza dell’arcano era chiara, ancora una volta, tanto ai maghi quanto agli ingeniatores: Brunelleschi consiglia al senese Taccola di condividere le proprie invenzioni solo con quei pochi uomini che comprendono e amano le scienze, perché chi offre a tutti i frutti del proprio ingegno ottiene in cambio solo calunnie e tentativi di plagio; Trithemius sottolinea come il popolo ignorante sia sempre pronto ad aggredire ciò che non capisce, a ritenere malvagio qualsiasi potere sfugga alla sua comprensione – anche quando si tratta di semplici conoscenze naturali, assolutamente prive di diabolici zampini. Il risultato è un gioco di detti e non detti, di tradizioni orali, di iniziazioni da maestro ad allievo, di pratiche crittografiche che cercano di celare la vera natura del messaggio sotto inquietanti vesti spiritiche – è il caso della Steganographia di Trithemius, dove i codici si presentano con nomi di folte schiere di demoni e angeli.

In conclusione, Magus. The Art of Magic from Faustus to Agrippa si piega necessariamente alla spiazzante varietà del tema trattato: il profilo sfuggente del mago rinascimentale si fa più nitido, ma non viene mai fissato completamente sulla pagina. La mancanza di un capitolo conclusivo lascia intendere che il magus sia così dinamico da non poter tracciare che uno schizzo della sua figura; se ancora tanto resta da indagare, quello che è certo è che il volume di Anthony Grafton offre un solido punto di partenza per le ricerche a venire e che, per la struttura intelligente e il linguaggio scorrevole, diverrà rapidamente un punto di riferimento per gli studi futuri sul mago erudito.

Laura Cesco-Frare

Bibliografia

Grafton A. (1996), Falsari e critici: creatività e finzione nella tradizione letteraria occidentale, Torino, Einaudi (Forgers and Critics. Creativity and Duplicity in Western Scholarship, Princeton University Press 1990).

Grafton A. (2002), Il signore del tempo: i mondi e le opere di un astrologo del Rinascimento, Roma, Laterza (Cardano’s Cosmos: The Worlds and Works of a Renaissance Astrologer, Harvard University Press 1999).

Grafton A. (2003), Leon Battista Alberti: un genio universale, Roma, Laterza (Leon Battista Alberti: Master Builder of the Italian Renaissance, Harvard University Press 2000).

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