A lungo trascurato in patria, grazie al grande successo internazionale Giorgio Agamben è oggi oggetto anche in Italia di una serie di recenti studi e pubblicazioni. L’ultimo esempio ne è il libro di Ermanno Castanò Agamben e l’animale (Novalogos, 2018), che segue di pochi mesi quelli di Riccardo Panattoni (Giorgio Agamben,Feltrinelli, 2018) e Flavio Luzi (Quodlibet. Il problema della presupposizione nell’ontologia politica di Giorgio Agamben,Stamen, 2017), e di un paio d’anni il volume collettaneo curato da Antonio Lucci e Luca Viglialoro (La vita delle forme,Il nuovo melangolo, 2016). Tutti questi studi scelgono un angolo particolare da cui leggere e analizzare la produzione agambeniana, e quello scelto da Castanò è la questione dell’animale, o, meglio, dell’essere umano come “animale politico”. E tuttavia questa non è semplicemente una delle tante possibili prospettive di analisi, perché Castanò mostra bene come la questione dell’animalità (umana) non sia solo un “problema di fondo della nostra cultura” (pag. 7), ma anche uno dei cardini – se non quello principale – attorno a cui ruota l’intera opera di Agamben, da L’uomo senza contenuto del 1970 fino alla conclusione della serie “Homo sacer” nel 2014 e agli ultimi libri. Quindi leggere Agamben alla luce della questione dell’animale significa ripercorrere tutta la sua vasta produzione svelandone e illuminandone l’intenzione unitaria che ne tiene insieme le varie fasi, che è quella di pensare l’essere umano al di là della frattura metafisica che lo separa dalla (propria) animalità.
Il metodo adottato da Castanò è semplicemente quello di analizzare, prima cronologicamente e poi strutturalmente (nel caso della serie “Homo sacer”) tutte le varie opere del filosofo romano per mostrare come questa questione ne strutturi sempre, ancorché in modi diversi e assai spesso in tono minore, l’interrogazione filosofica. Il risultato è un corposo studio che, per quanto esplicitamente non si voglia come “un’ennesima introduzione” (pag. 10), in pratica è senza dubbio a oggi la più completa e dettagliata introduzione in italiano alla filosofia di Agamben, in quanto ne analizza a fondo e in dettaglio tutte le opere principali (e molte di quelle meno lette e analizzate), le intenzioni e le influenze filosofiche, e le problematiche fondamentali. L’intenzione primaria di ricondurre il pensiero di Agamben alla questione dell’animale non risulta affatto una forzatura, perché è innegabile che fin dai suoi primi scritti alla fine degli anni Sessanta – senza dubbio sulla scorta di Heidegger – la domanda che guida Agamben è quella sulla relazione, nelle definizioni aristoteliche dell’umano, tra zoon e logos, tra animalità e razionalità/linguaggio, che è inscindibile da quella tra l’animaleumano e la sua politicità. Inoltre, l’animalità che interessa ad Agamben è (per lo più) quella umana, e la questione stessa in fondo rimane, anche nello studio di Castanò, assai spesso in secondo piano e quasi in filigrana: è una sorta di corrente sotterranea che sostiene le varie analisi dell’estetica, della storia, e della politica, tutte comunque riconducibili alla grande questione della metafisica e del suo superamento.
Castanò mette bene in evidenza come la struttura portante della metafisica sia per Agamben quella di una cesura, di una separazione tra un sostrato inconoscibile e innominabile che va a fondo (di volta in volta la voce animale, la physis, la natura, la vita naturale, l’animalità, ecc.), per sostenere in questo modo l’emergere di una “sostanza” conoscibile e nominabile (il logos, il nomos,la cultura, la vita “politica”, l’umanità…). E questa struttura presupponente sostiene, più o meno chiaramente, tutte le analisi svolte già fin da L’uomo senza contenuto. Quindi anche quando, come in tutta la prima fase del suo pensiero (almeno fino a La comunità che viene, 1990), Agamben si concentra principalmente sulla questione del “linguaggio”, lo fa analizzandolo nella sua contrapposizione al sostrato materiale e innominabile della vita e della “voce” animale. È innegabile che Agamben appartenga a una tradizione fortemente antropocentrica, ed è facile isolare l’eccezionalismo umano nelle sue tante (e tradizionali) contrapposizioni tra l’animale e l’umano (“a differenza degli altri animali, l’uomo è l’unico che…”). Ma è anche indubbio che nel suo pensiero – e questo fin dall’inizio – la questione del logocentrismo (e sul linguaggio Agamben metterà sempre una grande enfasi) non è tanto un presupposto quanto precisamente il problema da analizzare e affrontare, e che il superamento della metafisica da lui sempre auspicato comporta il superamento di questa frattura e di questa contrapposizione.
La questione dell’animale acquista ovviamente più centralità con il progetto “Homo sacer”, la cui protagonista è proprio la vita nella sua contrapposizione alla sovranità o al potere. La scissione metafisica strutturale qui si incarna nello sdoppiamento semantico originario tra zoè e bios, che ricalca in ultima istanza la frattura tra animalità e umanità. Uno dei grandi meriti di Castanò è di mostrare che la famigerata “nuda vita” è proprio il prodotto di questa frattura in tutte le sue varie manifestazioni (mentre molte interpretazioni la confondono ancora con la zoè), e che l’eccezione che caratterizza la sovranità e il potere non è che l’esplicitazione della struttura metafisica che informa ogni aspetto della tradizione occidentale. Dopo una lunga analisi di tutte le opere che lo precedono (cronologicamente e poi logicamente), Castanò arriva allo snodo fondamentale del suo libro, che è anche il suo contributo più originale e incisivo: l’analisi e la rivalutazione di Quel che resta di Auschwitz (1998), il volume III del progetto “Homo sacer” e il libro più criticato e frainteso di tutta la serie – e dell’intera produzione di Agamben. Probabilmente questa lettura è divenuta possibile solo dopo la conclusione dell’intero progetto, ma dalla nostra prospettiva ex post la rilettura dell’opera diventa necessaria e centrale: la funzione di questo libro, che fa da “soglia” tra la pars destruens dei volumi I e II e quella construens del volume IV, è quella di mostrare il funzionamento della “macchina antropologica” in tutta la sua mortifera purezza, e cioè nel tentativo di separare e purificare, nel campo nazista, l’uno dall’altro i due termini della frattura metafisica originaria, l’umano e il non-umano. Auschwitz è il culmine della metafisica, e qui la sua struttura emerge in modo paradigmatico – da qui la centralità di questo libro.
Nel 2002 Agamben pubblica poi un pendant al libro su Auschwitz, che insieme a esso dev’essere letto: L’aperto. L’uomo e l’animale, l’unico esplicitamente dedicato alla questione dell’animale. Castanò mostra bene come questo libro, che non fa ufficialmente parte della serie “Homo sacer” e, a differenza di altre opere di Agamben, non ha suscitato grande interesse o grandi dibattiti (con eccezione degli animal studies), non è una “trascurabile divagazione da un percorso che si muove altrove” (pag. 197), ma fornisce anzi un’importante chiave di lettura per interpretare tutta la filosofia agambeniana: se la frattura fra l’umano e l’animale costituisce la chiave di volta dell’intera metafisica occidentale, allora interrogarsi su questa questione – questa è la tesi portante de L’aperto, e quindi anche del libro di Castanò – è più urgente che prendere posizione sulle grandi questioni della politica, dell’etica, della storia. L’aperto fornisce anche un ponte per passare alla pars construens del volume IV, ribadendo (giacché questo è da sempre uno dei cardini della filosofia di Agamben) che il superamento della metafisica con la sua frattura presupponente consiste in un “arresto” della macchina, in una deposizione o dèsoeuvrement dei suoi dispositivi, che li aprirà a un nuovo “uso”.
Tutta la teorizzazione della “forma-di-vita” nel volume IV di “Homo sacer” è quindi un ripensamento della frattura metafisica originaria e della questione dell’animalità. Una precisazione importante emerge, a questo proposito, dalla lettura di Castanò: la caratteristica portante della “forma-di-vita” per Agamben è la potenzialità, essa è cioè un “essere di potenza”, che sfugge a qualsiasi destino storico o biologico; questa struttura sembrerebbe ricalcare la tradizionale frattura tra l’animale e l’umano, dove quest’ultimo, a differenza del primo, è “senza rango” (nelle parole di Pico della Mirandola), è cioè libero dalle costrizioni meccanicistiche che imprigionano invece l’animalità. Potrebbe sembrare, così, che alla fine la proposta soteriologica di Agamben non riesca a sfuggire al tradizionale eccezionalismo umano della metafisica occidentale; e tuttavia la potenzialità della forma-di-vita consiste proprio nella disattivazione di questa struttura e di questa frattura, che imprigiona sia l’umanità che l’animalità in un perenne e mortifero “stato di eccezione”. Il pensiero della forma-di-vita è quindi volto non solo a una ridefinizione dell’umanità, ma anche dell’animalità, o meglio della relazione (e non separazione) tra le due.
Agamben ha, non tanto concluso quanto piuttosto (nelle sue parole) “abbandonato” il progetto “Homo sacer”, affinché questo possa essere forse continuato da altri e in altri modi. Il volume di Castanò è un primo passo, sistematico e introduttivo, che pone le basi per questa possibile continuazione; esso mostra, a partire da Agamben, che la filosofia che viene dovrà essere una filosofia dell’animalità.
Il problema della colpa è il problema dell’azione, e di colui che la compie. La colpa, lungi dall’appartenere intrinsecamente alla sfera giuridica, ne costituirebbe piuttosto la soglia d’accesso. La colpa è un concetto che traccia i limiti di una seria questione filosofica, prima ancor che giurisprudenziale: come si costituiscono i confini del diritto? Come si traccia la frontiera tra la struttura del diritto e l’immanenza in sé del vivente? Come si può, altresì, definire la colpevolezza del soggetto a partire dall’imputabilità dell’azione e dalla pena comminata? E soprattutto, una volta posto in questi termini il problema, è possibile superare la concezione dell’azione in quanto imputabile? È possibile, per il soggetto, fuoriuscire dalla struttura del diritto - e quindi dalla triangolazione azione-colpa-pena - per “consacrarsi” a quell’innocenza radicale che attraversa originariamente tutto ciò che vive? Sono questi alcuni degli interrogativi che trapelano, talvolta tra le righe, spesso più manifestamente, dalle pagine dell’ultimo libro di Giorgio Agamben, Karman. Breve trattato sull’azione, la colpa, il gesto (Bollati Boringhieri, 2017). Read More »
Nel clima culturale del primo Novecento Jacques Lacan inaugura, in nome di un ritorno a Freud, un ripensamento della nozione di soggetto che perdurerà lungo tutto l’arco della sua vita. Tra le innumerevoli suggestioni che ne scandiscono il ripensamento teorico, centrale è l’incontro con l'opera di Ferdinand De Saussure poiché, com’è noto, permette di inscrivere la questione della soggettivazione nel paradigma della linguistica strutturalista, imprimendo una svolta teorica decisiva che al contempo si inserisce nel solco della prima formulazione dialettica della soggettività. La dimensione complementare di un «Uno all’Altro» viene infatti recuperata nel rapporto tra parole e langue, ossia nell’ assoggettamento della dimensione discorsiva singolare al campo universale del linguaggio. Con questo passaggio si compie l’integrazione progressiva dell’insegnamento hegeliano di Alexandre Kojève alla linguistica strutturalista di Ferdinand De Saussure e Roman Jakobson. La dimensione della soggettività e il suo senso emergono da ora come epifenomeno di rimandi, sospensioni e scarti tra catene significanti. A partire da tale centralità del simbolico nella produzione lacaniana, vorremmo isolare alcuni punti di rilievo da sottoporre all’indagine con la presente Call For Papers.
A partire dagli anni Sessanta, l’influenza del Cours de linguistique générale apre a uno studio sistematico dei rapporti tra singolarità e struttura all'interno di diverse discipline (antropologia, filosofia, critica letteraria, marxismo, etc.). La priorità logica e analitica data alla nozione di struttura – vero trait d'union dei diversi rami d’indagine – comporta la riduzione delle unità di base a livello di istanze passive e determinate, prive di logica propria e pertanto analizzabili unicamente in rapporto a una logica riconosciuta a livello superiore. Fanno eco a questo dibattito, sebbene fuori dal laboratorio strutturalista, le nozioni di dispositivo e discorso adoperate da Foucault per rendere conto dell'eterogeneità di elementi, piani e registri in cui si articolano quelle ingiunzioni che ci interpellano come soggetti. Se da un lato la psicoanalisi lacaniana si inserisce in questo dibattito assimilando nozioni e strumenti analitici, dall’altro, fondandosi su una rappresentazione pulsionale del soggetto, approda a esiti differenti grazie alla possibilità di integrare un’interpretazione “segnica” alla prospettiva di un’economia libidica. Ciò che ci sembra interessante circoscrivere all’interno di questo complesso dibattito riguarda almeno due momenti: da una parte la considerazione della costitutiva possibilità per il simbolico di farsi materiale e, conseguentemente, organizzare condizioni e campi di possibilità dei legami sociali; dall'altra, la prospettiva che si apre nel considerare il soggetto come istanza «surdeterminata». Entrambe queste questioni interrogano, o dovrebbero interrogare, anche la clinica. Il repentino mutamento delle forme di vita imposto dalla contemporaneità, congiunto all'epidemica inflazione di patologie e diagnosi (A. Ehrenberg), domanda di riconsiderare la dimensione sintomatica, tanto nelle sue continue riconfigurazioni quanto nelle sue prospettive terapeutiche, in relazione a un contesto materiale sensibilmente esposto a continue modificazioni.
A partire dal Libro VII del Seminario l'attenzione di Lacan si sposta verso il registro del Reale: introdotto sin dai primi seminari in relazione alla clinica delle psicosi, viene identificato e problematizzato come campo in cui riappare tutto ciò che è stato forcluso nel Simbolico. All'interno della topologia lacaniana infatti, il corpo si configura come superficie attraversata dal Reale, laddove tutto ciò che viene escluso dalle trame di significazione ritorna come scarto. La centralità del Reale emerge sensibilmente nella clinica contemporanea laddove si registra una progressiva rarefazione della consistenza del sintomo, che espone il soggetto al vuoto dei significanti. Elemento della clinica ma non solo, il Reale, distinto dalla realtà, in quanto impalcatura soggettiva inquadrata dal fantasma, rinvia nell’ontologia lacaniana a una dimensione dell'esperienza che accade al di qua della relazione soggetto-oggetto. Questo piano di immanenza assoluta (G. Deleuze) delinea i contorni di una vita impersonale: un puro fluire che eccede il punto di vista antropologico. Il problema dell'Assoluto, rimosso dalla filosofia moderna, ritorna a interrogare la riflessione contemporanea.
Un altro punto a partire dal quale è possibile gettare un ponte tra filosofia e psicoanalisi è la nozione di soggettivazione. Particolarmente emblematico è il caso di Michel Foucault, che nel 1981, all’interno del corso L'Herméneutique du sujet, inserisce la psicoanalisi nel novero delle pratiche di spiritualità. Contrapposta alle metodiche intellettuali, essa permette una trasformazione dell'essere del soggetto nella dimensione di un suo accesso alla verità. La conoscenza spirituale non riguarda le condizioni di verità formali interne al discorso, ma il prezzo che il soggetto dell’enunciazione deve pagare per poter dire il vero, e “l'effetto di ritorno” che questo produce sul soggetto.A fare da apripista a tali ricerche è stato Pierre Hadot, che concentra le proprie analisi sugli “esercizi spirituali” della filosofia antica, con cui la pratica analitica sembra avere molto in comune, in particolare in relazione all’aspetto psicagogico. Più recentemente, il tema della spiritualità è stato al centro della riflessione di Peter Sloterdijk, il quale ne ha sottolineato la dimensione ascetica e atletica di sapere in esercizio. Dal punto di vista filosofico, la connessione tra psicoanalisi ed epimeleia heautou (cura di sé) costituisce un interesse peculiare in luce del fatto che, all'interno dell'economia del discorso foucaultiano, sono le pratiques de soi a fungere da elemento eccedente la presa dei rapporti di potere e l'assoggettamento all'ordine del discorso. Ciò si costituisce come via regia per una effettiva pratica di resistenza e costituzione di soggettività inassimilabili alla logica neoliberale. Ci domandiamo, quindi, se il dialogo tra filosofia e psicoanalisi possa costituire un punto decisivo per l’avvenire di queste discipline, e se proprio la congiuntura spirituale, intesa come sapere che modifica e trasforma il soggetto, possa essere la chiave per una critica radicale della società contemporanea.
La prospettiva teorica della soggettivazione, inoltre, viene recuperata all’interno del dibattito dei gender studies. Nel secondo ‘900, parallelamente agli studi multidisciplinari che mettono in rilievo la nozione di genere, si è iniziato a porre attenzione su tutto quel complesso corredo di performance e soggettività che oggi qualifichiamo come gender-variant (transgender, transessuali, queer, etc.); rispetto a questo dibattito la psicoanalisi lacaniana è rimasta fino alla fine affezionata alla dicotomia di genere maschile-femminile. Ciononostante, i suoi elementi teorici sono stati utilizzati criticamente per problematizzare la nozione di identità: il genere, riconsiderato nei termini de-naturalizzanti della performatività diventa un elemento in grado di relativizzare l’eteronormatività sociale e il binarismo di genere a essa connesso (J. Butler, etc.). Pensiamo che il complesso dibattito che si è sviluppato attorno a questi temi circoscriva dei nodi concettuali potenzialmente utili a problematizzare il paradigma della “sessuazione” in Lacan, sia sotto il profilo teorico, sia per la clinica, in cui il tema del corpo sessuato e del genere è divenuto centrale non soltanto in relazione alle cosiddette “disforie di genere”.
Infine, negli stessi anni, la psicoanalisi è stata anche terreno fertile di ricerca e sperimentazione: da una parte sui temi dell'epistemologia interna, dall'altra intorno a una riflessione che scardina la nozione classica di soggetto epistemologico, avendo elaborato una teoria della mente composta anche e soprattutto dall'inconscio (o Es). Non solo Lacan, ma anche W. Bion e I. Matte Blanco, formalizzando le loro teorie attraverso modelli matematici, linguistici e logici, costruiscono un soggetto della conoscenza per cui l'inconscio diventa elemento strutturale nella sedimentazione dell’esperienza e del sapere. Il soggetto, infatti, conosce anche tramite il reale, o per dirla in termini bioniani, incontra O mancandolo sempre, per sviluppare K, la conoscenza. Dunque Lacan non interroga l’Io, come accadeva oltreoceano con l'Ego-Psychology, ma l’inconscio e la sua verità. Ora, alla luce di tale riconfigurazione della soggettività, che tipo di prospettive teoriche si aprono per il discorso epistemologico contemporaneo, ancora radicato da una parte nella rigidità del metodo, dall'altra invece in un'ermeneutica che rischia di rinchiudersi in un'interminabile spirale del senso?
In sintesi, gli snodi tematici che vorremmo fossero trattati all'interno di questo numero sono:
Genesi e articolazione del soggetto: il parlêtre tra fenomenologia e strutturalismo (M. Heidegger, J.-P. Sartre, A. Kojève, J. Lacan, L. Binswanger, E. Minkowski)
Il rapporto tra dispositivi, discorsi e soggettività: immaginario, simbolico e materiale (G. Deleuze, F. Guattari, M. Blanchot, M. Foucault, S. Žižek, L. Althusser, G. Agamben, E. Fachinelli)
Fenomenologia e clinica dei nuovi sintomi: considerazioni analitiche e prospettive terapeutiche (J.-J. Miller, C. Soler, J. Kristeva, M. Recalcati, A. Ehrenberg)
Il Reale e l’ontologia: letture possibili (J. Lacan, G. Deleuze, G. Simondon, J. Derrida)
Filosofia e psicoanalisi come dispositivi di soggettivazione; rapporti tra spiritualità e pratica psicoanalitica; psicoanalisi e filosofia antica (M. Foucault, J. Derrida, J. Lacan, P. Sloterdijk, P. Hadot, F. Nietzsche)
Prospettive psicoanalitiche negli studi di genere fra femminismo, nuove soggettività e queertheory (J. Butler, J. Kristeva, M. Foucault, J. Lacan, C. Soler)
Il soggetto della conoscenza in psicoanalisi: epistemologia dell’inconscio fra verità, formalizzazione e Wissentrieb (J. Lacan, W. Bion, I. Matte Blanco, P. Feyerabend)
Blind Review: i contributi devono essere inviati in forma anonima e privi di indicazioni che possano lasciar trapelare l’identità dell’autore
Abstract inglese (1.500 caratteri)
Termine ultimo di consegna: 31 gennaio 2018
Subjectivations. Signs, wastes, symptoms
(V, n. 9, september 2018)
Edited by Lorenzo Curti and Irene Ferialdi
In the cultural climate of the early 20th century, Jacques Lacan inaugurates a lifelong re-examination of the notion of subject, in the name of a return to Freud. Among the many ideas that shaped his theoretical revision, his knowledge of Ferdinand De Saussure’s work was fundamental since, as is well known, it allowed him to include the issue of subjectivation under the paradigm of structuralist linguistics. This results in a crucial theoretical breakthrough that also represents the first dialectical formulation of subjectivity.
The complementary dimension of a “One to Other” is in fact implied in the relationship between parole and langue, that is, in the subjugation of the individual discursive dimension to the universality of language. By means of this move, the progressive integration of the Hegelian lesson of Alexandre Kojève into the structuralist linguistics of Ferdinard De Saussure and Roman Jakobson occurs. Since this moment, the dimension of subjectivity and its sense arise as an epiphenomenon of references, suspensions and gaps between signifying chains. Starting from the centrality of the symbolic dimension in Lacan’s work, our aim is to bring into focus some of the major issues that we would like to be discussed in this Call for Papers.
Since the Sixties, the influence of Cours de linguistique générale has initiated a systematic analysis of the relationships between singularity and structure within different disciplines (anthropology, philosophy, literary criticism, Marxism, etc.). The logical and analytical priority ascribed to the notion of structure, which is the actual trait d’union among the different strands of investigation, implies the reduction of the basic unities to a level of passive and determined instances, deprived of their own logic and therefore analysable only in relation to a logic that is recognised on a superior level. This debate also echoes in the notions of dispositif and discourse which Foucault utilizes to define the heterogeneity of elements, levels and registers that include the injunctions that address to us as subjects. On one hand, Lacanian psychoanalysis echoes this debate and assimilates notions and analytical tools. On the other hand, as it is based on the representation of the subject as an être pulsionnel, it also has different outcomes due to the possibility of integrating a sign interpretation into the perspective of a libidinal economy. It is our interest to include at least two points in this complex debate: first, the consideration of the constitutive possibility that the symbolic becomes material, and consequently organises the conditions and fields of possibility in social boundaries; second, the perspective that opens up to the consideration of the subject as an “overdetermined” element. Both of these issues question, or should question, the clinical aspect. The sudden mutation of life forms imposed by contemporaneity as well as the epidemic inflation of pathologies and diagnoses (A. Ehrenberg), encourage the rethinking of the symptomatic dimension, both in its constant reconfigurations and in the therapeutic perspectives, as well as in relation to a material context significantly exposed to continuous changes.
Since Book VII of the Seminar, Lacan’s attention shifts focus onto the register of the Real: introduced since the very first seminars in relation to the clinical aspect of psychosis, it is identified and brought into consideration as a field in which everything that was foreclosed in the Symbolic reappears. In fact, in the Lacanian topology the body is represented as the surface that is intersected by the Real, where everything that is excluded from the signifying plots comes back as a “waste”. The centrality of the Real arises significantly in contemporary clinical environment, where a progressive rarefaction of the consistency of the symptom is registered as, and exposes the subject to, the void of signifiers. As a matter of fact, all of this questions clinics as well as philosophy: in the Lacanian ontology, the Real, separated from the reality as subjective scaffolding framed by the ghost, involves a dimension of experience that occurs on this side of the subject-object relationship. This plan of absolute immanence (G. Deleuze) outlines an impersonal life: the mere flow that exceeds the anthropological point of view. The problem of the Absolute, which removed by modern philosophy, returns to question contemporary thought.
The notion of subjectivation is another issue that allows a useful connection between philosophy and psychoanalysis. Michel Foucault’s case is particularly emblematic: in 1981, during his course L’Herméneutique du sujet, he includes psychoanalysis among the spiritual practices. As opposed to intellectual methodologies, spirituality allows for the transformation of the very being of the subject into the dimension of its access to the truth. Knowledge does not regard the conditions of formal truths that are internal to discourse, but is rather the price that the subject of the enunciation has to pay in order to tell the truth, and “the effect of return” produced on the subject himself. In the previous few years, Pierre Hadot was among the firsts to face the issue of the spiritual knowledge of philosophy, focusing his analyses on the “spiritual exercises” of ancient philosophy that seem to have very much in common with the analytical practice, especially in relation to the psycagogic aspect. A comparison between a certain philosophy and psychoanalysis has more recently played a central role in Peter Sloterdijk’s work, who stressed the ascetic and athletic dimension of knowledge in practice. From the philosophical point of view, the connection between psychoanalysis and epimeleia heautou (care of the self) is of peculiar interest because, within the framework of the Foucaultian discourse, the pratiques de soi (practices of the self) go beyond the grasp of power relationships and the subjugation to the order of discourse. This might open a path toward an actual practice of resistance and constitution of subjectivities that are unassimilable to the neoliberal logic. Therefore, this issue regards the dialogue between philosophy and psychoanalysis as a decisive mark for the future of these two disciplines, and we would like to consider whether the spiritual juncture, interpreted as knowledge that modifies and transforms the subject, can be the key to a radical critique of contemporary society.
In addition to this, the theoretical perspective of subjectivation is also included into the debate of gender studies. In the second part of the 20th Century, in parallel with the multidisciplinary studies that emphasise the notion of gender, a lot of attention has been paid to the complex endowment of performance and subjectivity that is today regarded as gender-variant (transgender, transsexuals, queer, etc.). In relation to this debate, Lacanian psychoanalysis has to this very day been anchored to the dichotomy of male-female gender. Nevertheless, its theoretical elements have also been critically used to focus on the notion of identity: gender, re-examined under the denaturalising terms of performativity, becomes an element that can relativize social heteronormativity and therefore gender binarism (J. Butler, etc.). We think that the complex debate which was developed in regard to these themes delineates some conceptual points that may be useful to face the paradigm of Lacanian “sexuation”, considering both the theoretical and the clinical aspects, where the theme of the sexed body and gender has become central not only in relation to the so-called “gender dysphoria”.
Lastly, during these same years, psychoanalysis has also been enjoying a great moment of research and experimentation: on one hand, concerning internal epistemology and, on the other, regarding a new concept of the classic notion of epistemological subject, that includes a theory of the mind composed also, and especially, of the unconscious (or Es). Not only Lacan, but also W. Bion and I. Matte Blanco, who formalised their theories through mathematical, linguistic and logical models, conceived of a subject of knowledge that implies the unconscious as the structural element of the sedimentation of experience and knowledge. The subject, in fact, knows through the real, or, to use Bionian words, the subject meets O, always missing it, in order to develop K, the knowledge. Therefore, Lacan questioned the unconscious and its truth rather than the Ego, as had happened overseas with Ego-Psychology. Now, relative to this reconfiguration of subjectivity, what kind of theoretical perspective might open up for the contemporary epistemological discourse, which is still rooted, on one hand in the rigidity of the method, and on the other, in a hermeneutics that risks to trap itself in an endless spiral of sense?
In summary, below are the main theoretical points which we would like to discuss in the following issue:
Genesis and development of the subject: the parlêtre between phenomenology and structuralism (M. Heidegger, J.-P. Sartre, A. Kojève, J. Lacan, L. Binswanger, E. Minkowski)
The relationship between dispositifs, discourses and subjectivity: imaginary, symbolic and material (G. Deleuze, F. Guattari, M. Blanchot, M. Foucault, S. Žižek, L. Althusser, G. Agamben, E. Fachinelli)
Phenomenology and psychoanalytical clinic on new symptoms: analytical studies and therapeutic perspectives (J.-J. Miller, C. Soler, J. Kristeva, M. Recalcati, A. Ehrenberg)
The Real and the ontology: possible interpretations (J. Lacan, G. Deleuze, G. Simondon, J. Derrida)
Philosophy and psychoanalysis as subjectivation dispositifs; the relationship between spirituality and psychoanalytical practice; psychoanalysis and ancient philosophy (M. Foucault, J. Derrida, J. Lacan, P. Sloterdijk, P. Hadot, F. Nietzsche)
Psychoanalytical perspectives in gender studies between feminism, new subjectivities and queer theory (J. Butler, J. Kristeva, M. Foucault, J. Lacan, C. Soler)
The subject of knowledge in psychoanalysis: epistemology of the unconscious between truth, formalisation and Wissentrieb (J. Lacan, W. Bion, I. Matte Blanco, P. Feyerabend)