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Se si considerano le  già numerose traduzioni italiane dell’ingente corpus di Bernard Stiegler, colpisce come soltanto recentemente sia stato tradotto il primo volume di Tecnica e tempo, La colpa di Epimeteo (Luiss University Press 2023), uno dei suoi testi principali. La pubblicazione, considerando il valore fondativo che riveste nella produzione stiegleriana, rappresenta – riprendo l’espressione di Paolo Vignola, curatore del testo, nonché di molte altre opere di Stiegler – un “supplemento necessario” per la comprensione del filosofo da parte del lettore italiano. Come osserva Vignola nella prefazione, le numerose traduzioni già presenti in Italia si sono spesso limitate a testi autobiografici o di occasione, causando nel lettore «un appiattimento del pensiero stiegleriano sulla sua componente più sensazionalistica, di attualità o in certi casi militante» (Vignola 2023, p. 10), oscurando però la dimensione schiettamente filosofica da cui traggono origine. Data questa particolare situazione editoriale, la traduzione italiana di La colpa di Epimeteo permette al lettore di affrontare la componente strettamente teoretica del pensiero di Stiegler. 

Pur rappresentando solamente la prima parte della monumentale serie Tecnica e tempo – in tutto sette libri, di cui tuttavia sono stati pubblicati solamente i primi tre (Stiegler 2018) –, La colpa di Epimeteo contiene il nucleo più strettamente teorico del pensiero di Stiegler, ossia la proposta di rendere la «techne il terzo incomodo tra Natura e Cultura, ma anche tra physis e bios» prendendo quindi in considerazione «contro o al di là della tradizione filosofica, […] questo “altro inorganico”, ossia la materia degli enti tecnici. Si tratta, per Stiegler, della materia inorganica che, nell’essere organizzata dall’uomo, inventa e reinventa costantemente e dall’interno la natura di quest’ultimo, rendendo impossibile stabilire quelle opposizioni dicotomiche di cui si nutre la metafisica occidentale» (Vignola 2023, p. 11). Se fin «dalla sua stessa origine, e fino a ora, la filosofia ha rimosso la tecnica come oggetto di pensiero» (Stiegler 2023, p. 45), l’intento di Stiegler è «pensare in un unico movimento (l’“origine” della) tecnica e (l’“origine” dell’) uomo» (p. 175). Tale movimento – già rintracciabile nella différance derridiana, di cui Stiegler offre una rilettura originale – non si limita a concepire la tecnica come rottura all’interno della vita pura in generale (Derrida 2021), quanto di indicare in questa rottura la genesi stessa dell’uomo come «continuazione della vita con altri mezzi rispetto alla vita» (Stiegler 2023, p. 64). In altri termini, l’uomo compare nel momento in cui compare la tecnica e viceversa. Questa correlazione rappresenta per Stiegler la particolarità dell’homo sapiens, aspetto che forse Derrida avrebbe ritenuto ancora troppo tradizionale (Derrida 2020). 

Debitrice di Derrida (Derrida 2015) è invece la strategia messa in atto da Stiegler di leggere in maniera decostruttiva il rapporto che la filosofia occidentale ha intrattenuto – o, meglio, non intrattenuto – con la tecnica, da sempre relegata al polo deteriore di ogni dicotomia, quello fuori dal privilegio spirituale del logos, senza assurgere mai quindi alla piena dignità di una questione filosofica. L’obiettivo è perseguito in particolare attraverso un’approfondita lettura di Heidegger, di cui il titolo della serie – Tecnica e tempo, da accostare a Essere e tempo – sembra essere testimone. Ciò è dovuto alla posizione teorica di Heidegger, a cui Stiegler ascrive il merito di aver indicato l’insufficienza di una «definizione strumentale e antropologica della tecnica» (Heidegger 1976, p. 5). Nell’ottica del filosofo francese, Heidegger non avrebbe tratto tutte le conclusioni del passaggio da una considerazione di quest’ultima come semplice mezzo alla comprensione della sua importanza ontologica: la tecnica rimane comunque identificata come il polo deteriore all’interno della dicotomia con la physis, su cui la tecnica si imporrebbe con violenza. Heidegger rappresenta quindi il pensiero che più di tutti va affrontato e decostruito per ottenere una più profonda comprensione della tecnica. Se per Heidegger alla tecnica è escluso il ruolo di originario, lo scopo di Stiegler è proprio quello di «pensare il tempo nell’orizzonte di una tecnicità originaria come oblio originario dell’origine» (Stiegler 2023, p. 52). 

Se tale lettura verrà completata nella seconda parte, la prima, L’invenzione dell’uomo, ne prepara il terreno. Proprio in quest’ultima, attraversando autori come Gille, Simondon, Rousseau e Leroi-Gourhan, Stiegler realizza il definitivo distacco dalla “definizione strumentale della tecnica”. Ciò permetterà di rileggere la tecnica come materia inorganica organizzata, tertium tra materia e forma capace di incrinare l’ilemorfismo, il quale oppone ad una materia inerte e docile la superiorità del logos sovrano che la plasma. Come nel Derrida della Grammatologia, anche qui Rousseau è preso come fulgido esempio delle configurazioni storiche di questa opposizione, diventando il simbolo dell’uscita dell’uomo dalla purezza dello stato di natura. Ecco che la lettura di Rousseau permette così a Stiegler di indicare «per antitesi come tutto ciò che è nell’ordine di quello che di solito si considera propriamente umano sia immediatamente e irrimediabilmente legato a un’improprietà, a un processo di “supplementazione”, protesizzazione o esteriorizzazione, […] dove tutto è mediatizzato e strumentalizzato, tecnicizzato, disequilibrato» (p. 174). 

Ciò può avere un valore deteriore soltanto qualora si leggano queste parole alla luce di una comprensione dell’oggetto tecnico come semplice strumento. Qualora invece ci si volga, come fa Stiegler, verso Leroi-Gourhan, si arriva a vedere la questione in altri termini: lo sviluppo della selce è inscindibile dallo sviluppo della corteccia cerebrale; proprio questo «rapporto co-evolutivo dell’uomo e della tecnica» (Vignola 2023, p. 31) è il livello in cui Stiegler situa la différance. Se l’intento di questa prima parte consisteva nell’invenzione dell’uomo, la rilettura della différance permette di approfondire la questione: come va intesa l’ambiguità del genitivo nell’espressione “l’invenzione dell’uomo”? Fra la tecnica e l’uomo, chi occupa il posto del “chi” e del “cosa”? Ecco che la différance permette di pensare al rapporto tra questi termini evitando di dare il primato, qualunque esso sia, a uno dei due: non c’è “chi” senza “cosa”, non si dà cioè un’interiorità spirituale che, intatta e già completamente realizzata, si volge all’esterno per modellarlo. Semmai, quanto appena detto va compreso come il risultato di un unico processo, i cui risultati sono quindi dipendenti, e non opposti, l’uno dall’altro.  Come conclude molto chiaramente Stiegler, «l’interno è inventato da questo movimento: non può quindi precederlo. Interno ed esterno si costituiscono quindi in un movimento che li inventa entrambi: un movimento in cui si inventano l’uno nell’altro, come se ci fosse una maieutica tecno-logica di ciò che chiamiamo uomo» (Stiegler 2023, p. 184). L’uomo quindi esteriorizza, tramite lo strumento tecnico, un’interiorità che non preesiste a questa stessa esteriorizzazione. 

Epifilogenesi è il nome che viene dato a questa dinamica, ossia lo strappo che separa la nascita stessa e lo sviluppo dell’uomo dalla pura vita organica per affidarlo costitutivamente al tecnico. Se lo strumento tecnico è esteriorizzazione, protesi, questo è per Stiegler memoria esteriorizzata. Ciò significa che accanto alla memoria genetica della specie, e a quella epigenetica dell’individuo, si pone il terzo termine della memoria epi-filo-genetica, cioè appunto lo strumento tecnico, «l’accumulo ricapitolativo, dinamico e morfogenetico (filogenesi) dell’esperienza individuale (epi(p. 218) indicando così «la comparsa di una nuova relazione tra l’organismo e il suo ambiente, che è anche un nuovo stato della materia: se l’individuo è una materia organica e quindi organizzata, il suo rapporto con l’ambiente (con la materia in generale, organica e inorganica), quando è un chi, è mediato da questa materia organizzata anche se inorganica che è l’organon, lo strumento con il suo ruolo istruttore (il suo ruolo di strumento), il cosa. È in questo senso che il cosa inventa il chi tanto quanto è inventato da esso» (ivi). Di conseguenza, se non è possibile parlare dell’uomo senza le sue protesi tecniche, e se queste rappresentano la sua memoria epifilogenetica, ciò segnala non solo l’impossibilità di ridurre lo strumento a mezzo, ma anche l’obbligo di concepire la temporalità a partire dalla sua stessa articolazione tecnica, cioè «pensare la relazione tra essere e tempo come una relazione tecno-logica, se è vero che essa si tesse unicamente nell’orizzonte “originario” della tecnica» (p. 175).

La prima parte del testo si chiude, quindi, con la messa in campo di questi strumenti teorici, introducendo così una lettura decostruttiva di Heidegger, compiuta nella seconda e ultima parte del testo. Essa sarà volta a rintracciare in Heidegger l’estremo esempio dell’esclusione della tecnica dal pensiero, dove vengono opposti il «tempo del calcolo (tempo inautentico della misura, del tentativo di “determinare l’indeterminato”) e [il] tempo autentico come rapporto alla morte» (p. 220). Ma Stiegler non si ferma a questo punto, in piena consonanza con l’eredità del maestro (Derrida 1997, 2010) bensì ricava dalla decostruzione di questi concetti heideggeriani lo spazio per un’analitica esistenziale della tecnica, «un’analisi della protesicità» (Stiegler 2023, p. 2020) capace di mostrare come lo strumento tecnico sia inscritto nella costituzione stessa dell’esserci. 

Questa nuova analitica della protesicità non potrà più fondarsi, come in Heidegger, sulla favola di Igino, che rintraccia nella Cura la costituzione fondamentale dell’esserci (Heidegger, 2005a, §42), bensì sul mito di Prometeo, e in particolare sulla figura del fratello Epimeteo. Nel mito, e specialmente nella versione del Protagora platonico, Stiegler ravvisa il «legame originale» (Stiegler 2023, p. 223) che tiene uniti tecnica e tempo. Se può stupire che Heidegger non abbia mai parlato di questo mito, se non in maniera cursoria (Heidegger 2005b), maggiormente colpisce la dimenticanza della figura stessa di questo oblio, Epimeteo. È proprio nella vicenda del mito che Stiegler vede la conferma e l’approfondimento di quanto trattato finora: la nascita dell’uomo è dovuta alla colpa di Epimeteo, che dimentica di fornire all’uomo le δυνάμεις per vivere, donandole tutte agli altri animali. Questa dimenticanza è l’origine dell’uomo: «all’origine ci sarà stato solo il difetto, che è appunto il difetto d’origine e l’origine come difetto» (Stiegler 2023, p. 228). Ma Epimeteo, “colui che pensa dopo”, figura della dimenticanza e dell’oblio, è soltanto uno dei due poli dell’origine: questa mancanza viene raddoppiata dall’accorto fratello Prometeo che, rubando il fuoco, dona la tecnica all’uomo. Questo dono porta con sé i tratti del suo donatore: tramite la tecnica l’uomo si costituisce, può prevedere e progettare il proprio esistere, essendo entrato nel tempo. Ecco che il dono di progettare, quel legame che Heidegger rintraccia tra il Dasein e la propria la morte, non viene soltanto legato alla tecnica, ma indicato altresì come risultato di questo oblio, cioè la colpa di Epimeteo. Il tecnico si riconferma così come inscindibilmente legato alla temporalità, questa declinata nelle figure dei due fratelli come oblio e preveggenza, ma quindi anche come mortalità. Se Heidegger si incentra, per il privilegio dell’essere-per-la-morte e quindi del futuro, sul lato Prometeico dell’esserci, la lettura di Stiegler del testo heideggeriano punterà a rintracciare l’originario oblio epimeteico. Porre questo oblio all’origine dell’uomo significa, seguendo il mito, mostrare l’impossibilità di una separazione netta tra l’autentico e l’inautentico, cioè tra costituzione dell’esserci e tecnica. In altre parole, questo oblio rappresenta l’origine della stessa “storia dell’essere”, di cui la tecnica non è l’esito ma la condizione di possibilità: la condizione del fatto che ci sia, in generale, una storia: «la fatalità dell’eredità è il significato profondo della figura di Epimeteo. Come accumulo di colpe e dimenticanze, come eredità e trasmissione, sotto forma di sapere riflessivo e smemorato, l’epimetheia dà anche il senso della tradizione» (p. 245). 

Data la recente scomparsa di Stiegler, la traduzione di questo testo ci può aiutare ad affrontare nuovamente, con nuove domande e necessità teoriche, non solo la tradizione filosofica occidentale, bensì anche l’eredità stessa di Stiegler; pertanto, l’apertura del cantiere di traduzione di Tecnica e tempo avrà sicuramente importanti effetti.

Pietro Prunotto

BIBLIOGRAFIA 

Derrida, J. (1997). Ousia e grammé. Nota su una nota di Sein und Zeit. in Margini della filosofia. ed. it a cura di M. Iofrida. Torino: Einaudi. 

Id. (2010). Dello spirito. Heidegger e la questione. ed. it a cura di G. Zaccaria. Milano: SE.

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Heidegger, M. (1976). La questione della tecnica. in Saggi e discorsi. ed. it. a cura di G. Vattimo. Milano: Mursia

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Stiegler, B. (2018). La technique et le temps. 1. La Faute d’Épiméthée – 2. La Désorientation – 3. Le Temps du cinéma et la question du mal-être. Paris: Fayard.

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Vignola, P. (2023). Il ritardo dell’anticipazione. in B. Stiegler, La tecnica e il tempo. Vol. 1. La colpa di Epimeteo. ed it. a cura di P. Vignola. Roma 2023: Luiss University Press.

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